sabato 13 giugno 2015

THE GUDU'S BHUTANESE EXPERIENCE PART 5 - PHOBJIKHA VALLEY

Quella mattina ci alzammo intirizziti dalla temperatura bassa; infatti nella notte la temperatura era scesa di molto, tant'è che le nostre bocche facevano nuvolette di fumo.
Fu un piacere quindi entrare nella camera comune per fare colazione.; lì la temperatura era bassa, ma non così bassa ed il cibo caldo (ma soprattutto il tè bollente) era un gran piacere.
Alle 9 eravamo pronti per affrontare l'escursione che ci avrebbe portati a visitare la valle ed a scoprire gli stormi di gru dal collo nero.


La temperatura era intorno ai 5° C ed il cielo e basso e plumbeo.
L'atmosfera era totalmente diversa da quella dalla mattina precedente, ma altrettanto magica.
Ci incamminammo per la valle camminando lentamente e discorrendo con la guida.
Il fondo della valle era sostanzialmente un immenso acquitrino dove pascolavano mucche, yak e dove svernavano le gru dal collo nero.
Per non sprofondare nel fango, spesso era necessario inventarsi improbabili percorsi su tronchi di albero. Non capivo se quei tronchi erano li per caso o se erano stati posizionati dagli abitanti del luogo. Noi in ogni caso ci divertivamo tantissimo a fare questo percorso ed a prenderci in giro quando mettevamo il piede in fallo finendo nel fango.


Dovemmo anche attraversale un piccolo torrente passando in equilibrio su di un vecchio tubo in acciaio, momento mitico in cui il nostro "duro e puro" autista entrò nell'acqua in infradito (ebbene si, noi eravamo attrezzatissimi mentre lui faceva trekking in infradito) per prenderci al volo nel caso fossimo caduti... fu una cosa molto pittoresca.
Durante il tragitto verso la zona in cui già si intravvedevano le gru, incontrammo parecchie ossa di mucca; la guida ci spiego che la notte il leopardo delle nevi scendeva a caccia e quelli erano i resti dei suoi banchetti. Le mucche che pascolavano qua e là erano dei monaci buddisti che le lasciavano gironzolare a disposizione della gente (presumo per il latte) e per il leopardo era un pasto facile.
Giusto qualche settimana prima avevo visto il film "I sogni segreti di Walter Mitty" dove il protagonista era finito in posti remotissimi proprio per vedere quell'animale ed ora io stavo passeggiando nel suo territorio di caccia... in effetti il luogo era remoto.


In poco tempo arrivammo in un punto dove era possibile ammirare le gru dal collo nero.
Le gru erano molto belle ed aggraziate e stavano in piccoli gruppi di 3-5 elementi, la guida ci spiegò che le Gru dal collo nero formano delle famiglie proprio come gli umani ed ogni gruppo rappresentava una famiglia.
Facemmo molte foto e ci godemmo il fatto di essere di fronte ad animali in via di estinzione quasi impossibili da vedere se non in quella valle.



La cosa che, come sempre, mi colpiva e mi faceva stare bene era l'atmosfera.
Un'atmosfere remota di pace totale.
Si sentiva solo il rumore del vento ed i rari versi di qualche gru che riecheggiano nella valle creando una sensazione di piacevole smarrimento ed isolamento.


Dopo un po' cominciammo a salire verso le alture in cerca di una fattoria conosciuta alla guida, con un po' di fortuna ci avrebbero offerto ospitalità ed avremmo potuto vedere dall'interno una fattoria bhutanese.
La salita fu dura, ma non troppo lunga. Non so a che altitudine arrivammo, potevano essere 2800 come 3000 metri. So solo che ad un certo punto sbucò un gruppo di piccoli edifici sulla cima di un altura.


La fattoria non era proprio come le fattorie a cui eravamo abituati: quasi nessun animale (forse erano al pascolo) e la zona coltivata era minima e non dava la sensazione di essere molto redditizia.
Era proprio una fattoria da confini del mondo.
Fummo invitati ad entrare dagli anziani che erano gli unici in casa.
In Bhutan la tradizione voleva che quando due giovani si sposavano, non andassero a vivere da soli, ma si unissero ad uno dei nuclei familiari già esistenti e, se era il caso, la casa venisse allargata.
In questo modo gli anziani venivano accuditi ed avevano comunque l'utile ruolo di badare alla casa.
Nonostante fossimo in una zona remota ed in una piccola e povera fattoria, la casa era decorata finemente e con attenzione e dotata ovviamente di più bandiere di preghiera come da tradizione.


Salimmo una ripidissima scala per raggiungere l'interno.
Fummo fatti accomodare per terra su di un tappeto in cucina.
Scoprimmo subito che per scaldarsi avevano lo stesso tipo di stufa che avevamo noi al resort e che alle finestre non avevano vetri, ma solo pannelli scorrevoli in legno.
Ci fu offerto del tè e del cibo e poi io colsi l'occasione per provare il loro vino e la loro grappa fatta in casa. Erano alcolici molto blandi tratti dalla fermentazione di prodotti locali che di sicuro non erano uva.
La conversazione con i padroni di casa era difficile poichè loro erano molto timidi e quindi ci limitammo alle domande di rito ed a discorsi generici.
Quando ci fummo rifocillati, chiedemmo di poter pregare insieme nella stanza delle preghiere.
Ogni casa ha una stanza delle preghiere con un altare scolpito a mano.
Quello presente in quella casa era da togliere il fiato: finemente scolpito e colorato con mille comparti di cui ignoravo l'uso.
Pregammo insieme, poi lasciammo un'offerta in denaro ai padroni di casa come da consuetudine e ce ne andammo per la nostra strada.
Intorno alle 12.00 tornammo nella zona abitata dove ci fermammo in una piccola e deserta locanda per pranzare.
La temperatura era ovviamente bassissima nonostante la omnipresente ed omniinsufficiente stufa a legna, ma ci scaldammo col tè bollente come sempre.
Il cibo era suppergiù lo stesso degli altri giorni: c'era della carne bovina stufata, verdure varie stufate o cucinate in modo simile ed il mitico mandarino gigante che arrivava puntuale alla fine di ogni pasto bhutanese. Il cibo era appena tiepido, ma era buono e sapeva di sano.

Nel pomeriggio abbiamo visitato il centro di osservazione delle gru dal collo nero che non era niente di più che un desolato casotto dove ci fecero vedere un filmato sulle danze ispirate alle gru e poco altro... diciamo che abbiamo fatto una pausa post pranzo veloce per iscriverci all'associazione per la tutela delle gru dal collo nero e va bene così.
Nel pomeriggio l'autista tornò al resort (temo avesse un principio di congelamento ai piedi) e noi continuammo ad esplorare la valle con la guida.
Nella parte bassa della valle c'erano dei gruppi di fattorie costruite in stile tipico, scovammo anche un emporio "vendodituttounpoperchècisonosoloio" di quelli che pensavamo esistessero solo nei film.
L'atmosfera era sempre pacifica, desolata, silenziosa.
Era un luogo dove era facile meditare, pregare o semplicemente parlare con la propria anima.
Camminammo fino a sera senza fermarci, scoprendo scorci fantastici come piccoli monasteri spazzati dal vento, stupa solitari in cima ad alture, scorci di natura, vento, erba e silenzio.












Arrivammo al resort che era oramai buio ed eravamo stanchi ed estasiati.
La nostra guida aveva dimenticato gli scarponi a casa e dopo aver camminato tutti i giorni su e giù per acquitrini, salite scoscese ed altipiani... e soprattutto dopo essere finito nell'acqua... aveva i piedi un po' provati dall'esperienza.

Cercammo di far salire la temperatura della stanza il più possibile per fare la doccia, ma fu comunque un'azione "difficile".
Dopo la doccia andammo a cenare e subito dopo cena crollammo felici sul letto.

Temo di non essere in grado (se mai fosse possibile) di descrivere quello che ho visto, quello che ho provato, quello che ho respirato durante quella giornata.
Questi momenti lontani dall'umanità che è oramai un'infestante su questo bel pianeta permettono di respirare davvero e di ritrovare se stessi ed il proprio posto nella natura.
Sono le stesse sensazioni che avevo provato nel deserto del Nabib nel 2011 od una sera in un tempio Scintoista in mezzo alla foresta di Bambù di Kyoto nel 2013.
Sono momenti di scoperta e quasi risveglio, momenti che commuovono tanto sono intensi, profondi e veri; così tanto da renderli a volte difficili da gestire.
Sono momenti che ci avvicinano a quella sacralità, serenità e completezza che in segreto tutti i giorni cerchiamo... spesso invano.
Per questo sono certo di non essere in grado di descrivere cosa significasse essere nella Phobjikha valley, con il cielo plumbeo sopra, l'erba scura sotto ed il vento che cantava canzoni che avrei voluto ascoltare ancora, ancora ed ancora.


lunedì 1 giugno 2015

THE GUDU'S BHUTANESE EXPERIENCE PART 4 - PHOBJIKHA VALLEY

La mattina successiva ci siamo svegliati e siamo usciti sul balcone ad ammirare il sole appena nato che riscaldava la natura tutto intorno.
Penso davvero che ci siano luoghi che hanno un'energia speciale e ci permettono di tornare quasi ad uno stato di veglia... oddio, non veglia al 100%, ma ci portano sicuramente a recepire "cose" che altrimenti non siamo in grado di recepire.
La Natura non stuprata dall'uomo, ma anzi rispettata e venerata è presente ovunque in Bhutan, questo lo rende un luogo speciale, carico di energia.

Dopo una abbondantissima colazione, la guida è venuta a prenderci e, dopo un breve percorso in auto, ci siamo avviati a piedi verso un piccolo tempio dedicato alla fertilità ed ai bambini.
Durante il percorso abbiamo incontrato più persone di quello che mi aspettassi; erano tutti Bhutanesi che si recavano al tempio a pregare per ottenere benedizioni o ringraziare per le benedizioni concesse.
In particolare ci siamo fermati a parlare con una famiglia di 5 elementi (moglie, marito e tre figli) che avevano un aspetto ed un'andamento un po' diverso dagli altri.
Grazie alla servizio di interprete della guida, abbiamo scoperto che erano "Uomini delle montagne".
Se ho capito bene, gli "Uomini delle montagne" sono le persone che vivono nelle zone più alte, sulle montagne. Ed in Bhutan significa vivere fra i 4000 ed i 6000 metri.
Persone che vivono in minuscole fattorie al limite col cielo dove le condizioni sono davvero estreme.
La loro pelle era spaccata dal sole e dal vento ed i loro occhi erano due piccole fessure; anche il modo di parlare era diverso, aveva una cadenza più dura e più lenta.
I loro vestiti erano leggermente diversi, non saprei descrivere il perchè... forse usavano diversi tessuti o forse ero solo rimasto suggestionato dal loro viaggio.
La famiglia era venuta tempo addietro a pregare per la guarigione del figlio malato, ora il figlio era guarito e loro tornavano a ringraziare.
Il viaggio durava circa 5 giorni da casa loro al tempio ed ovviamente si muovevano a piedi.
Mi sono chiesto è come accidenti fossero riusciti ad arrivare fino a li con 3 bambini se portavano appena due piccoli zaini.
L'unica spiegazione poteva essere l'ospitalità del popolo Bhutanese.
Questa famiglia doveva essersi fermata nei templi o nelle fattorie incontrate lungo il tragitto dove era stata accolta e rifocillata.
Questa cosa può sembrare un po' "fantasy" a noi occidentali, ma durante il viaggio avevamo già avuto modo di sperimentare l'ospitalità bhutanese e più avanti l'avremmo assaporata ancora meglio.
Rimasi molto colpito da questi avventori ed avrei voluto parlargli per ore, ma avevo capito fin dalle prime parole che non erano troppo felici di fare "gli animali da zoo" per noi... erano venuti per pregare, avevano fatto tanta strada ed ora erano finalmente arrivati alla meta.
Fu così che continuammo l'escursione fino a raggiungere il tempietto in questione.

Ad accoglierci all'ingresso c'erano delle persone (non so dire se pellegrini o persone legate al tempio in qualche modo) che ci offrirono riso col burro e the.
Il tempio era piccolino e molto antico.
Era posizionato in cima ad un'altura ed era circondato da grossi alberi che non ho saputo identificare.
L'atmosfera era pacata ed incredibilmente desolata, ma non un desolato "negativo"... era un desolato meditativo dove la presenza delle persone era impercettibile.


Siamo entrati nel tempio dove abbiamo pregato e poi siamo tornati sui nostri passi passando attraverso ai campi di riso rosso in quel momento aridi e deserti.


Risaliti in auto ci aspettava un lungo tragitto su strette stradine di montagna per raggiungere la valle di Phobjikha.
Cominciammo subito ad inerpicarci per strade strette ed a strapiombo.
Per strada ogni tanto vedevamo gente ferma ad attendere il bus... facevo davvero fatica ad immaginarmi un bus su per quelle strade.
La natura si mostrava in tutta la sua forza. Enormi alberi ricoperti da muschi e rampicanti si aggrappavano ai terreni scoscesi della montagna sfidando il percorso sinuoso della strada ed invadendolo a tratti.
Man mano che salivamo di quota, gli alberi cominciarono poi sempre più spesso a lasciare spazio a vedute mozzafiato sull'Himalaya.
Dopo un paio d'ore di salita, cominciammo a vedere gruppi yak in mezzo alla strada e la vista sulle vette innevate bhutanesi si faceva sempre più spettacolare.




Intorno alle 13.00 ci fermammo in una piccola locanda, quasi in punta alla montagna.
La temperatura era calata notevolmente, ma il sole splendeva e la vista era spettacolare; così decidemmo di mangiare all'esterno su di un piccolo e basso tavolo in pietra preparato per l'occasione.
Faceva decisamente freddo, ma il piacere di mangiare di fronte a quello spettacolo della natura valse davvero la pena.
Ci concentrammo anche (alla faccia della privacy) su di una gruppetto di minuscole case sui balconi delle quali era stesa un sacco di carne a seccare.
Le case erano decorate in modo diverso ed anche le persone sembravano un po' diverse.
Pensavamo fossero i famosi "uomini delle montagne", ma la guida ci smentì.
Quelli erano esuli tibetani.
Molti dissidenti tibetani erano fuggiti in Bhutan ed avevano trovato posto in queste zone inospitali.
La loro era una vita da esuli che vivevano al limite della povertà in queste zone montagnose semi-deserte.
La guida ci spiegò però che gli uomini delle montagne vivevano in zone ancora più alte ed impervie.
Passammo buona parte del tempo ad osservare una casa in particolare.
Aveva un sacco di carne ad essiccare, la porta di ingresso era aperta ed ogni tanto usciva una signora con bidoni ed oggetti inidentificabili. Seduto sulla veranda un bambino giocava con qualcosa.
Era una scena di una forza difficile da descrivere... era poetica, era densa di significato... di quei significati che si recepiscono con sensi a cui non abbiamo ancora dato dei nomi.
Quella casa che da un lato dava su una stradicciola di montagna, dall'altra sullo strabiombo... nel mezzo di montagne altissime... col cielo come unico contorno ed il sole alleato col vento nel levigare le strutture in legno.


Persone indaffarate nella vita di tutti i giorni, una vita che noi non saremmo stati in grado di comprendere a fondo, nelle bellezze quanto nelle brutture.
Forse tutti gli occidentali (pochi) che passavano di li si fermavano a contemplare quella casa o forse solo noi ne eravamo rimasti catturati, questo non si sa.
Sicuro è che fra le "cose" più preziose raccolte di questo viaggio c'è di sicuro questo momento di osservazione.

Dopo pranzo raggiungemmo in fretta il passo e cominciammo a scendere verso la valle.
La temperatura scece ulteriormente e cominciammo a vedere la neve vicino alla strada.
La Phobjikha valley è a dir poco monumentale. Penso che il termine inglese "huge" la descriva appieno.
Eravamo giunti in quella valle per vedere le Gru dal collo nero, uccello in via di estinzione (qualche centinaio in tutto il mondo) che d'inverno svernava in quella zona.
La gru del collo nero è sacra ai Bhutanesi. La tradizione vuole che quando le gru arrivano e quando ripartono, facciano tre giri attorno al tempio della valle proprio come dei pellegrini.
La nostra prima tappa fu proprio al Gantey Gompa, il tempio sopra citato... tempio che la guida ci descrisse come "L'università del buddismo".
Il tempio era sulla cima di una piccola altura che gli permetteva un'ampia vista su tutta la valle.
Il tempio di per se non aveva nulla di particolare, ma la sua posizione e la sua unicità in quella valle pazzesca lo faceva risplendere di un'aurea surreale.
Faceva un freddo pazzesco e noi eravamo stanchi del viaggio, così la nostra visita durò lo stretto necessario per godersi quell'atmosfera pazzesca.




Arrivammo al "modesto resort" (così lo chiamava il programma di viaggio) in cui avremmo soggiornato durante la nostra permanenza nella valle.
Esternamente la costruzione toglieva il fiato tanto era bella nella struttura e nelle decorazioni.


Fummo accompagnati nella sala comune dove c'era una erorme stufa che scaldava (non abbastanza) l'ambiente.
Ci offrirono del the bollente e qualcosina da mangiare insieme a panni bollenti e profumati da metterci in faccia e sulle mani.
Quando ci fummo rifocillati fummo accompagnati nella stanza.
La stanza era molto carina, aveva degli spifferi pazzeschi ed era scaldata solamente da una piccola stufa.


La cosa della stufa ci rallegrò molto perchè rendeva l'atmosfere pittoresca, ma aveva dei grossi lati negativi:
1- Innanzitutto la stufa era troppo piccola per scaldare e mantenere la stanza calda, soprattutto visti gli immensi spifferi.
2- La posizione del bagno rendeva poi impossibile poter sfruttare la stufa per portare la temperatura all'interno ad un "livello doccia" fruibile.
3- Le dimensioni ridotte della stufa rendevano necessario una carica di legna ogni 45 minuti al massimo.

Prima di cena caricammo la stufa al massimo e poi andammo nella sala comune dove ci attendeva una modesta, ma confortevole cena.
Scoprimmo che con noi nel resort c'era un famiglia francese che si era portata dietro pure il cane e che soggiornava in Bhutan da parecchio tempo.
C'erano forse altre due o tre escursionisti e nessun altro. In effetti non era la migliore stagione per visitare la valle, se non per ammirare le gru dal collo nero.

Quando tornammo in camera il fuoco era quasi spento e la temperatura notevolmente scesa.
Riempimmo la stufa il più possibile e ci tuffammo sotto gli spessi strati delle coperte addormentandoci praticamente all'istante.
Il giorno dopo ci attendeva l'esplorazione della valle e le gru dal collo nero.