venerdì 30 novembre 2018

Giappone, Kumano Kodo: onsen o non onsen (tratto da www.travelgudu.com)

Tratto dal blog di viaggio Travel Gudu.

L’ultima tappa. Dopo due settimane di Giappone e Giapponesi, alcune cose iniziano ad infastidire alternativamente una metà di noi. Come l’assoluta assenza di flessibilità. O come la salsa di soia ovunque. Ma ancora ci siamo dentro, ancora vogliamo muoverci, scoprire la penisola montagnosa di Kii, camminare lungo le vie di pellegrinaggio del Kumano Kodo, allontanarci dai circuiti turistici ed addentrarci nel Giappone dei Giapponesi. Mangeremo cibo al sapore di salsa di soia ancora per un paio di giorni.
Come in un film di Miyazaki, ci inerpichiamo lungo un tortuoso percorso per stradine di montagna con la nostra Toyota-scatoletta. Ci fermiamo lungo la strada in un posto che in Italia sarebbe “da camionisti”, dove ordiniamo additando ciò che di commestibile compare nel piatto di altri commensali; scopriamo così che hamburger si dice hamburgero e ci pappiamo qualcosa di vagamente occidentale e vagamente orientale insieme. Buono. Ripartiamo, per arrivare, attraversando microscopici agglomerati di casupole, al paese di Yunomine. Il nostro ryokan, un po’ lontano dal centro, è accogliente, proprio come il proprietario, un uomo gentile e dall’inglese impeccabile… Chi l’avrebbe detto: nipponici impiegati edokiani (avremmo scritto tokyesi, ma Treccani ci ha corretti) sordi all’anglosassone idioma e poi nel bel mezzo del niente quest’uomo che finalmente ci comprende. Ci lanciamo immediatamente a chiedere se l’onsen del ryokan è aperto anche a chi ha tatuaggi (in passato non riuscire a chiederlo ci ha fatto desistere): la risposta è sì! Yuppie!
Dedichiamo il pomeriggio al relax e all’onsen. Le regole giapponesi per l’onsen sono (naturalmente) rigorose: sessi separati, si entra in yukata, ci si sveste e ci si lava meticolosamente irrorandosi con doccette o secchiate appollaiati su bassi sgabellini. Una volta che si è belli puliti, si può entrare nell’acqua termale. Il nostro ryokan ha due vasche termali al chiuso e due all’aperto, oltre a due vasche più piccole per “famiglie”. Il primo giorno, con la timidezza di gaijin fuor d’acqua, scegliamo l’onsen privato, ma il secondo giorno – finalmente – ci buttiamo: ora siamo un po’ nipponici anche noi, lì, nudi nell’acqua rovente dall’odore vagamente sulfureo ad osservare il cielo ripulendoci mente e corpo.
La sera il nostro amico occhialuto e gentile ci accoglie per la cena. Il menù di specialità kaiseki è straordinario (e illustrato in inglese, con vignette che spiegano bene come mangiare i vari cibi – nel 2013 era stato complicato gustarci quei manicaretti senza capire bene cosa fossero o come dovessero essere assaporati). E iniziano le danze: sashimi, una zuppetta di patate e funghi, capasanta al forno, un tofu buono (dio-solo-sa-come-sia-possibile!), la famosa carne marmorizzata da far grigliare insieme a delle verdurine, un pesce arrostito allo spiedo, e chissà cos’altro non ricordiamo più… tutto squisito. La seconda sera, replay ma con piatti differenti, ancora ottimi.
La colazione un pochino più dura, ma alla fine il porridge di riso e acqua termale non è male come la descrizione potrebbe far pensare.


Siamo agli ultimi giorni di viaggio, un po’ stanchi per le lunghe escursioni, un po’ nostalgici della nostra family lontana e insieme con il cuore un po’ appesantito dall’imminente rientro, decidiamo di prendercela con calma. Facciamo una passeggiata lungo le vie di pellegrinaggio del Kumano Kodo, acquistiamo in un negozietto alcune cibarie che riusciamo a riconoscere nonostante le scritte illeggibili; partiamo dal tempio Kumano Hongū Taisha, ci incamminiamo per un un po’, ma poi decidiamo di tornare indietro e di non fare tutto il percorso dell’Hongu Loop. Torniamo al ryokan e ci abbandoniamo mollemente nell’onsen.
Il pellegrinaggio del Kumano Kodo è “gemellato” con il decisamente più famoso Cammino di Santiago: chi percorre entrambi i cammini è un “dual pilgrim” e può ricevere un certificato con la conchiglia e il corvo a tre zampe. Lo abbiamo messo nella wishlist, chissà…



L’ultimo giorno infine arriva. Lasciamo il ryokan e saliamo sulla nostra scatoletta, percorriamo la strada che risale lungo la costa della penisola. Ci fermiamo a Wakayama, località marittima, ma è il primo settembre e la stagione balneare nipponica a quanto pare è finita. Poco importa che ci sia un sole cocente o che sia venerdì pomeriggio: lo stabilimento è chiuso. Chissene. Ci infiliamo i costumi in auto, ci buttiamo in mare lo stesso poi, pieni di sabbia e salsedine tentiamo di sciacquarci nel lavapiedi (unica fonte di acqua dolce rimasta agibile) turbando mamma e figlio nipponici. Risaliamo in auto, arriviamo all’aeroporto di Osaka con ampio anticipo. La Toyota ci restituisce pure qualche soldo per aver riportato l’auto prima dell’orario stabilito. Ci annoiamo su e giù per l’aeroporto in attesa del volo; prima di imbarcarci ceniamo bevendo una birra nipponica niente male.


E infine via, in aereo, il lungo viaggio di ritorno. Tornati, impieghiamo un pochino ad abituarci a non fare quel piccolo gesto di inchino che abbiamo imparato. Sono queste piccole sceme cose, che ti restano addosso e che non si possono scordare, a mostrare all’esterno quanto il viaggio – ogni viaggio – ci abbia cambiato dentro.

:::::::Info pratiche:::::::
Regione: Kumano
Prefettura: Wakayama
Ryokan (consigliatissimo): Yunomineso Ryokan
Attività:
Guidare un’auto-scatoletta sulle stradine strette, desolate e tortuose dei monti del Kumano. Fatto. Voto 5/10 (bene, ma non benissimo).
Passare sotto il torii più grande del mondo. Fatto. Voto 3/10 (era banalmente in cemento armato).
Trovarsi disperati per la fame in mezzo al nulla, fermarsi nella bettola meno probabile del mondo e trovare un hamburger. Fatto. Voto 8/10.
Scoprire che esiste un piatto a base di tofu effettivamente buono: Fatto. Voto 7/10
Rilassarsi fin quasi allo svenimento in una pozza di acqua bollente nel mezzo di un bosco (dicesi onsen). Fatto. Voto 8/10.
Convincersi di aver comprato del pane in cassetta e ritrovarsi per pranzo invece un dolce coi i fagioli. Fatto. Voto 5/10 (di nuovo bene, ma non benissimo).
Fermarsi in mezzo ai monti e bere una strana bevanda creata da due strane vecchiette. Fatto. Voto 9/10 (buonissima!).
Fare l’aperitivo a base di sakè bevuto in un bicchiere di ghiaccio. Fatto. Voto 10/10.
Scandalizzare i Giapponesi facendo il bagno in mare circa 14 ore dopo la fine della stagione balneare ufficiale Fatto. Voto 9/10.
Indice di fastidio umanità: 3/10 JarJar. Poca gente in questa zona.
Indice di bellezza: 7/10 sakura. Più che di bellezza sarebbe meglio parlare questa volta di “Atmosfere che creano bellezza”.
Indice di ordine/rigore/incasellamento mentale: 10/10 Sheldon Cooper.
Indice di dipendenza da Pocari: 7/10 Pocari. Nelle escursioni è sempre apprezzato.
Indice di afa: 50 mm di sudore.
Qui l’ultimo video del “nostro” Giappone direttamente dal canale You Tube – enjoy!

martedì 27 novembre 2018

Giappone, Koya-san: vita al monastero (Tratto da travelgudu.com)


Tratto dal Blog Travel Gudu

Ci avviciniamo alla fine del racconto del nostro viaggio in Giappone. La penultima tappa è stata per noi il monte sacro Koya-san, luogo fondato da Kōbō Daishi dove sono ubicati oltre un centinaio tra templi e monasteri. Noi ci siamo andati affittando una epica “macchina-scatoletta” giapponese e abbiamo pernottato alla foresteria del tempio Sekisho-in.
Ma partiamo dalla scatoletta: già dal primo viaggio in Giappone del 2013 non abbiamo potuto evitare di innamorarci delle “macchine-scatoletta” giapponesi: parallelepipedi che rotolano per le tortuose strade nipponiche, queste macchinette racchiudono in un volume minimo tutto lo spazio che si può desiderare. Efficienti e tascabili, permettono di muoversi comodamente in città e non solo. Noi abbiamo noleggiato una Toyota-scatoletta: dotata di navigatore in giapponese super-loquace, che è stato prezioso nel portarci a destinazione perché – meraviglia delle meraviglie – anche se non si capisce un tubo di kanji & co, basta avere il numero di telefono del posto dove si vuole arrivare ed è fatta! Inoltre, per evitare incomprensioni ai caselli autostradali, si può affittare anche una sorta di telepass e pagare i pedaggi direttamente con addebito su carta di credito.
Dopo un breve briefing a gesti con l’impiegato dell’autonoleggio, siamo partiti alla volta del tempio che ci avrebbe ospitati a Koya-san.
Dopo un paio d’ore di strada, siamo arrivati a Koya-san: una lunga strada affiancata da templi e monasteri ed invasa da pellegrini. Inaspettatamente abbiamo scoperto di non essere gli unici bianchi, anzi: pare che la destinazione sia piuttosto gettonata nei paesi occidentali (nulla in confronto a Kyoto, comunque). Dopo aver finalmente individuato il nostro monastero, abbiamo lasciato l’auto e siamo andati a “registrarci”: un burbero monaco dall’inglese piuttosto comprensibile ci ha forniti di braccialettino multicolore (tipo villaggio-vacanze) e ci ha portati alla nostra stanza. Dal piccolo balcone la stanza (rigorosamente tatami e fouton) si affacciava sul giardinetto interno del tempio, splendido.

Cosa fare/vedere a Koya-san? Naturalmente avrete di che sbizzarrirvi con la visita ai templi: in particolare il Daimon, cancello di ingresso, la pagoda del Konpon Daito, il tempio Kongobu-ji e immancabile il Mausoleo di Kobo Daishi all’interno del cimitero Oku-no-in. Vi consigliamo il tour guidato notturno al cimitero, che parte dal tempio Ekoin: le guide parlano un ottimo inglese, raccontano aneddoti e spiegano aspetti religiosi/spirituali interessanti; sulla via del ritorno, potrete allontanarvi un pochino dal gruppo e godervi l’atmosfera pacata e surreale del cimitero. Dal tempio arrivano i canti dei monaci che vegliano Kobo Daishi, che si dice sia in eterna meditazione all’interno del suo mausoleo. Tornateci anche di giorno, naturalmente.


Un altro aspetto della nostra esperienza a Koya-san è stato vivere un giorno assieme ai monaci. Svegliarci al mattino presto e partecipare ad una delle loro cerimonie mattutine. Ma anche mangiare il loro cibo: una cucina ben piantata nella centenaria tradizione buddista, vegetariana, salutare. E fredda: tutto il cibo inesorabilmente freddo – riso a parte, grazie al cielo. All’ora della cena, allertati dal gong, ci dirigiamo tutti (chi in yukata, chi in borghese) nella sala refettorio, dove due lunghe file di vassoi ci attendono appoggiati a terra e pieni di ciotoline di ogni forma e dimensione. Il menù prevedeva: tempura (fredda), sottaceti (freddi), Koya-dofu ovvero una spugnetta di tofu (fredda) dal sapore indescrivibile (in senso negativo), altre cose non chiaramente identificabili anch’esse dal sapore non esattamente buono (fredde), riso a ciotolate e tè verde a fiumi, una fetta di melone (gnam), delle gelatine supercolorate dal gusto vacuo. Immaginateci seduti a terra, nel silenzio totale, controllati a vista dai monaci mentre assaggiamo quei manicaretti ostili… E il meglio doveva ancora venire! La colazione del giorno dopo? Idem, ma con Goma-dofu (tofu al sesamo, leggermente meno cattivo di quello liofilizzato della sera prima) e senza melone… gnam gnam…



Abbiamo lasciato Koya-san spiritualmente grati e gastronomicamente provati, pronti a dirigerci verso l’ultima tappa del viaggio: la regione del Kumano Kodo.

:::::::Info pratiche:::::::
Regione: Kansay
Prefettura: Wakayama
Shukubo (foresteria dal tempio): Sekisho-in
Attività:
Guidare un’auto-scatoletta nel mezzo del traffico pazzesco di Osaka. Fatto. Voto 4/10.
Mangiare riso al vapore e tofu a colazione. Fatto. Voto 2/10
Provare l’ebrezza di eludere il coprifuoco dei monaci buddisti per andare a spasso nel cimitero: Fatto. Voto 9/10
Agognare un panino al crudo come i drogati di Porta palazzo a Torino. Voto 3/10.
Fare commenti idioti sul cibo del tempio salvo scoprire che vicino a noi era seduta una famiglia mista italo/nipponica che capiva tutto. Fatto. Voto 7/10
Emozionarsi di fronte al mausoleo da Kobo Daishi. Fatto. Voto 8/10.
Passeggiare da soli nella notte fra altari, tombe e scoiattoli volanti. Fatto. Voto 9/10
Indice di fastidio umanità: 8/10 JarJar. Tanta gente, tranne che al cimitero.
Indice di bellezza: 7/10 sakura.
Indice di fame: 10/10 piatti di agnolotti al plin… Il mio onore per una salsiccia di Bra!
Indice di imbarazzo gastrico di fronte al menù buddo-vegan: 7/10 imodium.
Indice di afa: 50 mm di sudore.
Qui il video delle nostre esperienze di guida giapponese e del monte Koya dal nostro Canale Youtube – Enjoy!

martedì 20 novembre 2018

Kyoto: un tot al mq (tratto da www.travelgudu.com)

Da dove iniziare a raccontare di Kyoto? Abbiamo rimandato questo post ancora e ancora perché racchiudere Kyoto in qualche paragrafo ci sembra impossibile. Kyoto è straordinaria. E’ anche terribilmente gettonata dai turisti (purtroppo), ma è una città dove potremmo trasferirci dopodomani. Questa è stata la nostra seconda volta a Kyoto e ce la siamo goduta ancora più della prima: per quattro giorni abbiamo vissuto in un appartamentino di tatami nei pressi di Gion, abbiamo trovato l’okonomiyaki migliore di sempre, visitato i luoghi “must-see” e scovato qualche piccola perla priva di turisti. A Kyoto bisognerebbe restare una settimana un mese una vita e probabilmente continuerebbe a regalare istanti.
Vogliamo raccontarvela così

Cose che abbiamo visto e rivisto e non ci hanno stufato (imperdibili)

Il Fushimi Inari-taisha: purtroppo la prima volta ce lo eravamo persi. Meravigliose, come molti avranno visto in mille fotografie, le gallerie di torii rossi, investiti dal sole in un gioco di ombre infinito. Altrettanto bella la salita in cima alla collina, in parte perché parecchi turisti rinunciano ad arrivarci ma soprattutto perché lassù in punta vieni accolto da un laghetto, con statue di volpi e fumo di candele e incenso. E’ lì che resta parte della spiritualità, è lì che si rifugiano i kami.
Il Bosco di Bambù ad Arashiyama: un altro posto sovraffollato di turisti. Ma bello e allora si sopportano pure i turisti – e le zanzare! Noi ci siamo andati verso l’imbrunire, quando i colori e le luci accese agli altari fanno l’occhiolino, quando il verde invade il pulviscolo atmosferico cancellando le altre tonalità.
Il cammino del Filosofo, da passeggiare mollemente guardando i propri piedi, qualche piccolo negozio di artigianato, le case e la vegetazione.
Il Kiyomizu-dera, perchè è imperdibile quello sguardo dall’alto sulla città, ed è imperdibile il suono dei campanelli mossi insieme dal vento.
Il tempio Ginkaku-ji, con i suoi giardini di coni di sabbia, in cui ogni granello ha un preciso ruolo, in cui il muschio e gli alberi sono lì da sempre.
Svegliarsi all’alba, sbirciare attraverso il portone di un tempio zen i monaci che rastrellano la sabbia
Ma anche e soprattutto: perdersi in qualche stradina o quartiere e ritrovarsi d’un tratto davanti ad un altare dedicato ad un cinghiale (Zenkyoan)

Altre cose belle da vedere

Il Kinkaku-ji, il padiglione d’oro. Noi ci siamo stati in una giornata di cielo grigio-bianco, umida, senza raggi a far risplendere l’oro del tempio, ma è stato suggestivo comunque.
Il castello Nijo, enorme.
Il quartiere di Gion, soprattutto in “seconda serata” quando ci sono meno turisti e si incontrano giapponesi (ubriachi, spesso) che escono da costosi ristoranti kaiseki e le lanterne appese fuori illuminano l’acciottolato come qualche secolo fa.
Il tempio Kennin-ji, per il bell’affresco sul soffitto.
Il tempio Kodai-ji ed Entoku-in, per le belle porte interne dipinte ed i giardini zen con tanto di airone pronto a farsi fotografare da ogni profilo.
Il tempio Sanjusangendo, o tempio di Kannon, con le sue mille statue tutte in fila riporta la mente ad atmosfere antiche, forse vissute in vite precedenti.
Partecipare alla cerimonia del the, in una casa da the, con una giapponese silenziosa che riveste ogni gesto ed ogni movimento del suo autentico significato

Cose sopravvalutate

La zona di Pontocho: una trappola per turisti, super affollata. All’inizio pare carino incamminarsi lungo la stradina, ma presto vedrete più bianchi che in centro a Milano e vi passerà la voglia. Evitate assolutamente i ristorantini sul fiume, quelli a prezzi abbordabili almeno: cibo e servizio mediocri (ma non alla maniera giapponese, scorbutica e autentica, piuttosto alla maniera internazionale, quella della tela cerata e del menù turistico). Magari quelli più cari offrono un ambiente più curato e cibo di miglior qualità, chissà.







Un’altra cosa che DOVETE assolutamente fare a Kyoto è mangiare il miglior okonomiyaki di sempre: l’hanamichi okonomiyaki. Non solo perché il proprietario dell’omonimo locale sarà felicissimo che voi scegliate proprio la sua ricetta speciale. Ma anche e soprattutto perché è ottimo! Il localino è minuscolo, spesso è pieno, ma aspettate un po’ o sedetevi al bancone, ne varrà la pena. Non solo l’okonomiyaki, ma anche gli altri piatti sono molto buoni. Sotto la mappa per localizzarlo, è in zona centrale quindi decisamente comoda (noi, lo abbiamo scovato perché era “sotto casa”).
:::::::Info pratiche:::::::
Regione: Kansai
Hotel: Alloggio a Gion prenotato online tramite Japan Experience
Attività:
Mangiare Okonomiyaki in un locale frequentato da gente del posto, compreso ubriacone forse appena licenziato. Fatto. Voto 8/10
Trovare zone di culto senza turisti in mezzo ai boschi: Fatto. Voto 9/10
Passeggiare sbronzi per le viuzze di Kyoto nel mezzo della notte. Fatto. Voto 9/10
Meravigliarsi nel trovare un piccolo tempio dedicato ad un dio Cinghiale. Fatto. 8/10
Arrivare alla cerimonia del the bagnati fradici e “puzzolentemente” sedersi sui tatami pronti alla cerimonia. Fatto. Voto 9/10.
Rimanere a bocca aperta per la bellezza di ogni singolo tempio. Fatto. Voto 10/10
Indice di fastidio umanità: 8/10 JarJar. Tanta gente.
Indice di bellezza: 9/10 sakura.
Indice di dipendenza da Pocari: 7/10 Pocari.
Indice di afa: 70 mm di sudore.
Qui i video del nostro soggiorno a Kyoto dal nostro Canale Youtube – Enjoy!


lunedì 19 novembre 2018

Lungo l’antica via postale (tratto dal blog www.travelgudu.com)

Tratto dal blog www.travelgudu.com.

Abbiamo deciso di percorrere un tratto dell’antica strada postale Nakasendo, uno dei cinque percorsi che secoli fa collegavano Tokyo e Kyoto, a piedi, con lo zaino, come i postini di trecento anni fa che si avventuravano nei boschi sotto ogni clima per attraversare la loro isola dalla testa ai piedi (500 km in totale!) e consegnare chissà quali importantissime missive. Noi, che – vi ricordo – una settimana prima avevamo scalato il monte Fuji, abbiamo ripiegato scegliendo di percorrere un breve tratto dell’antica via postale nella valle del Kiso.
Per farlo, abbiamo stabilito il nostro quartier generale a Nagoya – città che peraltro non offre assolutamente nulla a parte la sua posizione strategica (ah no, scusate: la ‘splendida’ torre della televisione…). Scherzi a parte, non abbiamo dedicato tempo a Nagoya e ci è sembrato di non perderci molto, anche a detta del ragazzo che ci avrebbe poi affittato l’appartamento a Kyoto (che infatti ci ha chiesto cosa c’eravamo andati a fare…).
Nagoya, tuttavia, è un buon punto di partenza per un’escursione lungo la Nakasendo, in particolare nel tratto che collega Magome a Tsumago: una passeggiata di circa 8 km immersi in un paesaggio montagnoso, risalendo viottoli tra case in legno e camminando tra le conifere. Siamo partiti con il cielo sereno, infilandoci nei negozietti e ridendo del tedesco allampanato che ci precedeva facendo suonare le campane “anti-orso” sparse lungo il percorso. Abbiamo proseguito attraversando piccoli villaggi dall’aspetto semi-disabitato, incontrando operai delle linee elettriche e qualche vecchietto, fino a raggiungere un caseggiato dove ci aspettava una tazza di thé e un simpatico quadrupede con annesso umano ospitale con cui fare amicizia. Infine, ci siamo beccati un nubifragio per l’ultima manciata di km, da cui siamo usciti bagnati come pulcini (grazie al cielo avevamo le nostre fidate mantelline con noi), e salvati in extremis dalla comparsa di un ristorante di soba, gestito da una vecchina scorbutica (come nella migliore tradizione giapponese) che serviva soba, soba con rinforzo di verdure, soba con uovo ed un altro piatto non meglio identificato. Un salto fuori dal tempo: ci siamo scrollati alla bell’e meglio le mantelline fradice di dosso e siamo entrati pulendoci per bene le scarpe (niente tatami, quindi scarpe ammesse – ma certo non fango o sporco). La signora ci ha accolto sbuffando e ignorandoci mentre prendevamo posto ad un tavolino libero. Un foglio plastificato riportava il menù; abbiamo ordinato soba (ma dai?!) e ci siamo guardati intorno. Dietro la sala da pranzo, un gradino divideva il ristorante dalla casa della signora; lei, rapida ed efficiente, cucinava soba per tutti, soba fatti a mano da lei stessa – ottimi. Si infilava in cucina a trafficare tra fornelli e vapore, poi ne sgusciava fuori lasciando le ciabatte da cuoca e infilando le ciabatte da cameriera. Altro che NAS: la suola sporca di pavimento della sala da pranzo (e di scarpa di avventori) non può mettere piede nella sacra area della cucina. I giapponesi sono incredibili. Ovviamente i soba erano buonissimi, come pure il brodo (vegetale) che li accompagnava. Abbiamo sorbito il tutto il più rumorosamente possibile per fare onore alla cuoca – e forse lo ha apprezzato visto che quando ce ne siamo andati era un pochino ammorbidita.





Da Nagoya si può raggiungere rapidamente il castello di Inuyama, uno dei più antichi presenti in Giappone (la maggior parte sono ricostruzioni).
Nagoya, comunque, ci ha regalato una piccola sorpresa: un Matsuri di dimensioni epiche! Ci eravamo imbattuti nel nostro primo Matsuri durante il primo viaggio in Giappone, a Nara, e anche in questo viaggio a Tokyo vicino allo Sky Tree  ne abbiamo avuto un assaggio. Ma quello di Nagoya è tutta un’altra storia: tanto per dire, la sera dopo lo abbiamo rivisto in tv. Un matsuri è sostanzialmente un festival con carri allegorici e persone truccate e vestite in abiti tipici, che sfilano per le strade cantando, suonando e ballando. A Nagoya si teneva il Domatsuri, pubblicizzato come il più grande festival danzante della regione centrale. Insomma: ci ritroviamo in mezzo alla calca, appena sotto il palco, la sfilata è finita e la premiazione è appena avvenuta, uomini e donne di ogni età truccati piangono e ridono e tirano fuori quel lato completamente disinibito che raramente un giapponese mostrerebbe in altre occasioni. I migliori? Un gruppo di ragazzi, perizoma e chiappe al vento, intenti a fare fotografie nelle posizioni più astruse che una mente possa immaginare. Purtroppo, non siamo riusciti ad avere il ventaglio-ricordo della manifestazione, sigh.
Ripartiti da Nagoya alla volta di Kyoto (cui dedicheremo la prossima puntata!), abbiamo “allungato” su Himeji, bellissimo e famosissimo castello denominato l’airone bianco per il suo candore che contrasta con il blu del cielo, o il rosa dei ciliegi, o il rosso degli aceri autunnali. Il castello è una meraviglia, davvero imperdibile: faticherete su per scalini e salite, ma ne varrà la pena. Gettando uno sguardo verso il cielo dalle scalinate i tetti a sbalzo si sovrappongono in bianco e grigio creando un intarsio nel cielo. Vi consigliamo anche di non perdervi i giardini Kokoen, situati alle pendici del castello un pochino a ovest: l’atmosfera è rilassata e dolce. Andate a passeggiare lì per sfuggire alla calca del castello di Himeji. Immaginiamo che d’autunno il rosso intenso di tutti quegli aceri ferisca occhi e cuore e commuova lo spettatore.


:::::::Info pratiche:::::::
Regione: Chūbu, prefettura di Aichi
Hotel: The b Nagoya (ottima posizione, ma stanza esageratamente minuscola)
Attività:
Prendere in giro il crucco che davvero pensa ci siano ancora gli orsi sul percorso. Fatto. Voto 7/10.
Bere il thé in una casupola in mezzo al bosco offerto da un vecchietto che sa salutare in tutte le lingue. Fatto 7/10.
Entrare in un ristorante di soba e ritrovarsi “Marrabbio” in versione femminile. Fatto. Voto 8/10.
Guardare gli altri trekker impanicati per l’improvvisa pioggia con aria di sufficienza ed estrarre la mantellina antipioggia. Fatto. Voto 10/10.
Indice di fastidio umanità: 1/10 JarJar (solo un po’ alla partenza).
Indice di bellezza: 7/10 sakura.
Indice di ordine/rigore/incasellamento mentale: 6/10 Sheldon Cooper.
Indice di dipendenza da Pocari: 5/10 Pocari.
Qui il video della nostra escursione lungo la Nakasendo dal nostro Canale Youtube – Enjoy!

giovedì 15 novembre 2018

Un pub giapponese a cui affezionarsi (tratto da www.travelgudu.com)

Tratto da www.travelgudu.com

La nostra prossima tappa è Takayama: un po’ isolata, situata nel panorama delle Alpi Giapponesi, si raggiunge con un treno dal cui finestrino si alternano gallerie e scorci montani un po’ nebbiosi. La città vanta un centro storico antico e ben conservato di edifici in legno risalenti al periodo Edo: pare che i carpentieri che costruirono Takayama fossero gli stessi che costruirono svariati templi a Kyoto e Nara, tanto per darvi un’idea. Gli edifici sono in parte occupati da negozi di varia natura e in parte occupati da piccoli musei ad argomento vario. La città conserva una atmosfera un po’ “vintage” per così dire; e anche se di giorno la zona Sanmachi suji è invasa da turisti che si stipano nei negozietti e nelle birrerie di sakè, la sera è il momento in cui è più facile apprezzare l’atmosfera di cittadina un po’ dimenticata. Le luci nelle vie turistiche si spengono presto, i negozi chiudono e il sole cala; i pochi turisti rimasti si ritrovano a mangiare carne di Hida nei ristoranti rimasti aperti o nel proprio ryokan. L’atmosfera è quieta e sonnolenta, un po’ dimessa, con quel fascino di Giappone rimasto fermo a quarant’anni fa. Se ne avete voglia, svegliatevi presto al mattino e andate al mercato lungo il fiume (Miya-gawa): noi non abbiamo avuto modo di farlo, ma pare sia piuttosto pittoresco.
Infine, ci è piaciuto il percorso Higashiyama, poco battuto, una passeggiata collinare tra templi, conifere e cimiteri.




Poco lontano da Takayama (raggiungibile con un comodo bus in partenza dalla stazione dei treni), merita una visita il villaggio di Hida, ricostruzione del villaggio contadino di Shirakawa-go, spostato a seguito della creazione di una diga e dichiarato nel 1995 Patrimonio dell’Umanità. E’ una sorta di museo del folklore a cielo aperto: all’interno dei casali in legno e paglia, il focolare è acceso e vengono esposti attrezzi ed organizzati laboratori che permettono di scoprire le tecniche di artigianato e la vita dei secoli passati. A noi è piaciuta particolarmente la casa dedicata ai bachi da seta.



A Takayama ed in generale nella regione di Hida, è famoso il manzo di Hida (appunto): nato e cresciuto nella regione, la sua carne marmorizzata (come piace ai giapponesi) la rende particolarmente umida e saporita ed adatta ad essere gustata in piatti tipici come lo Shabu-shabu e lo Yakiniku. Noi non ci siamo tirati indietro, ovviamente, e da Suzuya abbiamo assaggiato lo Yakiniku (una sorta di barbecue in versione giapponese: viene portata in tavola una piccola griglia sulla brace e lì si fanno cuocere carne e verdure) e lo Hoba Miso, una specialità di Hida in cui carne e verdure sono grigliate con miso su una foglia di magnolia. Ottimo cibo, da assaggiare se capitate in zona.
Lungo la via principale di Takayama, poi, abbiamo scovato un posto imperdibile, lo Yu Japanese Pub. Il locale è una meraviglia: piccolo, pieno di poltroncine e anfratti, abat-jour e tavolini di fortuna. Il proprietario, un uomo simpatico gentile e versatile, vi accoglie nella penombra offrendovi cocktail a base di sakè o altri alcolici giapponesi a volontà. Non potete mancare un drink in questo locale!



Infine, una menzione la merita anche il ryokan dove abbiamo alloggiato, il Kaminaka. Un posto d’altri tempi pure questo: ci siamo arrivati di sera, con la nebbiolina e il buio si intravedeva la lanterna fuori della porta, pareva di essere dei viandanti. La vecchia proprietaria (che però parla quelle quattro parole di inglese che vi faranno tirare un sospiro di sollievo in una nazione anglofoba) vi accompagnerà per lunghi corridoi scricchiolanti in legno e moquette fino alla vostra stanza di tatami e fouton floreali.
:::::::Info pratiche:::::::
Regione: Chūbu, prefettura di Gifu
Hotel: Ryokan Kaminaka
Attività:
Comprare un cappello modello manga in un negozietto di artigianato locale. Fatto.
Battere il record di Pocari Sweet bevuto in un giorno. Fatto. 1,5 litri.
Bere un drink che secondo i giapponesi è da donna fissando una suonatrice di ukulele mentre si ubriaca al bancone. Fatto. Molto pittoresco.
Fare assaggi di Sakè all’ora di merenda. Fatto.
Gironzolare in un cimitero nel bel mezzo di un fitto bosco. Fatto.
Perdere una parte di lingua esagerando con Wasabi. Fatto. Purtroppo fatto.
Indice di fastidio umanità: 3/10 JarJar.
Indice di bellezza: 7/10 sakura.
Indice di ordine/rigore/incasellamento mentale: 3/10 Sheldon Cooper.
Indice di dipendenza da Pocari: 10/10 Pocari.
Indice di afa: 90 mm di sudore.
Qui il video di Takayama dal nostro Canale Youtube – Enjoy!