Il 20 agosto è iniziata un'altra Gudu's experience.
Destinazione Giappone.
La mattina del 20 ho indossato le mie scarpe da viaggio (scarpe da montagna che indosso solo quando viaggio) ed i miei pantaloni estivi da viaggio (che indosso sempre alla partenza di ogni viaggio dall'avventura in Namibia del 2011) ed ho caricato la macchina.
Questa volta ad accompagnarci purtroppo non c'erano le nostre mitiche sacche da avventurieri (sempre più addobbate con le toppe delle varie bandiere dei luoghi visitati) poichè avevamo in progamma poderosi spostamenti a piedi; inizialmente la cosa ci ha rattristati un po', ma a ragion veduta siamo stati molto saggi.
La Vigi ha indossato anche lei le sue scarpe e pantaloni da viaggio, si è caricata in spalle l'attrezzatura da fotografa e mi ha raggiunto.
Prima destinazione: l'aereoporto di Milano Malpensa.
Alla guida dell'auto Mello (proprio colei che venne con noi fino in Tanzania), che ci avrebbe recapitati a destinazione e sarebbe tornata a casa in modo da non doverci preoccupare del parcheggio.
L'arrivo in aereoporto è sempre una parte fondamentale delle Gudu's experiences... è il momento in cui ti assale l'eccitazione per il viaggio.
Io adoro gli aereoporti.
Sono come portali verso mille dimensioni di avventura... pieni di persone che vanno e vengono da ogni dove.
Essendo l'imbarco previsto per le 14.00 abbiamo fatto un rapido pranzo ad un self-service locale ovviamente costoso come un ristorante di alta cucina nelle langhe e poi siamo stati in trepidante attesa dell'imbarco.
Io avevo già previsto cosa vedere nelle 12 ore di traversata.
La visione dei film durante il volo è un rito irrinunciabile e facente parte integrante del viaggio. Io avevo calcolato di vedere Fast&Furious 6 e Star Trek 2.
Per farla breve, senza descrivere le incredibili minchiate che di solito facciamo io e la Vigi per passare il tempo in sala d'attesa, alle 14.30 eravamo sull'aereo dove io scoprivo con orrore che nessuno dei film della mia wish-list era presente nell'archivio... poco male, avrei deviato su Ironman3 e Jimmi Bobo.
Il volo è stato per me rapido ed indolore.
Avevamo la fortuna di essere in 2 su tre sedili, indi per cui io mi sono goduto i due film in questione e poi mi sono svaccato, dormendo per le restanti 7-8 ore di viaggio.
Un po' peggio è andata alla Vigi che in aereo fatica a dormire.
La sua è stata una lunga traversata.
Il 21 agosto alle 9.00 del mattino siamo atterrati all'aereoporto Narita di Tokyo.
Il primo approccio che ho avuto mettendo piede in Giappone?
Tre addetti alle pulizie sdraiati sotto ad una panchina per pulire anche la parte inferiore del suddetto oggetto ed il pavimento con la moquette... moquette più pulita del pavimento di casa nostra.
Arrivati in aereoporto siamo andati a farci attivare l'abbonamento per i mezzi pubblici acquistato dalla Vigi on line.
Una delle prime cose che consiglio a chiunque visiti il Giappone è di prenotare da casa tutto il prenotabile. In Giappone quasi nessuno parla inglese; inoltre parlano tutti sottovoce e con un accento tale da rendere difficile la comprensione anche ad una "quasi-madrelingua" come la Vigi.
Il secondo approccio con il Giappone è stato "La cortesia e disponibilità": la signorina dello sportello, fra mille sorrisi ed inchini, si è offerta di prenotarci con anticipo i posti riservati su tutti i treni che avremmo preso da li al giorno della nostra partenza.
Con infinita pazienza si è informata sul nostro itinerario e ci ha prenotato tutto. A ragion del vero è stata avvantaggiata dal fatto che Virginia aveva un chiarissimo piano di viaggio in mente... però questa signorina ha passato con noi 20 minuti senza smettere di sorridere, senza perdere la pazienza, senza sottrarsi a nessun possibile lavoro al fine di rendere più semplice il nostro soggiorno.
Sbrigate tutte le pratiche siamo saliti sul treno (ovviamente iperpulito, rapido, silenzioso e dotato di bigliettaio che faceva l'inchino ad ogni persona a cui controllava il biglietto) per raggiungere il quartiere di Ueno.
Scesi dal treno finalmente mi sono trovato di fronte il Giappone.
Ueno è uno dei quartieri anni '70 di Tokyo... sembra di essere in un manga: strade strettissime, ammassamento pazzesco di case di tutti i tipi messe a casaccio come se il piano regolatore fosse stato disegnato da Ray Charles, poche auto, molte biciclette ed un caldo abominevole.
La Vigi è riuscita a muoversi senza mai sbagliare nella metropolitana di Parigi, nei vicoli di Londra, nelle campagne Francesi, sulle strade montuse della Namibia... ha però dovuto cedere di fronte alle strade di Ueno, ma soprattutto di fronte alle mappe falsate in nostro possesso.
Dopo una buona mezz'ora di "girare in tondo" coperti di sudore e nettamente provati dalla passeggiata con valigie sotto il sole rovente, un passante impietosito si è avvicinato e ci ha chiesto se poteva aiutarci... e cosa incredibile, sapeva anche dire tre parole in inglese!
Abbiamo così scoperto di essere usciti dalla metro nel punto sbagliato e siamo arrivati rapidi all "Edo Sakura" il nostro primo Ryokan.
Cos'è un Ryokan? E' l'equivalente dei nostri bed & brekfast... però in versione giapponese... si dorme per terra col fouton in piccole stanza quadrate che quasi sempre hanno la vista su piccoli giardini zen, è vietato indossare scarpe ed all'interno si indossa lo yukatai fornito dalla struttura.
Con grande emozione ho aperto la porta del ryokan (tipicamente giappponese con scorrimento laterale e tendine di fronte) e siamo entrati.
L'accoglienza è stata ...1....2...3... giapponese: prima ancora di farci compilare i moduli, ci hanno fatti sedere e ci hanno offerto del the; poi con calma e pacatezza ci hanno portato i moduli da compilare.
All'interno un'atmosfera di serenità e pacatezza.
Per il primo giorno a Tokyo avevamo deciso di provare una "stranezza locale": a Tokyo i pensionati o gli studenti che studiano lingue estere si offrono gratuitamente di fare da guida agli stranieri; bisogna solo pagare loro gli spostamenti e gli ingressi ai luoghi visitati.
Incuriositi dalla cosa, abbiamo pensato di provare questo servizio, anche alla luce del fatto che eravamo reduci di un volo di 12 ore con jet-lag di 7 ore e quindi poco propensi a districarci fra le strade e le metropolitane di Tokyo.
La nostra guida era una minuta studentessa di lingua italiana che in italiano sapeva solo dire "Buongiorno", "Conosco un po' l'italiano", "Torta", "Armani", "Gucci" ed altre firme italiote.
Fortunatamente il suo inglese era migliore... il problema è che parlava pianissimo... e così parte della giornata è passata con Vigi che mi prendeva per il culo sul fatto che io non capivo una fava di quel che mi diceva la nostra guida e rispondevo sempre "Yes"... anche quando mi ha chiesto che lavoro facevo e cosa conoscevo del Giappone.
Tokyo è una bella città... parlando con sincerità non è una delle più belle e nemmeno delle più brutte... è semplicemente una città come tante.
Siamo saliti su di un grattacielo per goderci lo skyline di Tokyo, andati al museo nazionale dove, oltre alle opere d'arte, un'intera sala è dedicata ad un ologramma in stile manga che canta e che in Giappone è idolatrata come lo è in Italia Vasco.
Siamo andati in un caffè di lusso all'interno di un negozio di diamanti (una specie di "Merenda da Tiffany"), abbiamo girato per negozi dei mitici quartieri di Ginza e Roppongi ed ho avuto il piacere di regalare alla Vigi uno yukata originale fatto a mano con tessuti speciali in una boutique del centro.
Tutto bellissimo, ma come ho scritto sopra, la cosa che rende Tokyo speciale non è la città in se... è il fatto di essere in Giappone.
A renderla "diversa" sono i Giapponesi con le loro abitudini.
Evito quindi la descrizione di musei, palazzi, giardini per andare a descrivere le cose che ci hanno colpiti del il modus vivendi giapponese.
Le prima cosa tipica con la quale ci siamo incontrati ed alla quale ci siamo subito uniformati è stato l'uso smodato di bibite energetiche.
Ogni 30 metri (e non sto esagerando) c'è un distributore automatico di bevande, la gente ha costantemente in mano bevande.
Noi ci siamo subito uniformati diventando schiavi del Pokari Sweet... una bevanda energetica fatta con l'acqua ionizzata dal gusto dolciastro... più ne bevi e più hai sete... più ne bevi e più ne compri.
Il tipico giapponese tiene poi, nella mano non occupata dalla bibita energetica, un ombrello... non portatile... un ombrello di quelli grossi.
La guida ci ha chiesto subito se volevamo acquistare uno... noi sprezzanti abbiamo detto di no, dichiarando poi in italiano "Noi veniamo da Cuneo... con sto caldo se piove ci va giusto bene".
Ovviamente due ore dopo, in preda ad un momentaneo diluvio universale, eravamo in un negozio a comprare un ombrello portatile... ovviamente due giorni dopo abbiamo capito che l'ombrello portatile non era abbastanza e ce ne serviva uno grosso.
In tutta Tokyo, giardini imperiali a parte, ci saranno 100 alberi... eppure dove crescono più di cinque fili di erba si sente il vociale delle cicale... all'inizio eravamo in uno spiazzo di fronte ad un grattacielo (2 alberi e 3 metri quadri di erba) e c'era sto rumore pazzesco di cicale... e Vigi a dire "Ma pirla!, sono registrate... che cosa tipica!"... in verità la cosa tipica era che ovunque ci sono le cicale.
In tutta Tokyo, giardini imperiali a parte, ci saranno 100 alberi... eppure non c'è l'aria pesante che si respira nelle città del sud europa... pochissime auto, metà delle quali elettriche od ibride e di cilindrata minimale... tanta gente in bicicletta nonostante la totale assemza di parcheggi dedicati.
Le biciclette vengono parcheggiate in ogni dove senza lucchetti o catene... cosa inconcepibile praticamente in qualunque altro paese.
Anche se la scuola non era iniziata, in giro c'erano molti adolescenti con la divisa scolastica, come nei manga.
A Tokyo i Taxi sono delle riedizioni o restauri di vecchie auto; all'interno i sedili sono foderati con centrini bianchi per fare vedere ai clienti quanto è pulito il taxi ed I taxisti indossano guanti bianchi. I taxi costano pochissimo.
Tutti i lavoratori dei cantieri hanno il casco e la divisa... sembrano gli omini lego... che risate io e Vigi a vederli le prime volte... uguali uguali agli omini lego... sono pure gialli.
Se c'è un cantiere, c'è un omino con lo sfollagente luminoso che si inchina e ti indica dove passare... per fare un lavoro che richiede una persona ce ne sono almeno tre.
Ogni lavoro viene fatto con impegno e passione. Una cosa che mi ha colpito è la spriritualità con la quale lavorano. Mi è sembrato di capire che per loro il lavoro è un metodo di crescita che avviene attraverso la dedizione e l'impegno.
Abbiamo visto donne delle pulizie con faccia serena ed impegnata in ginocchio nei cessi pubblici per pulire dietro al water (i bagni pubblici Giapponesi sono più puliti del bagno di casa nostra, sono numerosissimi e sempre dotati di carta igienica e copritavoletta o spray disinfettante)... abbiamo visto operai dei cantieri pubblici chiedere scusa inchiandosi per la deviazione di mezzo metro che abbiamo dovuto fare per evitare il tombino nel quale lavoravano... abbiamo visto gli addetti agli ascensori inchinarsi ed augurarci buona salita prima che l'ascensore partisse... sono solo esempi... potrei andare avanti per ore... un ultimo esempio: quasi nessuno parla giapponese, ma non perderanno la pazienza e persevereranno con sguardo sereno fino a che non avranno capito cosa vuoi da loro e come possono aiutarti.
I giapponesi non si soffiano il naso in pubblico, preferiscono tirare su col naso producendo spesso trani rumori, rispettano la fila anche per entrare in metropolitana, sui mezzi pubblici stanno in silenzio, non mangiano e non parlano al cellulare.
I giapponesi hanno sviluppato inoltre i superpoteri "La mia fermata" e "Sonnolenza istantanea"... appena si siedono in metro, si addormentano e si svegliano come per magia alla loro fermata.
I giapponesi hanno anche il super-potere "Non patisco il caldo": mentre io e Vigi avevamo le magliette appiccicate alla pelle dal sudore, i giapponesi si muovevano in giacca e cravatta tranquilli e freschi come se fossero stati tirati fuori dal freezer tre secondi prima.
I giapponesi hanno la mania dell'aria condizionata... anche sui pullman che avremmo poi trovato nelle zone montagnose, l'aria condizionata era presente e devastante.
Alle 19.00 la nostra guida si è accomiatata fra mille inchini e sorrisi.
Noi abbiamo giracchiato ancora un po' per le tranquille vie del centro per poi tornare al ryokan.
La sera ci siamo fatti consigliare dalla direttrice del Ryokan una locanda tipica per mangiare gli yakitori.
Ci siamo ritrovati in una di quelle locande che si vedono solo nei manga: piccola e stretta, seduti al bancone con il cuoco che ci preparava il cibo di fronte.
In giappone i ristoranti (quelli per gli autoctoni) sono dedicati ad un solo tipo di piatto.
La locanda in questione cucinava solo yakitori.
Gli yakitori sono sostanzialmente degli spiedini con attaccato di tutto.
In quelli che abbiamo mangiato noi (abbiamo preso uno yakitory a testa per ogni tipo) c'era carne di pollo, di maiale, di vitello, uova di piccoli uccelli non identificati, verduere varie (alcune identificabili, altre no) e fegato.
Come si ordina in Giappone se non si conosce il giapponese?
Ogni menù ha le foto... come i nostri odiosi menù turistici, solo che in Giappone è una cosa normale e non dedicata ai turisti... in alcuni locali ci sono perfino le riproduzioni in plastica dei piatti serviti.
Noi gaurdavamo la foto ed indicavamo quello che a vista sembrava buono... ogni tanto ci andava bene ed ogni tanto no. Quella sera ci andò parecchio bene.
Quando la gente presente ha capito che eravamo italiani... grande festa... la nonnina matriarca della famiglia dei gestiori ci ha fatto degli origami e gli avventori presenti non smettevano più di salutarci e dirci mille cose... cose che noi ovviamente non capivamo, ma che abbiamo deciso di interpretare come benedizioni per le nostre vacanze.
Al ritorno abbiamo incontrato il nostro primo tempietto scintoista con tanto di tipico gatto a guardia.
Tornati dalla cena abbiamo indossato i nostri yukata e ci siamo addormentati per la prima volta su di un futon... incredibilmente comodo ed accogliente.
Il primo giorno in Giappone era passato.