giovedì 10 ottobre 2013

The Gudu's Nippo Experience part 3

Il nostro terzo giorno in terra nipponica sarebbe stato dedicato a due cose tipicamente giapponesi: le terme e la cicina kaiseki.

La cucina Kaiseki è un tipo di pasto molto particolare, l'espressione culinaria forse più raffinata di tutta la cucina giapponese.
Originariamente con questo termine si intendeva un pasto vegetariano che accompagnava la cerimonia del tè, mentre oggi vengono serviti anche pranzi e soprattutto cene in stile Kaiseki comprendenti vegetali ma anche pesce e raramente carne, accompagnate dal sakè.
Un  tipico pasto Kaiseki è caratterizzato da molte pietanze servite in piccole porzioni.
Si va dalle 6 fino alle 20 porzioni. Il cibo che viene servito varia a seconda del periodo e del luogo in cui ci si trova; prerogativa di una portata in stile Kaiseki è infatti la freschezza degli ingredienti usati.
Altra particolarità di un pasto Kaiseki è l'importanza dell'apparenza dei piatti: viene curato ogni minimo particolare, dall'estetica di ogni singolo piatto alla disposizione dei piatti stessi. È veramente uno spettacolo anche solo guardare un tavolo apparecchiato per una cena Kaiseki.

Durante la fase di preparazione del viaggio, la Vigi mi propose di stare per una sera in un ryokan di lusso con stazione termale.
Avremmo avuto una vasca termale privata in camera, una cameriera personale ed una cena kaiseki.
Io ero un po' titubante su questa cena tradizionale, ma mi sono lasciato convincere dalle comodità della vasca privata e dal fatto che, avendo io tre tatuaggi abbastanza grossi, avrei potuto avere dei grossi problemi ad entrare nelle terme pubbliche (teoricamente in Giappone l'ingresso alle terme è vietato ai portatori di tatuaggi).
Così la Vigi ha prenotato presso il Yumotokan (http://www.yumotokan.co.jp/world/english/) di Chome vicino al lago Biwa.

La mattina del terzo ed afosissimo giorno abbiamo tentato di visitare i giardini imperiali a Tokyo; "tentato" perchè era il giorno di chiusura e ci siamo accontentati di vederli da fuori e farne una parziale circumnavigazione.



Nel pomeriggio siamo partiti alla volta del Ryokan.

Abbiamo usufruito dei famosi treni rapidi giapponesi chiamati "Shinkansen".

E' stato pazzesco veder arrivare lo shinkansen alla stazione di Tokyo.
Il treno è arrivato in stazione con 10 minuti di anticipo.
Appena si è fermato, sono salite rapide le donne delle pulizie (2 per ogni vagone).
Agivano con rapidità incredibile senza tralasciare nessun angolo o componente del vagone.
Noi le fissavamo dall'esterno sbigottiti mentre con i loro guanti bianchi pulivano ogni sedile, ogni tavolino ed i pavimenti.
C'era poi un'addetta ai bagni, una per ogni bagno.
Cinque minuti prima della partenza il capotreno (dotato di guanti bianchi e sempre pronto ad elargire sorrisi ed inchini a tutti quelli che salivano) ci ha indicato che potevamo salire.
Abbiamo raggiunto i nostri posti (prenotati dall'Italia ed assegnati il giorno dell'atterraggio in aereoporto) e ci siamo messi comodi.

Il treno è partito ovviamente in perfetto orario ed ha preso rapidamente velocità.
Grattacieli, poi case in stile anni '70, poi campagna.
Tutto ci passava di fronte rapidissimo; dopo qualche tempo è apparso il Monte Fuji, l'unico cosa che non ci sfrecciasse di fianco a velocità incredibili.

Siamo arrivati a Chome intorno alle 18.00.


Il luogo era sperso in mezzo alle montagne e si respirava una atmosfera surreale che già mi rilassava.
Abbiamo preso un taxi (anche in campagna il taxista aveva i guanti bianchi ed il taxi era dotato dei tipici centrini bianchi sui sedili) ed abbiamo raggiunto il ryokan in pochi minuti.

Fin dall'ingresso al ryokan siamo stati trattati come re.
La nostra cameriera personale (vestita in abiti tradizionali e che non parlava ovviamente una parola di inglese) ci ha accompagnati in camera e ci ha spiegato a gesti tutte le comodità della camera, l'uso della vasca termale e come arrivare alla cena, poi si è ritirata fra mille inchini.
La camera era molto bella ed accogliente.
La vasca termale era sul balcone con vista sulla montagna.
Al contrario di Tokyo l'aria era fresca ed il cielo minacciava pioggia; un'ottima occasione per mettersi a bagno-maria nella vasca termale.
Ma prima la Vigi ha voluto provare delle cibarie presenti sul nostro tavolo.
Appena entrati in camera, la nostra cameriera ci aveva già fatto provare degli strani dolcetti che prima di venire mangiati venivano riscaldati dando fuoco alla confezione che sembrava di plastica (ma evidentemente non lo era)... il tutto accompagnato da the verde.
I biscotti non erano male, ma ho preferito non partecipare agli assaggi della Vigi.
C'erano dei gamberetti che sembravano in modo sospettoso al cibo che da piccolo davo alle mie tartarighe d'acqua dolce, poi c'erano radici, "cose" che sembravano pezzi di insetto (ma probabilmente non lo erano) ed altri assaggi che tanto io trovavo inquietanti quanto la Vigi eccitanti.
Nel video che presto metterò on line sul mio canale youtube (www.youtube.com/ominoleo77) sarà possibile vedere in diretta la Vigi che testa le suddette cibarie.



Dopo gli assaggi ci siamo infilati nella vasca e ci siamo goduti un bel bagno termale.

Dopo il bagno, abbiamo indossato i nostri yukata (forniti come da tradizione dal ryokan) e siamo andati a cena.
Eravamo in una stanza tutta nostra con una cameriera tutta per noi (anche questa non parlava ovviamente una parola di inglese)... è stato divertente vedere il nome "Virginia" scritto in caratteri occidentali in mezzo a tutti i nomi in caratteri nipponici presenti negli altri privé.


Sul tavolo c'erano non meno di 10 piatti alcuni tappati, altri aperti (ed altri ne hanno portati dopo). C'erano anche dei fornellini (uno a testa) sul tavolo.
Ogni cosa era curatissima, mi sentivo a disagio a spostare le cose per poter mangiare.


Difficile descrivere la cena di per se, perchè una foto descrive meglio l'estetica e solo il palato può descrivere bene gli inusuali gusti che abbiamo provato.
C'era di tutto. Spaghetti di soia che bisognava prima "puciare" in una tazzina e poi succhiare, piccole ciotole contenenti brodi vari, pesce e carne da cuocere sui fornelletti, verdure (alcune dai colori bizzarri) ed alghe.
La cameriera ci spiegava (o provava) come degustare i piatti ed in che ordine degustarli.
Il tutto era accompagnato da sakè e the verde.







Eravamo di fronte alla più alta cucina giapponese, presentata nel migliore dei modi.
La Vigi ha mangiato con gusto e felicità mentre io ho faticato un po' di più, ma è stata un'esperienza importate e formative... di quelle che ti rendono più ricco dentro.

Dopo cena siamo tornati in camera.
In nostra assenza, la cameriera aveva spostato il tavolo, sostituito le cibarie con altre e preparato il futon per la notte.

Noi ci siamo ancora bevuti un the e poi ci siamo addormentati appena infilati nel futon.

Un altro nipponico giorno era concluso.

martedì 1 ottobre 2013

The Gudu's Nippo Experience Part 2

E poi ci siamo svegliati riposati la mattina del secondo giorno.

Dopo un'ottima colazione "Quasi occidentale" nel Ryokan, siamo partiti alla volta del "mitico" e "mistico" Museo Ghibli.

Anche se esiste wikipedia, due parole rapide per capire chi è il genio celebrato in questo museo: Hayao Miyazaki.
Si parla di cartoni animati famosissimi in occidente negli anni '80 come "Lupin III" e "Conan ragazzo del futuro".
Si parla di capolavori dell'animazione pubblicati in tutto il mondo come "Il mio vicino Totoro", "Porco Rosso", "La città incantata", "La principessa Mononke", "kiki consegne a domicilio", "Il castello errante di Howl".
Si parla di un autore che in occidente ha ispirato i creatori di "Bruto" (il nemico di Braccio di Ferro), la banda bassotti della disney ed in oriente ha praticamente ispirato qualunque creatore di anime.
Si parla di un autore che nel 2013 produce ancora film d'animazione disegnati "a mano" con l'amore, la passione e la qualità che solo una mano umana può dare.
Si parla di un autore che con i suoi film d'animazione fa sognare gli animi umani dai 4 ai 104 anni.
Si parla di uno dei pochi autori che ancora crede nell'animazione tradizionale (il fottutissomo "cartone animato"), uno dei pochi esportato in occidente, l'unico ad aver vinto il leone d'oro a Venezia, un oscar ed un sfilza di altri premi.
Quest'uomo, che io considero un genio ed un esempio di vita, tanto tempo fa ha fondato una sua casa di produzione per non dover sottostare alle regole di mercato e poter continuare a produrre materiale di qualità con passione. Un uomo che ha sfidato la tecnologia, le mode, la globalizzazione e la caduta morale dell'umanità... vincendo nel suo piccolo su tutti.
Ecco chi è l'uomo celebrato in questo museo.


Per entrare al museo Ghibli bisogna prenotare con largo anticipo il biglietto.
La Vigi (anche lei appassionatissima di Miyazaki) ha prenotato dall'Italia con 3 mesi di anticipo.

Ma torniamo un attimo indietro.

Prima di arrivare al Museo Ghibli, ci siamo fermati a visitare il quartiere di "Higashikurume".
Questo è il quartiere dove è ambientata la serie manga/anime "Maison Ikkoku" (in Italia pubblicata col nome "Cara dolce Kyoko").
Maison Ikkoku ha avuto una grande rilevanza nella mia adolescenza e la Vigi è stata grandiosa a documentarsi su come raggiungere questo quartiere.
Higashikurume è un quartiere molto periferico ad Ovest di Tokyo dove a quanto pare viveva l'autrice a quei tempi. Ora il quartiere è molto diverso, ma l'atmosfera che si respira è ancora la stessa dell'anime.
Non sto a descrivere quel che ho visto, perchè fondamentalmente non c'è nulla da vedere, se non ciò che è rimasto dei luoghi presenti nell'anime (sono convinto di aver individuato la costruzione che ha ispirato la Maison Ikkoku)... è stata soprattutto un'esperienza interiore... per me molto importante.

Fatta questa "piccola" (si fa per dire) deviazione, in una quarantina di minuti siamo arrivati alla stazione del quartiere in cui è sito il Museo Ghibli.

Scesi dal treno, abbiamo deciso di non prendere la navetta, ma passeggiare fino al museo.
Abbiamo così scoperto una parte di Tokyo inaspettata.
Piccole case con piccoli giardini verdi si dipanavano in linea retta seguendo un piccolo fiumiciattolo.
La strada era stretta e incorniciata da molti alberi.
Un'atmosfera... come dire... "delicata" che ricordava più un diorama che un quartiere vero.
Alla fine della strada c'era un piccolo parco ed alla fine del parco il museo.

Com'è il Museo Ghibli? Molto diverso da quello che ci si aspetta.
Non è un museo, ma nemmeno un parco di divertimenti.
Il biblietto è sostanzialmente la riproduzione di un pezzo di pellicola contenente tre fotogrammi di una delle opere dello Studio Ghibli... ogni biglietto è diverso... in pratica il biglietto stesso è già un souvenir di valore.
Si gira all'interno di questo edificio dalle forme strambe (torri, giardini pensili, balconate interne, imbrobabili scalinate) visitando alcune ambientazioni tratte dalle delle opere più famose (sotto la pianta del museo).


Vi è poi un piccolo cinema nel quale viene proiettato ogni 30 miuti un cortometraggio visibile solo al museo e che cambia ogni mese.
Esiste anche un parte più "museo" all'interno della quale si può vedere come è nata e come si è sviluppata l'animazione nipponica.
Ci sono poi dei giochi per i bambini ed infine lo shop per i souvenirs.
Io e la Vigi ci siamo ovviamente gettati a fare la fila per il cortometraggio che è risultato molto carismatico e molto visionario... non scrivo di più perchè è un segreto delle poche persone che hanno potuto vederlo.
Ci siamo poi stupiti di fronte alla riproduzione in metallo a grandezza naturale del robot di "Laputa il castello nel cielo", siamo tornati bambini di fronte al Totoro in dimensioni reali e così via.




Alcune ambientazioni non le abbiamo riconosciute, abbiamo dovuto poi rivederci tutti i lungometraggi dello Studio per riconoscerli.
Abbiamo pranzato nel ristorante interno del museo dove servivano gigantesti panini ed ancor più giganteschi gelati a cinque piani... unico locale in cui abbiamo trovato cucina internazionale.


Il locale era pieno zeppo e si faceva la fila per entrare. La fila era composta da una serie di sedie messe in circolo con al centro un tavolo; man mano che si liberavano le sedie più vicine alla porta, si cambiava di "seduta" avvicinandosi all'ingresso.
Sul tavolino al centro del "percorso sedie" c'erano riviste e del disinfettante per le mani.
Ovviamente nessuno cercava di by-passare la fila. Eravamo gli unici occidentali presenti.
Nel pomeriggio ci siamo persi nello shop del museo.
In verità ci aspettavamo molto di più... eravamo pronti a riempire un'intera valigia di souvenirs.
Abbiamo dovuto accontentarci di portachiavi, toppe per le borse e per il giubbotto, spille e stampini. Non c'erano magliette, felpe, cappelli... peccatissimo.
Dopo lo shop abbiamo gustato una strana bibita al gusto di "Biochetasi" the tutti sembravano apprezzare; in pratica ti fornivano una bottiglietta piena di acqua nella quale venivano inserite strane palline colorate che in pochi secondi davano gusto, colore, sapore e gasatura all'insieme.

Usciti dal museo felici e sereni, abbiamo tentato di passeggiare nel parco per rilassarci.
Scrivo tentato perchè siamo stati assaliti da un'orda di malvagi insetti.
In non più di 15 minuti la povera Vigi è stata punta 47 volte. Non è un modo di dire. 39 punture sulle gambe e 8 nella parte bassa della schiena.
A me è andata meglio: solo 7 punture... li attirava tutti lei gli insetti.

In serata abbiamo visitato il primo tempio Buddista del viaggio, il grande tempio di Senso-Ji.
Era quasi buio ed il tempio si ergeva imponente con le sue luci soffuse.
Di fronte al tempio una strada dritta di almeno 300 metri piena di negozietti illuminati su ambo i lati; strada famosissima chiamata Nakamise Dori e che conduce al portale di ingresso "Kaminarimon".


In pratica una versione lineare e ordinata dei mercatini di Natale di Vienna.
Nei negozietti si poteva trovare davvero di tutto... e quando dico tutto... intendo tutto.
Il Kaminarimon era imponente con le enormi statue di quelli che io avevo imparato a chiamare "demoni giapponesi" tramite i manga, ma che ho scoperto essere figure mitologiche e mistiche del buddismo.


Superata l'entrata del Kaminarimon appare la costruzione principale del tempio e, ad ovest, il Gojuto (pagoda delle 5 storie) dove si dice vengano conservate parte delle ceneri di Buddha.
Il complesso era molto bello, ma tutta l'atmosfera era rovinata dalle miriadi di turisti (quasi tutti orientali) che riempivano ogni spazio vuoto.
Abbiamo pregato alla maniera locale ed abbiamo provato l'"Omikuji".
L'"Omikuji" è un biglietto contenente una predizione divina, un oracolo scritto che si estrae presso i templi shintoisti e buddisti in Giappone in occasione di particolari festività per conoscere la propria sorte (vita, salute, lavoro, amore, ecc.)... i turisti invece lo estraggono ad ogni occasione ovviamente.
Prima si lascia un'offerta in una cassetta poi si agita poi una scatola al cui interno ci sono dei bastoncini numerati. Da un piccolo foro posto di questa scatola esce un bastoncino. Di lato è posta una piccola cassettiera in cui sono riposti i bigliettini dell'oracolo.
Si deve, quindi, cercare la cassetta che ha lo stesso numero presente nel bastoncino e prendere il foglietto all'interno, contenente la predizione (cosa per niente facile per un'occidentale).
Se la predizione dell'Omikuji è buona, si può mettere il foglietto in apposite casse oppure legarlo alla porta del tempio oppure portarlo con se, come talismano, fino a quando non si realizza la predizione.
Se, di contro, la predizione è negativa è preferibile annodarlo ai rami di un albero o ad una particolare struttura creata appositamente per questo motivo vicino ad un luogo santo, in modo da permettere agli spiriti divini di esorcizzarlo evitando così che si realizzi.

Dopo foto, oracoli e preghiere era sceso il buoi ed abbiamo deciso di ritornare al Ryokan.

Al ritorno ci siamo fermati in un negozietto ed io mi sono comprato delle originali ciabatte giapponesi.

A cena siamo andati in un chioschetto, di quelli frequentati dagli autoctoni, a mangiare il Ramen.
Oramai a Tokyo non ci sono più i chioschetti in legno che si vedono nei manga, ma piccole stanzette nelle quali si mangia seduti al bancone.
Appena entrati il cuoco ci ha chiesto di prendere il biglietto... si, proprio prendere il biglietto... introducendo il denaro in una macchinetta che sputava fuori un bigliettino che poi andava consegnato al cuoco.
Per capire "cosa" ordinare non c'era questa volta il menù fotografico... ci sono voluti 10 minuti per capire a gesti e "sprazzi di inglese" cosa significavano alcune scritte... e poi ancora 10 minuti per trovare la scritta equivalente alla spiegazione sui pulsanti della macchinetta.
Consegnati i bigliettini al cuoco, dopo neanche 2 minuti avevamo davanti il nostro ramen... cucinato a "velocità curvatura" dal cuoco.
Ora vado a descrivere il Ramen come solo un italiano potrebbe farlo.


Si prende un scodella e la si riempie di un brodo che varia da caso a caso, nel nostro caso conteneva pezzi di verdure ed alghe.
Poi si prendono degli spaghetti di soia e li si butta nel brodo.
Poi si prendono agli ingredienti e li si butta anche loro nel brodo. Nel nostro caso avevamo 3 fette finissime di manzo ed un uovo sodo.
Il Ramen mi è piaciuto tantissimo; nutriente e completo, ma digeribilissimo.
Vicino a noi un tipico giapponese.
E' entrato quando noi eravamo quasi alla fine... ha ordinato una ciotola di Ramen ed una ciotola di riso.
Nel tempo che noi abbiamo finito gli ultimi due spaghetti, il soggetto aveva spazzolato il riso e finito il Ramen... il tutto tenendo le ciotole adese alla bocca e facendo rumori che nella nostra cultura sarebbero a dir poco osceni, ma per la cultura giapponese sono sintomo di gradimento.

Dopo cena siamo tornati al Ryokan, il giorno dopo ci attendeva Kyoto.