Ci siamo svegliati a Dar Es Salaam il 23 dicembre 2012, dopo una grossa e profonda dormita coadiuvata dalla stanchezza per il viaggio, affamati ed eccitati.
Dopo una mia immancabile battuta sul fatto che il mondo non era finito il 21 dicembre 2012 e che quindi avremmo potuto goderci l'avventura (battuta già fatta il giorno precedente), ci siamo riuniti agli altri nel corridoio e siamo andati a fare colazione.
Finalmente, dopo il viaggio in Namibia, potevo ri-godermi l'aroma del mitico the rosso africano Rooibos (cercato e mai trovato in Italia, Inghilterra e Repubblica Ceca) mentre gli altri della compagnia perpetravano la loro tradizione della colazione continentale durante i viaggi... a me veniva la nausa solo a guardarli... pancetta, uova, salsiccia appena svegli... burp!
Dopo colazione tutti sul fuoristrada di Bilali in marcia verso il parco del Selous, destinazione "Lake Manze Tented Camp".
Uscendo dalla città abbiamo incontrato poco traffico, le vacanze di Natale erano iniziate anche in Tanzania e gli autoctoni erano tornati ai loro villaggi nelle campagne o stavano semplicemente poltrendo a casa.
Siamo usciti rapidamente dalla città mentre Bilali ci raccontava della sua permanenza in Italia e dopo pochi chilometri eravamo già lontani da quella che noi occidentali chiamiamo "civiltà" (asfalto, smog, rumori, cemento, puzza).
Affrontavamo stradicciole strette e dissestate. Bilali ci dava svariate informazioni fra le quali il fatto che in Tanzania i mussulmani ed i cristiani vanno perfettamente daccordo e si sposano anche fra loro ed addirittura il presidente cambia ogni 5 anni ed è alternativamente mussulmano e cristiano.
Mentre Bilali parlava, io guardavo la vegetazione lussurreggiante tutto attorno a me e cercavo di immergermi nell'atmosfera.
Ogni tanto incontravamo persone a piedi, in bici ed in moto... tutti stracarichi di roba.
Dopo qualche ora incominciammo ad incontrare anche qualche piccolo villaggio: casette simili a boungalow piene zeppe di cose in vendita di ogni tipo, le persone svolgevano le loro attività giornaliere ai bordi della strada al di fuori delle abitazioni, ovunque colori sgargianti e poca curiosità nei nostri confronti a parte i venditori ed i bambini, perennemente eccitati da ogni cosa nuova.
La mia impressione era quella di trovarmi in quei film di Bud Spencer & Terence Hill degli anni '70 girati in Africa. La popolazione che ho visto era molto diversa da quella delle zone desertiche della Namibia: erano molto occidentalizzati, i maschi vestiti con abiti occidentali e le donne vestite in stile Africano, ma lontane dalle usanze propriamente tribali; tantissime motociclette cinesi e tanti telefoni cellulari.
Avunque si vendevano bottiglie d'acqua riempite di liquido rosso che io pensavo essere una bevanda ed invece era benzina e frutta fresca.
Ad uno di questi villaggi ci siamo fermati e Bilali ha comprato anas, banane e manghi.
A mezzogiorno ci siamo fermati nel cortile di una scuola (tutte dipinte di blu in Tanzania) in quel momento deserta per le vacanze di Natale ed abbiamo pranzato con ali di pollo e la frutta comprata.
In questa occasione ho scoperto il vero gusto dell'ananas.
Io ero già un grande fan dell'anans, ma quegli ananas... quegli ananas erano divini: dolci, gustosi, succosi, morbidi nella consistenza. Per tutto il viaggio mi sono ingozzato di Anana; Bilali li tagliava a fette col machete e poi li appoggiava sul cofano della macchina... cosa che mi faceva sentire molto avventuriero. Mi risulta impossibile descriverne il gusto, posso solo dire che quelli che si comprano dal migliore fruttivendolo italiano non sono che una pallida imitazione di quelli che ho gustato durante tutto il viaggio.
Ottimi anche i manghi, ma non posso fare un paragone perchè in Italia non lo ho mai mangiati. Le banane non le ho assaggiate perchè non mi piacciono molto, ma i miei compagni erano tutti dell'opinione che il livello era lo stesso dell'ananas... a posteriori mi pento di non averne assaggiata nemmeno una in tutto il viaggio.
Nel tardo pomeriggio siamo arrivati al campo tendato, the Lake Manze tented camp.
Il campo era stato costrutio nel bel mezzo della savana, nel parco del Selous, sulle rive di un lago (loro lo chiamano lago, ma è più simile ad un immenso stagno).
Siamo stati subito accolti con un ottimo succo di mango e, dopo esserci accomodati nella tenda comune (quella dove si mangiava), ci hanno indicato le regole di comportamento.
Dopo le sei di sera era vietato uscire dalla tende; per la cena sarebbe venuto un guerriero masai a scortarci fino alla tenda comune e ci avrebbe scortati anche al ritorno fino alle tende.
In caso di emergenza avremmo dovuto usare il fischietto in dotazione ed un guerriero masai sarebbe accorso (e qualcuno lo abbiamo anche sentito nelle dolci notti africane).
Anche di giorno era vietato andare in riva al fiume od allontanarsi dai sentieri sorvegliati per il rischio di essere accoppati da coccodrilli, ippopotami, bufali, elefanti, leopardi, leoni... in pratica qualsiasi cosa che avessimo incontrato avrebbe cercato di farci la pelle, stercolari a parte.
A colpirmi però fu il fatto che non c'era corrente elettrica.
Io ero abituato ai campi tendati Namibiani che, ragni a parte, erano delle grandi e lussuose suite con le pareti in tessuto e, da buon coglionazzo occidentale, ebbi un moto di angoscia ad immaginarmi interi giorni senza corrente.
Dopo le spiegazioni fummo accompagnati alle tende ed in quel caso ebbi un notevole moto di angoscia:
innanzitutto le tende erano in semplice stile coloniale inglese: piccole e strette e dotate solo di letto e cassapanca... insomma... molto lontane dagli standard namibiani.
Entrati nella tenda la domanda sorse spontanea: "Where is the toilet"... la risposta mi creo turbamento: al bagno si accedeva dalla cerniera al lato opposto della tenda. Il bagno era all'esterno: era composto da una tazza, una doccia ed un lavandino circondati da un telo... senza tetto, senza isolamento dall'esterno... in pratica mentre cacavo, una scimmia poteva venire a condividere la tavola con me, un serpente poteva venire a farsi la doccia od un leopardo poteva giocare a "Pesca l'omino" dai rami dell'albero che ombreggiava la nostra tenda.
Quello fu un duro colpo... toglietemi tutto, ma non una cacata in tranquillità e serenità... quando vidi il bagno dissi fra me e me "non cagherò per i prossimi 10 giorni".
Alle 19.00 è venuto a prenderci il guerriero masai e ci ha portato alla tenda comune.
Camminando sul sentiero, guardavo il cielo stellato africano ed aguzzavo l'udito per godermi i rumori notturni della savana.
Da quel giorno ripresi la mia tradizione del gin tonic prima dei pasti... ed attaccai il vizio anche agli altri.
Le luci nella tenda comune erano soffuse (candele e lampade ad olio) e l'atmosfera davvero placida, calda, gioviale, accogliente... era come se tutti facessimo attenzione a non fare rumore per poterci meglio integrare nella natura... tutti eravamo consci di essere fra i pochi fortunati a potersi godere un posto come quello. Noi avevamo scelto apposta la Tanzania del Sud, molto diversa dalla turistica Tanzania del Nord... questa parte di Tanzania era molto più selvaggia e poco turistica, in un'area grande come il piemonte erano ammessi non più di 70 turisti e tutto era gestito in modo da lasciare spazio solo ai viaggiatori amanti della natura vera e selvaggia.
A quanto pare non tutti quelli che finiscono in questa zona ne sono a conoscenza perchè incontrammo parecchie persone che non sapevano a cosa andavano in contro, come quelli che si barricarono in tenda... ma di questo parlerò più avanti.
Ci accomodammo tutti insieme ad un lungo tavolo di fronte alla tenda comune... un lungo e rozzo tavolo circondato da quattro falò posto ai quattro lati.
Fui stupito dall'apprendere che non si sarebbe mangiata selvaggina; in Namibia avevo mangiato kudu, orici, zebre, antilopi, dik-dik e qualsiasi erbivoro solcasse il terreno namibiano mentre in Tanzania ci servivano del pollo.
L'atmosfera era piacevomente soffusa e si potevano godere tutti i rumori della savana, accompagnati dal crepitio dei fuochi. I guerrieri masai, come guardie invisibili, stavano fermi immobili dove iniziava l'oscurità ed apparivano improvvisamente se qualcuno provava ad allontanarsi, come ad esempio quanto pensai bene di fare quei 10 metri in solitudine per andare in bagno.
Dopo cena tornammo in tenda (sempre scortati dai guerrieri masai).
Ci addormentammo subito cullati dai barriti degli ippopotami a non più di cento metri dalla tenda.
Nel mezzo della notte fummo svegliati da un elefante che camminava pigramente vicino alla nostra tenda abbattendo le piante più piccole con quella flemma che solo gli elefanti hanno.
Che bello essere in mezzo a tutto questo "vivere"; sono emozioni forti che risvegliano delle cose dentro gli animi e portano ad una crescita interiore notevole... od almeno questo è stato l'effetto su di me... ogni volta che faccio un viaggio, divento più ricco... di quella ricchezza che nessuno può portarti via... la ricchezza interiore.
Ero in una tenda nel mezzo della savana... goduriosa sensazione di avventura e vita.