Avremmo dovuto valicare le montagne ad Est di Thimpu per raggiungere Punakha passando per il passo di Dochu-La a 3200 metri di altitudine.
Io le Vigi eravamo molto eccitati in quanto avremmo posizionato in punta al passo le nostre personali bandiere di preghiera.
Dopo aver fatto colazione e comprato le bandiere, saltammo in auto e partimmo alla volta del passo.
Mentre ci allontanavamo da Thimpu per le strette strade che si aggrappavano alle montagna, osservai la statua gigante di Buddha a lungo, fino a che non fu più visibile.
Era sempre là a vegliare sulla città con i suoi occhi magici e la sua energia sovrannaturale, circondata dalle bandiere di preghiera mosse dal vento.
Arrivammo velocemente al passo di Dochu-La.
Fino a quel punto il panorama era stato modesto a causa del percorso che seguiva la strada ed a causa della fitta vegetazione che letteralmente aggrediva la strada.
In cima al passo c'era uno Stupa, un tempio ed una locanda (che più avanti avrebbe avuto una parte nella nostra storia).
C'era poca gente in giro, solo una famiglia di indiani in vacanza e qualche locale che si era fermato per riposarsi nella locanda.
Scendemmo dall'auto e seguimmo la guida, che si arrampicò verso la punta del valico, senza guardarci intorno.
L'aria era frizzante, ma non fredda e "sapeva di pulito", non saprei descriverla diversamente.
Arrivati sul cucuzzolo della montagna trovammo una mucca al pascolo ed una miriade di bandiere di preghiera legate a pali, alberi, pietre, ovunque ci fosse un'appiglio.
Cominciammo a posizionare anche le nostre quando ci accorgemmo che avevamo lasciato la biro (per scrivere le dediche) in auto.
Mi voltai per tornare sui miei passi ed andarla a prendere e rimasi a bocca aperta. Di fronte a me si era manifestato un panorama mozzafiato.
Mozzafiato è dire poco: le altre cime attorno a noi svettavano verso il cielo uscendo dalla nuvole, il bianco delle loro cime contrastava con l'azzurro del cielo come in un quadro.
Fra le montagne si apriva una valle immensa completamente ricoperta da vegetazione lussureggiante... e di nuovo il contrasto del verde con il bianco delle cime creava un senso surreale.
Corsi a prendere la biro e poi scrivemmo le nostre dediche sulle bandiere. Mi piace pensare che ancora adesso le nostre bandiere sono là, a spargere preghiere sulla valle ed a testimoniare il nostro passaggio... piccoli e fuggevoli esseri in mezzo alla grandezza ed alla durevolezza della Natura.
Non ci fermammo alla locanda in quanto la situazione delle strade nel Bhutan era molto particolare in quel periodo.
Le strade erano sterrate, strette e fangose e lo stato stava cercando di migliorarle con lavori che duravano da anni.
Il risultato era che le strade erano chiuse per la maggior parte del tempo tranne per due corridoi di circa due ore cadauno che venivano aperti uno alla mattina ed al pomeriggio; quindi non si poteva perdere tempo, bisognava arrivare ai "Punti di blocco" negli orari stabiliti.
La strada verso Punakha fu una grande avventura.
C'erano alcune strettoie fangose a strapiombo su gole profonde.
Poteva passare solo un'auto per volta. Le persone che erano appena passate, scendevano dalle auto e spingevano sull'auto che stava superando la strettoia per evitare che cadesse nella gola.
Le macchine non erano molte, ma ci volevano anche 20 minuti per il passaggio di ogni macchina; così si era creata una lunga coda.
Le auto erano quasi tutte piccolissime utilitarie della Tata (casa automobilistica indiana) stracariche di cose e persone; le guardavo e mi chiedevo come avessero fatto ad inerpicarsi nel fango fino a li.
Notai che le auto avevano gli specchietti, i cruscotti ed a volte perfino gli specchietti pieni di talismani, sciarpe di benedizione.
C'erano anche alcuni camion, tutti curiosamente dipinti con svariati motivi, unica cosa in comune gli occhi disegnati nella parte anteriore.
La gente, molto lontana dalla frenesia occidentale, ne approfittava per scendere delle auto e chiacchierare con gli altri, giocare a carte o addirittura farsi un the su di un fuoco improvvisato.
Il fango era davvero alto e presente ovunque, così preferimmo non scendere... anche perché avevamo i vestiti dimezzati (valigia persa dalla Turkish Airline) e sarebbe stato un problema sporcarli con troppo fango... un vero peccato.
Quando tocco a noi passare per la strettoia peggiore, il fuoristrada cominciò a scivolare verso il dirupo; fortunatamente una decina di persone cominciò a spingere con forza... erano almeno dieci e sudavano per lo sforzo scivolando nel fango.
Dopo qualche minuto il fuoristrada superò la strettoia e noi ripartimmo verso la nostra meta.
Arrivammo nei pressi di Punakha all'ora di pranzo.
Eravamo solo a 1300 metri di altitudine e faceva un caldo pazzesco, sembrava tarda primavera in Italia.
Dopo una breve sosta per un pranzo in una locanda locale deserta, raggiungemmo il Punakha Dzong.
Il Punakha Zong lo avevo già visto in molte foto, è uno degli edifici più famosi del Bhutan.
Il fatto è che nessuna foto è in grado di rendere l'idea di quanto sia immenso.
Se ne sta li a fare da divisorio nel mezzo fra due fiumi; maestoso come una montagna, ma perfettamente integrato con la natura intorno.
E' difficile spiegare le sensazioni che si provano in questi luoghi perché sono molto intime e sono troppo delicate, fuggevoli ed al contempo intense da poter essere espresse con le parole... forse un grande poeta potrebbe, o forse un grande poeta riterrebbe opportuno rimanere in silenzio a guardare come facemmo noi.
In quei giorni si celebrava nel tempio una festa che accadeva solo ogni 65 anni.
Una festa importantissima per i bhutanesi, ma non citata in nessuna guida ed in nessun sito di viaggi.
Erano presenti anche il re e la regina.
Accedemmo allo spazio sacro della festa dal lato degli "infedeli" (per quel giorno solo i bhutanesi potevano passare per l'immenso ponte levatoio) e rimanemmo subito a bocca ed orecchie aperti.
Era stata allestita una specie di torre sacra temporanea attorno alla quale i fedeli camminavano in senso orario pregando e lasciando offerte di ogni tipo.
Su di un lato c'erano almeno centocinquanta monaci buddhisti che pregavano emettendo quei fortissimi suoni gutturali che fino ad ora avevo visto solo in TV.
L'atmosfera era di una sacralità indescrivibile.
Girammo intorno alla torre e pregammo con i bhutanesi. Facemmo offerte e poi pregammo ancora.
quando fummo stanchi, ma non sazi di quell'energia pazzesca, ci sedemmo sull'erba profumata a guardandoci intorno.
Le preghiere (o canti? non saprei come definirli... forse il termine giusto è canti sacri) accompagnati dal suono di enormi tamburi, riempivano l'aria di energia.
Io fissavo quasi intontito la gente che mi passava di fianco mentre la Vigi faceva mille foto.
Dopo un'ora circa siamo entrati all'interno del tempio ed abbiamo visitato tutte le sale.
Per raggiungere alcune sale bisognava salire ripidissime scale in legno, così ripide da costringere l'avventore praticamente a salire carponi.
A quel punto io ero un dichiarato buddista (cosa che volevo fare da un po') e fu a quel punto che la guida ci insegnò dettagliatamente le tradizioni buddiste facendo riferimento agli arazzi appesi alle pareti del tempio.
Era come essere in un altro tempo ed in un altro mondo: il maestro nel tempio che spiega agli allievi facendo riferimento ai dipinti presenti.
Fu un'emozione grande come anche la fase in cui ci bagnammo la testa con l'acqua sacra offerta dal monaco per poi berla. Nota tecnica: è "aromatizzata" alla canfora, meglio non berne troppa.
Raggiungemmo il resort in mezzo ai boschi che era l'imbrunire.
La guida ci lasciò per raggiungere un'altro resort, ma ci consigliò di visitare un piccolo monastero per sole sacerdotesse nelle vicinanza.
Arrivammo al tempio, dopo una breve camminata nei boschi, che era l'ora di chiusura, ma riuscimmo a convincere il guardiano a farci entrare.
Il tempio era un'oasi di pace in mezzo al bosco. Non aveva nulla di architettonicamente speciale o di appariscente, era la sua stessa esistenza e la sua stessa energia a renderlo interessante.
Incontrammo una sacerdotessa che ci invitò nella sala principale per cantare con le altre sacerdotesse... noi però fummo timidi e rimanemmo fuori ad ascoltare.
Fu così che quel giorno ci godemmo il tramonto. Il sole si nascose piano piano dietro alle montagne tingendo di rosso/viola il cielo e creando strani chiaroscuri di verde sulle chiome degli alberi.
Nelle nostre narici il profumo delle resine e degli aghi delle conifere e nelle nostre orecchie i canti delle sacerdotesse.
Una nota meritano i canti delle sacerdotesse: totalmente diversi da quelli dei monaci. Canti delicati e strutturalmente molto più complessi.
Mi immaginavo i monaci ai piedi della valle che ancora stavano emettendo quei suoni così forti da far vibrare la terra e mi sembrava di intuire un perfetto bilanciamento dei due canti sacri; mi sembrava di essere nel mezzo di una corrente di energia sacra e mi sentivo molto fortunato.
La sera la cena al resort fu estremamente ricca, fuori dallo standard bhutanese.
Mangiammo tantissimo ed andammo a dormire esausti e felici.
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