mercoledì 12 novembre 2014

The Gudu's Nippo Experience part 8

Dopo una seconda notte a Nikko tranquilla e riposante, ci siamo svegliati di davvero di buon umore.
Abbiamo fatto una rapida colazione e poi abbiamo percorso con tranquillità i 500 metri che ci separavano dalla zone dei templi.

Nikko è una delle mete più famose del Giappone per quel che riguarda i templi, anche se è molto poco visitata dal turismo occidentale.
Il complesso dei templi è dovuto all'amore per quei luoghi del noto Shogun Tokugawa Ieyasu.
Tokugawa Ieyasu è stato il fondatore dello shogunato Tokugawa nel 1603, sebbene governasse già non ufficialmente il Giappone dal 1600 (anno della battaglia di Sekigahara).
Il suo governo si concluse ufficialmente nel 1605 quando abdicò in favore del figlio Hidetada, ma continuò a esercitare fino alla sua morte il suo potere attraverso il governo del chiostro.
A Ieyasu piaceva molto Nikko, tanto da andarci a morire nel 1616 all'età 73 anni con conseguente mausoleo in loco e susseguirsi di templi ed altri mausolei sulla scia del primo.
Questo shogun aveva dei gusti un po' barocchi e questo si ben l'abbiamo notato osservando i templi molto più ricchi e fastosi rispetto a quelli visitati nelle altre parti del Giappone; più che giapponesi sembravano molto cineseggianti.
Personalmente ho trovato questi templi meno d'effetto e meno d'atmosfera.
In cambio però la location era spettacolarmente immersa in mezzo alla natura: alberi alti e grossi come non ne avevamo visti in Giappone fino a quel momento stavano di sentinella ad ogni singola struttura; fiori e piante di ogni tipo spuntavano ovunque cercando di invadere gli spazi sacri.

Dopo aver visto e fotografato il famoso ponte rosso Shin Kyo (rifiutandoci di pagare una cifra esosa per passarci sopra), abbiamo cominciato la visita dei templi.


Durante la visita abbiamo potuto vedere dal vivo il famoso altorilevo raffigurante le tre scimmie "non vedo, non parlo, non sento", il cavallo sacro del tempio (che benché fosse vivo non muoveva nemmeno gli occhi), il cancello "Yōmeimon" (anche chiamato "Higurashi-no-mon gate" che letteralmente significa "Il cancello per cui le persone spenderebbero tutto il giorno per guardarlo" in quanto vi sono scolpite ben 508 sculture, il passaggio del gatto sacro ed infine, dopo circa 30 minuti di ripidi scalini, la tomba di Ieyasu.










La tomba di Ieyaso mi è piaciuta molto, è l'unica struttura della zona che mi ha riportato alle atmosfere meditative, quiete, ma cariche di energia che ho trovato negli altri luoghi sacri del sol levante.
Un semplice cilindro di pietra scolpito che esce dalla terra nel mezzo di un grosso spiazzo circondato da enormi alberi; il tutto posto sulla cima di una piccola montagna.
Si poteva percepire la forza del luogo nonostante la miriade di turisti ansimanti per la salita (ansimanti, ma in religioso silenzio).
La semplicità della tomba, la gestione degli spazi "vuoto/pieno", gli immensi alberi come guardiani leggermente piegati verso la tomba... tutte queste cose creavano un'atmosfera davvero difficile da descrivere. Forza, pace, integrità, riposo, trascendenza... queste le parole che mi vengono in mente, se ripenso a quell'atmosfera.


Sulla strada del ritorno verso la zona abitata siamo stati intervistati da due bambini accompagnati da un'insegnante, cosa per noi molto pittoresca e divertente.
Dopo aver risposto ad una decina di domande ed aver ricevuto in dono delle caramelle e degli origami, siamo andati in cerca di un ristorante.
Ci siamo ritrovati in un piccolissimo ristorante gestito da madre e figlia in una zona poco frequentata.
Il ristorante era deserto, c'eravamo solo noi.
La Vigi ha intelligentemente ordinato un piatto tipico della zona, mentre io ho fatto l'errore di ordinare una bistecca di maiale... trovandomi a combattere con una "roba" composta solo di grasso pure difficile da masticare.

Nel pomeriggio ci siamo diretti verso il Kanmangafuchi Abyss.
Il Kanmangafuchi Abyss è una zona molto particolare lungo il fiume Daya caratterizzata da rapide e piccole cascate, formatasi durante un'eruzione del vicino Monte Nantai.
Appena a sud del fiume in quest'area si trovano una serie di circa 70 statue buddiste (jizo), chiamate "Narabi Jizo" (jizo in fila), "Hyaku Jizo" (100 jizo) od anche "Bake Jizo" (jizo fantasma).
Le leggende narrano che le statue cambino periodicamente disposizione e che nessuno le abbia mai viste nella stessa posizione, oppure che sia impossibile contarne il numero esatto poiché all'andata si conta un numero ed al ritorno se ne conta un'altro.
Le statue di Jizo sono comuni in Giappone soprattutto nei cimiteri per la credenza popolare che sia uno dei protettori dei defunti, ma Jizo è anche associato ai neonati prematuri/malformi ed agli aborti poiché, secondo la tradizione giapponese, protegge dalla punizione che ricevono per il dolore che causano ai loro genitori
In Giappone, le statue di Jizo sono spesso adornate con piccoli cappucci e bavagli, spesso fatti e donati dalle madri dei bambini morti.
I lineamenti con cui viene raffigurato sono spesso infantili, a ricordare i bambini che protegge.
Jozo è anche considerata divinità protettrice dei viaggiatori infatti le statue di Jizo sono comuni lungo le strade (noi però nel nostro viaggio non ne abbiamo notate).
Per arrivare al Kanmangafuchi bisognava camminare per circa due chilometri in un sobborgo rurale di Nikko.
Durante questo percorso non abbiamo incontrato nessuno, forse perché erano solo le 13.30... in ogni caso questo ha giovato molto all'atmosfera.
Io le Vigi ci siamo mossi passeggiando lentamente e chiacchierando amabilmente in mezzo alle piccole case intervallate dai campi.

Quando siamo arrivati alle statue di Jizo siamo entrati in un silenzio reverenziale ed abbiamo cominciato il nostro percorso in mezzo alle statue... ovviamente contandole.
L'atmosfera era carica di misticismo.
Le statue con le loro fattezze, i bavagli ed i cappucci, la muffa che ci cresceva sopra davano un senso di incredibile tristezza.
Si percepiva un'atmosfera "misticamente pesante", non mi vengono in mente altri termini per descriverla.


Alla fine del percorso ci siamo inerpicati su di un sentiero in cerca del famoso abisso.

Dopo una decina di minuti siamo arrivati ad un vecchio cimitero.
Non ho potuto trattenermi dal visitare il cimitero godendomi l'atmosfera e le inusuali architetture.
Il cimitero era silenzioso ed immerso in un piccolo bosco.
Le tombe sembravano molto vecchie e poco visitate, ma la natura non si era insinuata in nessun punto di quel luogo sacro. Dopo qualche minuto ammetto che mi è venuta un po' di "giocosa" inquietudine.

Sulla strada del ritorno dal cimitero siamo riusciti ad individuare il famoso abisso, che altro non è che un punto in cui, nonostante l'acqua cristallina, non si vede il fondo.

Siamo ripassati nel mezzo delle statue di Jizo ricontandole ed ovviamente contandone un numero diverso rispetto all'andata.

Mentre tornavamo verso il ryokan, ci siamo fermati presso la bottega di un costruttore di tatami che già avevamo notato all'andata.
Davanti alla bottega, l'artigiano aveva un piccolo mobiletto su cui erano esposti dei piccoli portamonete costruiti con i materiali di scarto dei tatami.
Io li avrei comprati tutti, ma la Vigi è riuscita a convincermi a limitarmi ad uno.
Abbiamo suonato il campanello ed abbiamo aspettato per più di 10 minuti davanti al mobiletto.
La bottega era spalancata, le finestre e le porte dei balconi dell'alloggio sopra la bottega erano spalancati anch'essi.
Abbiamo provato a chiamare a voce alta senza risultati.
Dopo altri 10 minuti abbiamo deciso di prendere un portamonete e lasciare i soldi sul mobiletto.
Proprio nella fase di scelta, è arrivato l'artigiano con un piccolo camion (di quelli piccoli, stretti ed alti tipici del Giappone)... abbiamo scelto il portamonete ed abbiamo pagato.
Da quel giorno, tengo i miei plettri in quel piccolo portamonete ed ogni volta che lo apro per suonare, ripenso al Giappone e sorrido.
Fino a che non siamo arrivati al Ryokan, abbiamo fatto riflessioni sul fatto che in Italia una bancarella abbandonata sarebbe stata rapidamente saccheggiata, così anche come una casa lasciata aperta in un luogo poco frequentato... anzi... in qualsiasi luogo sarebbe stata saccheggiata, anche davanti al Duomo di Milano.

Nel pomeriggio abbiamo preso il treno per raggiungere Tokyo e poi un un'hotel nel pressi dell'aeroporto di Narita.
Siamo arrivati molto tardi ed il ristorante dell'hotel non serviva più i pasti... così siamo usciti ed abbiamo scelto un ristorante a caso dove, dopo 20 minuti di discussioni per farci capire dalla cameriera, abbiamo gustato dei discreti Yakitori.

La mattina successiva ci ha regalato l'ultimo momento divertente del viaggio.
Siamo saliti su quella che pensavamo fosse la navetta per Narita, per poi scoprire che era un pullman di turisti diretti nel centro di Tokyo per fare shopping.
La cosa divertente è che nessuno ci diceva nulla, nonostante fossimo palesemente due occidentali in mezzo ad un pullman di orientali.
Alla fine l'autista ha avuto un "piccolo sospetto" ed ha chiamato il personale dell'hotel per farsi aiutare con la lingua.
Dopo tante risate nostre e tanti inchini nipponici, abbiamo preso la navetta, quella vera e siamo andati all'aeroporto.

Arrivati al check in, abbiamo scoperto che l'aereo aveva 3 ore di ritardo.
L'Alitalia ci ha gentilmente pagato il pranzo in uno dei 50 ristoranti della struttura.
L'aeroporto di Narita è praticamente una città su sei piani piena zeppa di ristoranti e negozi... abbiamo passato piacevolissime due ore e mezza a fare shopping nei vari negozietti per poi imbarcarci e tornare in Italia.