venerdì 31 luglio 2015

THE GUDU'S BHUTANESE EXPERIENCE PART 7 - TIGER NEST

Arriviamo così al racconto dell'ultimo giorno del nostro viaggio in Bhutan.
Ci siamo svegliati di buon'ora per intraprendere il trekking verso il Tiger Nest.

Due parole sul Tiger Nest, ma proprio solo due poiché c'è wikipedia per le informazioni tecniche.
Secondo tradizione, quando Guru Rimpoche (il secondo Buddha) arrivò in Bhutan per convertirlo, ci arrivò in groppa ad una tigre volante.
La prima cosa che fece fu andare a meditare in un anfratto di roccia sito su di un picco.
Li rimase per un bel po' di tempo e poi cominciò la sua opera di insegnamento del buddhismo.
Ovviamente l'anfratto divenne un luogo di culto e ci venne costruito un monastero: il monastero di Taktsang... uno dei 10 monasteri più irraggiungibili sulla faccia della terra.

Il percorso da Paro non era particolarmente difficile, un normale trekking di un'ora e mezza nel bel mezzo di bellissime foreste montane addobbate con bandiere di preghiera con 900 metri di dislivello per un'altitudine massima di 3200 m.
Ovviamente il percorso verso il Tiger Nest avrebbe dovuto essere un percorso soprattutto di stampo spirituale che avrebbe dovuto portare il pellegrino ad un innalzamento della propria spiritualità, non un mero esercizio fisico.

Se dovessi descrivere solo il percorso mi limiterei a dire che abbiamo camminato in mezzo ad una natura bellissima e selvaggia nutrendo i nostri occhi ed i nostri cuori con scorci e viste spettacolari.
La fotografie sicuramente renderanno l'idea meglio della descrizione, ma nemmeno loro potranno far capire cosa significa intraprendere un percorso spirituale.
I Bhutanesi facevano questo percorso molto spesso.  Si saliva in silenzio oppure pregando od ancora cantando a bassa voce canzoni locali verso il monastero.
All'inizio del percorso c'erano parecchi di cani e la tradizione voleva che ogni gruppo venisse "adottato" da un cane, che lo avrebbe accompagnato fino alla cima; il suddetto cane era ovviamente spiritualmente legato al gruppo.
I turisti più beceri eseguivano il percorso a dorso di mulo, perdendosi il vero significato della camminata verso il Tiger Nest... fortunatamente erano pochi i turisti in generale (soprattutto indiani e nepalesi) e la percentuale di "beceri" non superava il 30%.
Noi arrivammo sul luogo di partenza del pellegrinaggio intorno alle 9.00 del mattino.
L'aria era frizzante e densa di energia.
Cominciammo la salita camminando lentamente e nutrendo i nostri occhi con la bellezza del luogo.





Dopo 10 minuti si aggiunse a noi un cane completamente nero che ci accompagnò per tutto il percorso.
In alcuni punti c'erano ruote di preghiera e noi le facevamo girare, in altri punti c'erano delle viste mozzafiato e noi ci fermavamo per fare delle foto.



La guida canticchiava e si guardava intorno. Alcuni gruppi di autoctoni ci superavano ed un paio si sono fermati a conversare con noi.
E' stato a dir poco incredibile, sentivo l'energia riempirmi e la pace raggiungermi.





Dopo circa due ore arrivammo su di un picco e ci trovammo il monastero di fronte... eravamo però sul picco sbagliato!
Il Tiger Nest si ergeva, aggrappato alla montagna, di fronte a noi. Fra noi e la nostra meta però c'era l'immenso dirupo che divideva i due picchi.
Fu a quel punto che scoprimmo che ci attendevano ancora i 720 scalini che ci avrebbero portati ad un ponte sul dirupo e poi al monastero.




Cominciammo la discesa della scalinata fino ad arrivare ad una piccola costruzione dove bruciavano un sacco di candele.


Erano candele di preghiera fatte col burro animale. Pagammo il dovuto per accenderne una che avrebbe bruciato per una settimana benedicendo noi, ma anche tutta la valle.
Continuammo la discesa fino a raggiungere un piccolo ponte sormontato da decine di bandiere di preghiera che andavano da un picco all'altro, c'erano anche piccoli incavi nella pietra pieni di piccole statue votive.


A quel punto una piccola scalinata in salita ci avrebbe portati alla nostra meta.


Per entrare fummo obbligati a posare gli zaini, tutti gli apparecchi elettrici ed anche le scarpe.
In inverno in quel punto dell'Himalaya a 3200 metri non faceva esageratamente freddo, ma nemmeno caldissimo... nonostante le calze termiche il freddo della pietra arrivava rapido ai piedi.
Visitammo tutte le sale aperte al pubblico e pregammo insieme alla gente del luogo, poi tornammo a riprendere la nostra roba. Ci volle in tutto poco meno di un'ora.
Al ritorno ci fermammo nuovamente nella zona delle candele per accendere la candela che durante la nostra visita al monastero era stata preparata e benedetta dal monaco.


Fu emozionante pensare che un pezzo di noi sarebbe rimasto in quel luogo magico ancora per una settimana.
Il monaco ci offrì the con latte e biscotti e noi accettammo volentieri.
Dopo la pausa cominciammo la discesa che percorremmo nella metà del tempo, quasi correndo tanto eravamo pieni di energia; ci fermammo solo per raccogliere un po' di terra locale come da nostra tradizione.
Tornati a Paro, ci fermammo in un ristorantino a mangiare e poi tornammo in albergo per riposarci.
Durante la discesa la guida ci chiese se volevamo fare un "Hot stone Bhutanese bath", ma di quelli veri, non quelli per turisti.
Ovviamente la risposta fu si. Ci sarebbero venuti a prendere nel tardo pomeriggio per quest'ultima esperienza bhutanese.
L'"Hot stone bath" constava nell'immersione in acqua calda riscaldata mediante pietre roventi; la pietra rovente buttata in acqua rilasciava sostanze naturali benefiche che, insieme al caldo intenso, avevano varie proprietà terapeutiche.
La guida ci portò in una specie di fattoria.
Fummo accolti con la solita cortesia e poi fummo accompagnati in una specie di piccolo capanno con le pareti alte solo due metri, un metro di vuoto e poi il tetto in legno.
La vista del capanno mi turbò un po' perché la temperatura esterna era di 5°C ed essendo il capannone sostanzialmente aperto, non potevamo aspettarci una temperatura migliore all'interno.
Su di un lato del capanno c'erano due uomini che prendevano pietre da un grosso falò e le buttavano in due grosse tinozze in legno che spuntavano dal muro.
In pratica le vasche di legno erano parzialmente dentro al capanno e parzialmente fuori, il foro del muro da cui uscivano era costruito in modo che dall'esterno non si potesse vedere dentro.
Ci fecero entrare, ci diedero la chiave della porta ed aggiunsero semplicemente di spogliarci e metterci nelle vasche.
Dopo qualche minuto di turbamento, presi coraggio e cominciai a spogliarmi.
Per non prendere troppo freddo, mi spogliai rapidamente e poi mi tuffai nella vasca... mi tuffai nella vasca per subito saltarne fuori urlando... l'acqua era caldissima.
Mi chiedevo come avrei fatto ad entrare in un'acqua così calda, ma poi quando la Vigi mi raggiunse, ci immergemmo piano piano, un pezzo per volta e riuscimmo nell'impresa.
L'acqua era profumata con artemisia e l'immersione era davvero ritemprante.
Il tempo di permanenza minimo per avere dei veri vantaggi era di 30 minuti, ma dopo 20 io stavo per svenire a causa dell'abbassamento di pressione e così dovetti attendere che la Vigi finisse il suo bagno fuori dall'acqua.
Che figura da cioccolataio! Altro che indomito avventuriero.
Dopo il bagno, i padroni della fattoria ci invitarono a cena e noi accettammo volentieri.
Fu così che potemmo godere di un vero pasto bhutanese.
Il cibo era il solito che avevamo già mangiato, ma si mangiava con le mani chiacchierando allegramente e ridendo spesso.



Fu un'esperienza davvero importante per me.
Durante la cena decidemmo che dovevamo concludere il nostro viaggio bevendo whiskey in un bar locale e fu così che dopo il pasto ci trasferimmo in un bar locale.
Il bar era una stanza grande circa 6 metri per 3 metri divisa in due.
Da un lato c'era l'oste (anzi l'ostessa poiché era una donna) che cucinava su di un bidone metallico piccoli stuzzichini.
Dall'altro lato c'erano i clienti. Siccome il bar poteva contenere non più di 10 persone, noi occupammo tutto lo spazio e cominciammo a bere e mangiare.
Il whisky locale era molto leggero, ma i bhutanesi lo bevevano misto al succo di frutta; la Vigi si adattò alle usanze, mentre io optai per il whisky liscio.
Mangiammo, bevemmo, ridemmo ed ancora mangiammo e bevemmo in amicizia.
Alla fine tutti i bhutanesi presenti erano alticci o proprio ubriachi; quello messo peggio era l'autista che a fine serata ci tradusse una canzone d'amore bhutanese trasmessa alla radio praticamente piangendo.
Quando uscimmo dal pub tutto era completamente buio, eravamo nella seconda città del Bhutan, ma non esisteva illuminazione notturna, fu "pittorescamente bellissimo" tornare all'albergo a piedi illuminati solo dalle stelle in quell'atmosfera di amicizia che si era creata.


Quell'uscita post-cena era stata la ciliegina sulla torta di una giornata e più in generale di un viaggio fantastico.
Il mattino successivo fummo accompagnati all'aeroporto e volammo via.
Mentre l'aereo eseguiva tutte le difficili virate in mezzo alle montagne, io osservavo dal finestrino il Bhutan che si allontanava con il cuore gonfio di malinconia.
Del Bhutan mi resteranno nel cuore molte cose: le persone estremamente spirituali, i paesaggi, le case, il canto del vento nelle valli, i templi ed in generale la sensazione di aver vissuto per un po' all'interno di una grande preghiera comune, non saprei come descrivere altrimenti la sensazione di pace, benessere e sicurezza che ho avuto durante tutto il viaggio.

E così anche questo viaggio l'ho messo nero su bianco in questo mio piccolo blog.
Fra due giorni io e la Vigi partiamo per la Cina del Sud alla ricerca di nuove esperienze, nuovi paesaggi, nuove emozioni.

giovedì 16 luglio 2015

THE GUDU'S BHUTANESE EXPERIENCE PART 6 - VERSO PARO

Accidenti devo essere svelto a concludere questo diario di viaggio perchè mancano solo più 15 giorni esatti alla nostra partenza per la Cina.

Del giorno successivo ci sono poche cose da raccontare.

Partimmo presto la mattina alla volta di Paro sperando di evitare i blocchi sulle strade montane, ma fummo sfortunati.
Arrivati ai piedi del secondo blocco, nei pressi in un piccolo villaggetto, trovammo la strada chiusa e già una immensa fila di auto e camion fermi un po' ovunque.
L'autista aveva guidato come un pazzo per le strade montane sperando di evitare i blocchi ed io avevo sofferto un po' il mal d'auto, così scesi dall'auto e mi sdraiai su di un muretto quasi senza far caso a ciò che avevo intorno.
Non mi ero accorto che ci eravamo fermati quasi nel mezzo del coloratissimo mercato del villaggio.
A noi il villaggio sembrava piccolo, ma probabilmente era il punto di riferimento della zona poichè il mercato era parecchio frequentato e ci si poteva trovare di tutto, dalle sementi agli attrezzi da cucina.
Era tutto un brulicare di persone che si muovevano fra i banchetti osservando e comprando.
Sicuramente i blocchi stradali portavano un sacco di clienti al mercato, infatti molta gente scendeva dai mezzi per andare a comprare un dolce, un frutto od anche un attrezzo.




Io rimasi sdraiato sul muretto mentre la Vigi e la guida andarono a comprarsi un dolce locale in una piccola panetteria.
Nonostante il disagio gastrico, fu una piacevole sosta.
Il mercato brulicava di attività e si poteva godere di un bellissmo scorcio di vita buthanese.
Mangiammo pranzo in una locanda e bivaccammo in attesa dell'apertura del passo fino alle 15.30.

Due ora dopo eravamo di nuovo fermi al blocco successivo, quello che portava al passo di Dochu-la.
Io rimasi in auto a sonnecchiare, l'autista scese a prendere il the in strada con dei camionisti mentre Virgi e la guida decisero di raggiungere il passo a piedi visto che distava solo 6 Km.
Dopo circa due ore il blocco fu tolto ed io e l'autista raggiungemmo in breve tempo il passo.
Questa volta il cielo era plumbeo ed il vento tagliente, così io e l'autista decidemmo di rifugiarci nell'unica locanda presente in cima al passo.
La locanda era quasi deserta ed ovviamente io ero l'unico occidentale.
Ci fecero accomodare di fronte ad una delle tipiche stufe buthanesi che avevamo incontrato un po' ovunque e ci diedero the e crackers.
Dopo qualche minuto arrivarono anche la guida e Virgi rossi in viso per lo sforzo ed il freddo.

Restammo al riparo per circa mezz'ora poi decidemmo di ripartire.
Rimasi stupito quando mi dissero che non dovevo pagare nulla... the e cracker facevano parte della sacra ospitalità.
Queste sono le piccole cose che fanno la differenza fra un popolo davvero civile ed uno incivile.
Senza pensare al guadagno o a fregare il turista, mi fu fornita ospitalità.
L'ospitalità è sacra in Buthan; l'ospitalità ai templi, l'ospitalità nelle case e l'ospitalità perfino negli esercizi commerciali.
Inutile dire che rimasi molto molto colpito.

Arrivammo a Paro nel tardo pomeriggio e rimase solo il tempo per visitare il museo dedicato alle maschere rituali buthanesi.
A vederle non avevano nulla di particolare, ma a conoscere i significati ed i personaggi ritratti sembravano animarsi di energie sovrannaturali e mistiche.
Poco prima di cena arrivammo al nostro albergo.
L'albergo era stata la residenza politica importante fino a pochi anni prima ed esteticamente era bellissimo, oltre ad essere labirintico quasi come il castello di Hogwarts.


Unico neo fu l'impianto di riscaldamento insufficiente, ma le coperte erano pesanti e noi eravamo belli stanchi.
Mangiammo una cena frugale e poi andammo a letto.
Il giorno dopo ci aspettava l'impresa: il trekking fino al Tiger Nest, la meta che io aspettavo fin dall'inizio del viaggio.