mercoledì 14 dicembre 2011

Gudu's Namibian experience - Parte terza

28 agosto 2011

Il terzo giorno è stato forse uno dei giorni più avventurosi della mia vita.

Ci siamo svegliati prima dell'alba, abbiamo fatto colazione e ci siamo fatti preparare un "lunch box" dal lodge e, con la luna che ancora rischiarava il bush, siamo partiti alla volta del Sossusvlei Park. Guidare di notte nel bush è un'esperinza esaltante... mi sentivo un avventuriero.

A partire da Sossusvlei, il deserto del Namib diventa una pura distesa di sabbia rossa, deserto selvaggio.

Un'oretta e mezza di viaggio portò all'ingresso del parco. Durante il viaggio verso le dune, facemmo un sacco di fermate per goderci gli animali (soprattutto springbok e struzzi).

Arrivati all'ingresso del parco, decidemmo di lasciare la macchina nel parcheggio e di farci trasportare fino dalla "Dead Vlei" da una delle tante navette presenti, questo per goderci appieno il posto e non doverci preoccupare di rimanere insabbiati.

Saltammo così su di un fuoristrada-navetta che ci lasciò praticamente in mezzo alle dune.

Io mi presi lo zaino in spalle, la Vigi si prese la borsa della macchina fotografica ed insieme ci avviammo in direzione della Dead Vlei.

La dead Vlei distava circa 2 chilometri dal punto di ritrovo con le navette.

Un vento fortissimo frustava i nostri volti; sabbia, vento e sole sono i regnanti del deserto.

Camminare nel deserto è un'esperienza pazzesca per un occidentale: in pochi secondi non ci si rende conto più di dove si è e di dove si è diretti. Il deserto ha un fascino ancestrale e sembra chiamarti ed ammaliarti. Se non ci fossero state indicazioni e tracce di altri turisti io mi sarei certamente perso.

Dopo una dozzina di minuti arrivammo alla famosissima "Dead Vlei".

Cos'è la Dead Vlei?

E' una distesa piana, simile al letto di un fiume secco, circondata da enormi dune (trattasi di dune di altezza variabile fra i 200 ed i 300 metri). Uno scenario a metà fra l'apocalittico ed il naturalistico estremo... una vista di una bellezza incredibile.

Nella piana, scheletri di alberi pietrificati dal sole e piccoli turbini d'aria aggiungevano un senso spettrale alla scena.


Ci mettemmo a camminare al centro di questo incredibile scenario per qualche minuto e poi scegliemmo una duna e decidemmo di scalarla.

Per i turisti ci sono comodi sentieri per raggiungere le cime delle dune, ma noi decidemmo di scalare la duna prendendola di petto e cosi cominciammo a salire.

La fatica cominciò a farsi sentire dopo neanche 5 minuti... ero estremamente grato al mio mitico cappello da avventuriero regalatomi dalla Vigi anni addietro, ero protetto dal sole, ma nulla poteva proteggermi da quei colossi di sabbia.

Ad ogni passo sprofondavamo nella sabbia rossa e per ogni metro fatto verso l'alto, scivolavamo indietro di almeno 30 centimetri. Ogni cinque minuti dovevamo fermarci togliere la sabbia da dentro alle scarpe. Attorno a noi solo la sabbia a centinaia di piccoli insetti simili a scarabei che uscivano e rientravano nella sabbia. Ero affaticatissimo, ma anche gasatissimo... ero dall'altra parte del mondo, in mezzo al deserto a scalare un duna altissima.

Col passare dei minuti la fatica divenne quasi insopportabile: le gambe erano sempre più pesanti ed il fiato sempre più corto; il vento continuava a frustarci la faccia ed oramai sentivo la sabbia anche in mezzo ai denti. Cominciai a pensare che non ce l'avremmo fatta ad arrivare in cima. Alcuni turisti, saliti in cima alle dune col sentiero, ci guardavano preoccupati.

Mancava davvero poco alla cima, oppure no? Non riuscivo a capirlo. Per quando continuassimo a salire con immensa fatica, la cima sembrava sempre alla stessa distanza. Più camminavo è più mi sembrava improbabile il mio arrivo alla cima, stavo quasi per dichiararmi "sconfitto" quando improvvisamente mi ritrovai la cima a pochi metri di distanza. In un guizzo di orgoglio misto a felicità spiccai alcuni salti e mi ritrovai sulla cima.Arrivato in cima fui colpito da un vento ancora più forte. Stavo per crollare dalla stanchezza. Mi sedetti a cavallo della duna ed attesi Virginia che era stata più astuta di me ed aveva evitato lo sprint finale.

Quando anche lei fu in cima, io avevo cominciato a riprendermi ed insieme potemmo apprezzare l'incredibile spettacolo a nostra disposizione. Davanti ai nostri occhi un distesa infinita di dune e proprio ai piedi della nostra duna (sul lato opposto a quello scalato da noi) un immenso lago nel deserto. Inizialmente pensavo fosse un miraggio, ma poi capii che era vero e più avanti, parlando con una guida, scoprimmo che ogni sette anni si formava questa distesa di acqua... eravamo stati davvero fortunati. Il deserto ha un fascino incredibile. Mi sentivo piccolo come un granello di polvere, ma al contempo accettato dal deserto. Il deserto mi parlava di cose ancestrali, mi parlava attreverso il vento, attraverso gli incredibili chiari-scuri creati dalle dune, attraverso il suo silenzio.Una sensazione di totale distacco dal mondo cosìddetto "occidentale"; una sensazione di benessere incredibile.Siamo rimasti non so quanto su quella duna... davvero non so quanto perchè avevamo perso il senso del tempo... potevamo averci messo un'ora od una vita a scalare quella duna.

Quando guardammo l'ora erano le 11.00 del mattino. L'aria stava diventando rovente così come la sabbia. Era ora di tornare al punto di incontro.Camminammo per un po' in cima alla duna e poi ci lasciammo andare ad una folle corsa giù per la duna.Ritornati alla Dead Vlei camminammo in direzione del punto di ritrovo. Ogni tanto non sapevo più dov'ero, ma fortunatamente camminavamo in controcorrente ad un flusso di turisti e quindi non perdemmo mai la strada.

Arrivati al punti di ritrovo mi sdraiai sotto ad un acacia (o qualcosa di simile).

Ad un certo punto provammo a fare un'altra sessione di trekking, ma il caldo e la stanchezza ci fecero cambiare idea dopo pochi minuti così tornammo al punto di ritrono ed attendemmo l'arrivo della navetta che ci riporto al parcheggio per l'una di pomeriggio circa.

Arrivati al punto di rifornimento tirammo fuori i nostri lunch box.

Nel lunch box c'erano solo robe schifosissime: un orrendo panino che io battezzai "al gusto di merda", una barretta energetica dall'improbabile composizione, un succo di frutta ed un frutto acerbo .Dopo il misero pasto (al quale io aggiunsi una bella dose di intregratori alimentari), ci dirigemmo verso il Sossusvlai Canyon.

Il canyon era molto affascinante (sciami di mosche a parte), le guide cartacee dicevano fosse secondo solo al Gran Canyon, ma noi eravamo troppo stanchi e ne percorremmo solo la prima parte per poi tornare indietro... quindi non ce lo godemmo nella sua completezza, scoprii quanto era immenso solo una volta tornato in Italia gironzolando su internet.

Al ritorno una piccola sosta alla famosissima duna45, che esteticamente dicono sia perfetta, ma francamente non aveva un decimo dell'alttezza e del fascino delle dune nella Dead Vlei.

Alle 16.00 rientrammo al lodge, ci rilassammo un po' in attesa della cena. La vista dalla nostra capanna era spettacolare e passammo il tempo semplicemente seduti di fronte alla porta d'ingresso ad ammirare il bush silenzioso.

Dopo un tramonto ovviamente spettacolane, potemmo goderci nuovamente il cielo notturno namibiano che toglie il fiato tanto è bello.

Dopo un'ottima cena, crollammo letteralmente sul letto e ci addormentammo subito.

martedì 6 dicembre 2011

Gudu's namibian experience - Parte seconda

27 agosto 2011

La luce che filtrava dalla veranda mi svegliò.
Mi alzai lento ed andai alla porta della veranda per aprire le tende.
La veranda si affacciava direttamente sui campi da golf: davanti a me tanto verde e le prime attività degli addetti ai campi... una visione piuttosto occidentale.
Piccola passeggiata per saggiare l'aria frizzante delle mattine namibiane e poi pantagruelica colazione... e fino a qui, tutto molto occidentale.
Alle 8 precise mettevo in moto la nostra Toyoya 4x4 e mettevo in moto l'avventura.
La prima tappa era ad un distributore appena fuori città; 20 Km di rarissima strada asfaltata che ci avrebbe portati all'incrocio verso le strade montane.
Io ero alla guida, ero nervoso, ero preoccupato. Non ero mai uscito dall'Europa, dal salubre e civilizzato occidente. Sulla strada poche macchine, quasi tutte piccoli pick-up col cassone pieno zeppo di persone, ai lati della strada piccolo gruppi di babbuini guardavano le macchine passare come dalle mie parti fanno i vecchi.
Fu quello il primo momento in cui realizzai davvero di essere in Africa, in un posto totalmente diverso dal mio normale habitat di vita; un posto dove le scimmie stanno ai lati della strada e guardano le macchine passare.
Arrivammo in fretta al distributore dove erano fermi altri avventurieri con i loro fuoristrata.
Mi sentivo davvero un avventuriero, non ero li con una gita organizzata; ero li solo con la mia fidanzata... noi due da soli... senza guida, senza autista, senza navigatore satellitare... solo un fuoristrada ed una piantina.
Decine di autoctoni ci guardavano, sentivo i loro sguardi minacciosi, ero pronto a difendere me stesso, ma soprattutto la Vigi da qualunque attacco... conoscevo il kung-fu e non avrei avuto paura di usarlo. Ovviamente gli autoctoni si stavano facendo i cazzi loro ed al massimo ci guardavano con lo stesso sguardo con cui io ero solito guardare i turisti che venivano a fare i pin-nic nella mia valle, i cosiddetti "Merenderos"; ovviamente non ci accadde nulla, se non essere fregati sul pagamento del gasolio della cifra astronomica di 10 centesimi.
Usciti dalla stazione di servizio imboccammo finalmente la strada sterrata per le montagne.
Guidare un fuoristrada per la prima volta su di una strada sterrata è semplice da descrivere: Terrore. Ad ogni sbalzo la piena coscenza dell'instabilità del mezzo, ad ogni pietra la paura di forare, ad ogni curva la sensazione della macchina che perde aderenza... e mentre io procedevo ai 40 Km/h concentrato come un pilota di formula 1, auto autoctone e fuoristrada mi superavano al doppio della mia velocità.
Dopo un giorno di guida, i salti e gli sballonzolii diventano naturali e non ci si spaventa più di nulla... anzi... la terra battuta è molto meno ingannevole di certi asfalti, è sincera, diretta, viscerale... ma i primi chilometri sono davvero da cardiopalma.
Lì cominciò la vera avventura.
La strada correva inerpicandosi sulle montagne come un enorme serpente, tutto attorno un paesaggio indescrivibile, davvero indescrivibile. Ci sono cose che nessuna foto, nessun filmato, nessuna descrizione può rendere; bisogna esserci dentro.
Guidavamo attraverso montagne semidesertiche con una panorama così ampio da non poter essere abbracciato con soli due occhi.
In questi luoghi tutto si fondeva insieme: l'odore dell'erba secca e della polvere, i colori della vegetazione, il rumore del vento, la luce surreale. Ci vuole del tempo per concepire tutti i milioni di imput che arrivano dall'esterno; aggrediscono con violenza occhi troppo piccoli per vedere, bocche troppo strette per assaportare, cuori troppo aridi per assorbire.
All'inizio mi concentravo solamente sulla guida per non essere aggradito da tutto questo "essere"... poi ad un certo punto ci siamo fermati per una pisciata... anche solo la descrizione di una fermata per la piscia rende l'idea del posto: macchina appena accostata e nessun segno di presenza umana, solo il rumore del vento che muove l'erba secca e la polvere della strada; ogni tanto il rumore di un babbuino che si lascia cadere da un ramo od i passi leggeri di qualche erbivoro. E' stato durante questa fermata che mi sono lasciato aggredire dall'Africa; ho lasciato che i miei sensi occidentali fossere violentati e rieducati a quello che veramente è l'esistenza.
In quel posto, lontano dai filtri della civiltà occidentale... lontano centinaia di chilometri dalla prima presa elettrica e lontano 10000 chilometri dal mio lavoro, dalle mie pratiche sociali, dalle mie abitudini, dalle mie fissazioni... lì... in quel momento... sono stato libero... libero di essere un granello di polvere in un deserto infinito. Se il tuo cuore è arido, in Namibia troverai solo rocce, polvere ed erba bruciata dal sole, ma se esiste in te ancora uno spiraglio di vero "essere", potrai connetterti con la terra e sentirti davvero vivo.
Da qual momento in poi facemmo parecchie fermate, soprattutto per fare foto ed osservare il panorama.
La vigi possedeva la sua reflex da circa tre anni; aveva fatto un corso professionale di fotografia, fotografato Vienna, Bruxel, Parigi, Bruges, Londra, Santiago, Roma, Venezia e mille altri posti, ma non aveva ancora potuto fotografare la sua amata Africa. Virginia era stata molte volte nell'Africa del sud... Sud Africa, Zambia, Kenia, Namibia, Botzwana, ma quando era andata non aveva ancora la sua fidata ed amata macchina fotografica.
Virginia amava profondamente l'Africa ed era un piacere vederla eccitata scalare creste, sporgersi da dirupi o scendere nei kanion per fare delle foto. Io dal mio canto, mi godevo quelle stupende atmosfere e col mio bionocolo provavo ad esplorare con la vista quelle distese, distese così immense da sembrare irraggiungibili anche se viste con un binocolo di ottima qualità.
Dopo tre orette ci trovammo dalla parte opposta delle montagne raggiungendo la zona del deserto del Namib. Gli avvistamenti degli animali cominciarono a farsi più frequenti (spesso dovevamo fermarci per l'attraversamento di qualche erbivoro) e così anche le nostre soste di osservazione... ogni animale avvistato era un'avventura, una foto, un'esclamazione di gioia, una scoperta grandiosa.All'ora di pranzo... evito appositamente l'uso di ore precise, perchè in Africa ci si può permettere di non guardare costantemente l'orologio... all'ora di pranzo arrivammo al mitivo Solitaire.
Solitaire è uno dei luoghi più famosi della Namibia e non a torto; è uno dei luoghi più caratteristici che io abbia mai visto in tutta la mia vita.
Solitaire è in pratica una stazione di servizio nel mezzo del deserto del Namib. 250 Km la separano dalla stazione di servizio più vicina e 350 Km la separano dalla città più vicina.
Solitaire è composta da due vecchie (ma funzionanti) pompe di benzina, un officina meccanica stile filmaccio d'avventura anni '80, uno sgangherato ristorante in stile "film di Bud & Spencer anni '70", un bazar di oggetti vari ed un panettiere. Ebbene si. Li, nel mezzo del deserto, nel mezzo del nulla, un pazzo crucco emorme e rubizzo aveva deciso di aprire una panetteria... e che panetteria... ho contato almeno dieci tipi di torte, quindici tipi di biscotti e pasticcini ed il mitico pane namibiano. Il pane namibiano esiste di un solo formato: parallelepipedo di sezione 10x10 centimetri ed altezza 18 centimetri. Il pane namibiano mantiene le stesse caratteristiche anche per una settimana senza bisogno di particolari artifizi conservativi; è gustoso e riempie la pancia che è un piacere. Immaginatevi di essere in mezzo al deserto e di trovarvi in una semibaracca davanti ad un ciccione biancobarbuto, rubizzo e sorridente che ti propone di assaggiare la sua torta di mele... non ha prezzo... un babbo Natale nel deserto.
Dopo un buon pranzo nel ristorantino di Solitaire, riprendemmo la strada verso il primo lodge che ci avrebbe ospitati. Non ho mai capito come facesse Virginia a capire dove eravamo e dove dovevamo andare guardando la piantina, io ci provai più volte senza mai capire nulla. Quando guidavo io, Virginia mi indicava la strada mentre quando guidava Virginia doveva essa stessa consultare la piantina per decidere che direzione prendere.
Intorno alle 15.00 arrivammo al "Namib Desert Lodge", lussuoso lodge che ci accolse con un'ottimo succo di limone. Non perdemmo l'occasione di prenotare subito un spedizione guidata al tramonto presso le dune pietrificate presenti in zona. Le dune pietrificate sono dune che col passare del tempo (milioni di anni), a causa del peso della sabbia e degli eventi atmosferici, sono diventate dure come la roccia. In attesa della partenza ci sistemammo nella nostra capanna (io scrivo capanna perchè quello era lo stile architettonico, ma si strattava di sistemazioni molto lussuose) e poi andammo a rilassarci in piscina. C'erano due piscine, una d'acqua dolce e l'altra d'acqua salata; la temperatura media dell'acqua era di 10°C. La Vigi, una volta saggiata la temperatura, decise evitare il bagno, mentre io mi tuffai nell'acqua gelida ottento un totale rilassamente di muscoli ed una sensazione di grande benessere. In verità lo feci come sfida ad una cicciona inglese che si era tuffata in quell'acqua gelida senza farsi problemi... come potevo farmi superare da una balenottera inglese?
Poco prima del tramonto saltammo sulle 4x4 delle guide e partimmo alla volta delle dune pietrificate. Non dovendo guidare, potemmo goderci appieno l'atmosfera ed il panorama. Guidavamo in mezzo all'erba secca alta più di un metro a velocità ridotta godendoci tutto quello che ci circondava.Il tramonto nel bush è quieto e rilassante: l'aria è tiepida, gli odori intensi ma delicati, i colori caldi ed avvolgenti. Avvistammo anche alcuni erbivori: coloratissimi sprinbock ed eleganti Orici e ci godemmo il mare d'erba che ballava guidato dal vento. Al tramonto ci fermammo in cima ad una delle dune più alte e le guide servirono un aperitivo per tutti i presenti (circa 15 persone).
Io e Virginia, oramai galvanizzati dall'atmosfera, buttammo le scarpe vicino ad un cespuglio e ci godemmo la sensazione della sabbia fresca sotto i piedi (piedini nel caso della Vigi). Mentre lei fotografava l'immensità del panorama ed i colori del tramonto io mi sedetti a terra col mio gin-tonic in mano e mi misi ad osservare tre Orici che apparvero da tre direzioni differenti e, muovendosi con estrem alentezza, arrivarono ad incontrarsi; poi volsi lo sguardo verso il sole. Non ci si stufa mai dei tramonti Africani. Il sole si muove così rapidamente che è possibile scorgerne il movimento; i colori sono accesi e caldi, ma tenui e catturano gli occhi con delicatezza fino a rapirli completamente... anche la Vigi smise di fare fotografie e rimase a godersi il tramonto. Come ho già scritto, il tramonto è rapido: in quindici minuti era buio e nel notturno del bush rientrammo al lodge un poco infreddoliti per la temperatura calata anche lei repentinamente (in quella zona del deserto si passa da +30 a +10 in poco più di un'ora).
Prima di cena ci fu il mio famoso avvistamente della "Testa che si inabissa". Descrivo la scena: io svaccato su di una sedia fuori dalla capanno vedo una testa tonda inabissarsi nell'erba a poche centinaia di metri dalla nostra capanna; dico a Virginia (che sta pulendo l'armamentario fotografico) "Hei, ho visto una testa inabissarsi" e lei "Testa? era tonda" ed io "Si, bella tonda, carina con le orecchiette tonde" e lei "Cazzo, ma allora era un leopardo od un ghepardo!". In un nanosecondo ero nella capanna con la porta sprangata.
La cena fu ottima: zuppa, carne di orice e patate al forno; il tutto accompagnato dalla mitica Windoek lager, la birra che ci ha accompagnati per tutto il viaggio. Quando siamo usciti dalla sala comune ci attendeva un percorso di 200 metri al buio in mezzo al bush e, dopo la storia della "Testa che si inabissa", un po' ci turbava questa distanza, ma poi fummo rapiti dal cielo.
Cacchio! Nell'altro emisfero si vede la via lattea... con tanto lattiginosità. In mezzo al deserto, senza inquinamento atmosferico e luminoso, il cielo era cosparso da migliaia di stelle sconosciute. Uno spettacolo di cui non sono mai stato sazio durante tutto il viaggio.
Rientrati nella capanna abbiamo fatto l'amore e ci siamo addormentati esausti e felici.

martedì 29 novembre 2011

Gudu's Namibian experience - Parte prima

Ricomincio da questa nuova piattaforma il racconto del mio viaggio in Africa.
purtroppo "Splinder", che per anniha ospitato i miei deliri, ha deciso di chiudere i battenti.

25-26 agosto 2011 - IL TRASFERIMENTO

Il trasferimento, si sa, è la parte più massacrante di ogni viaggio; soprattutto se come me si soffre qualsiasi mezzo di trasporto (auto, aereo, nave) o se si deve sopportare uno come me (il caso della Vigi).
Alle 16.00 di sabato 25 agosto io e la Vigi eravamo già all'aereoporto di Caselle in fase di check-in.Dopo aver spedito i bagagli direttamente a Windhoek (capitale della Namibia), siamo rimasti tre orette seduti su di una sedia ad attendere l'imbarco inventando nuovi giochi e riprendendo il nostro gioco preferito durante i viaggi: il famosissino "Carico bastimento".
Oramai la stagione classica delle ferie era finita ed in aereoporto si potevano trovare solo uomini d'affari ed i cosiddetti "duri e puri" ovvero chi, per un motivo o per un altro, si trova a viaggiare in modo più avventuroso fuori dai flussi di massa. "Che fighi che siamo, siamo dei duri e puri" pensavo io... durante il nostro viaggio avremmo poi conosciuto dei veri caldi, duri e puri al confronto dei quali io ero una mezza checca.
Dopo un'ora di volo siamo arrivati a Francoforte dove abbiamo avuto un'ora e mezza di tempo per cenare con un'orrendo panino crucco a base di pane spalmato col burro e strani insaccati... devo ancora capire questa mania che hanno i popoli del Nord Europa di imburrare ogni cazzo di panino.
In prima serata ci siamo imbarcati su di un mega aereo a due piani della Lufthansa (non so il modello) e siamo decollati in direzione di Johannesburg.

Ho superato subito le paure per il mio primo viaggio intercontinentale (10 ore di volo) grazie agli schermi posti davanti ad ogni sedile che mi proponevano di vedere un sacco di film che mi ero perso al cinema come Thor e Kung-fu panda 2 (in Italia uscito una settimana dopo che l'ho visto in aereo). L'aereo è decollato tranquillo mentre mi godevo le manovre sullo schermo mediante le telecamere esterne. Una volta in quota è scattata l'ora di Kung-fu panda 2 e poi di Thor. Fra un film e l'altro ci hanno proposto di ri-mangiare cena. Abbiamo Rifiutato entrambi e la hostess ci ha detto con sguardo triste "credetemi, la cena è di lunga migliore della colazione, vi consiglio di prenderla"... è dura essere italiani all'estero. Verso la fine di Thor ho comincato a sentire i primi effetti collaterali dei cerotti contro il mal d'aria: vista depotenziata, nervosismo, secchezza delle fauci e debolezza e così ho deciso di provare a dormire, seguito a ruota dalla Vigi.
Le successive sei ore sono state una serie di inutili tentativi di mettersi comodi per dormire un po'.
Alla fine sia io che Vigi siamo crollati nonostante la scomodità e siamo stati poi svegliati un paio di ore dopo dalle fantastiche pezze bollenti che le hostess distribuiscono prima di colazione, fantastico!
La colazione era indescrivibile, io mi sono limitato ad una spremuta d'arancia mentre Vigi che è coraggiosa e di bocca buona è riuscita ad sbocconcellare qualcosa... io ogni caso la hostess aveva proprio ragione.
Intorno alle 8.00 di mattina siamo atterrati a Johannesburg e finalmente l'avventura si è fatta interessante. L'aereoporto della capitale del Sud Africa è a dir poco delizioso: pieno di negozietti, pieno di colori e pieno di vita. Abbiamo fatto passare piacevolmente le due ore e mezza che ci separavano dall'ultimo volo di andata girando per negozietti e bevendo "succhi di frutta 100% polpa con pure i pezzi dentro" all'unico bar presente.
Intorno alle 10.30 siamo decollati in direzione Windhoek: vento forte, aereo piccolo, Leo spaventato. A bordo ci hanno servito un pranzo a base, secondo loro, di "Italian pasta al pesto" (se un turista credesse davvero che quella è pasta al pesto non verrebbe mai in Italia) e "chili con carne" (se io credessi davvero che il chili con carne è così, dichiareri guerra al Messico)... insomma... roba orribile, ma siamo stati "presi per fame" e ci siamo ingozzati (ingozzati per non sentire il gusto).
Fra cambi di paralleli e voli, siamo atterrati a Windhoek intorno alle 13.00 dove abbiamo fatto mezz'ora di coda per farci timbrare i passaporti, mezz'ora di coda per cambiare gli euro con i Dollari Namibiani (1000 euro in cambio di una saccata di biglietti colorati) ed un'ora per ritirare il fuoristrada dalla Herz.

Il nostro fuoristrada era un Toyota Helion 2500 cc diesel rialzato con balestre rinforzate e cassone chiuso onde contenere le varie ruote di scorta ed evitarne il furto. Ho controllato il chilometraggio e mi sono tranquillizzato nel constatare che non era vicino alla zona "combio cinghia di distribuzione" e quindi non correvamo rischi inerenti la rottura della stessa. I battistrada anteriori erano profondi solo più 5 millimetri e la cosa non mi è piaciuta molto, ma quelli posteriori e quelli di scorta erano profondi 8 millimetri e così non sono stato a polemizzare con l'omino della Herz... anche perchè sarebbe stato inutile; infatti siamo atterrati il giorno della "Festa degli eroi" (festa importantissima per i namibiani) e tutti quelli che erano costretti al lavoro non erano molto collaborativi.
Ad aiutarci con la burocrazia c'era l'addetta locale dell'Agenzia: un'italiana residente a Windhoek molto gentile e disponibile ed il burbero marito un po' troppo convinto di se stesso.

Vigi è saltata subito al volante e ci siamo messi letteralmente ad inseguire i nostri referenti sulla strada che porta alla capitale a velocità decisamente esagerate per degli avventurieri che per la prima volta si cimentano con la guida a sinistra su asfalti non proprio occidentali.
Da quel giorno è iniziata la cosiddetta "Fase beep" dove il navigatore doveva gridare "BEEP" se il guidatore teneva troppo la sinistra perchè turbato dalle auto che sembravano piombargli addosso dal lato "sbagliato"... coniata in quell'occasione la mia frase "Guarda che l'erba ai bordi delle strade l'hanno già tagliata! beeeeeeeeeeeeeep!".
Nonostante i miei doveri di navigatore e l'alta velocità, mi sono goduto il paesaggio mozzafiato: lande infinite ricoperte solo dall'erba ingiallita e pochi sparuti alberi; un cielo blu ed infinito senza nemmeno una nuvola; un'tamosfera di pace incredibile.
siamo arrivati in fretta a Windhoek, città dalle costruzioni basse con ampi cortili che nascondono interi mondi. Anche la casa dei nostri referenti era un mondo intero: dietro ad un muro perimetrico grigio e scrostato una piccola oasi di pace e bellezza con piscinetta, piccole palme ed un portico con un'architettura incredibilmente rilassante. Proprio sotto al porticato, insieme ad un cagnone accaldato ed una grossa tartaruga curiosa, la nostra referente ci ha spiegato nei dettagli i percorsi da seguire e ci ha dispensato alcuni consigli molto utili, fra cui quello di andare subito in albergo poichè in città ogni attrazione turistica quel giorno era chiusa.
Abbiamo quindi iniziato il viaggio; soli, io e la Dame de papier, fantastico!
Una emozione grandissima riempiva tutto il mio essere... ero dall'altra parte del mondo, seduto su di un fuoristrada e stavo per visitare luoghi fuori da ogni mia esperienza. Mi sentivo un avventuriero, un esploratore, un uomo che stava per scorpire cose fantastiche.
Subito ci siamo persi nella vastità intorno alla città alla ricerca del mitico "Windhoek country club": l'Hotel più lussuoso di tutta la Namibia con tanto di piscina, cascate artificiali, campi da golf, casinò e manguste in giro per i campi. Alla fine siamo riusciti ad arrivare in Hotel ed è iniziata un'altra saga: quella del "Quanto diamo di mancia?"; una domanda che ci ha attanagliato per tutto il viaggio e che ancora ora non abbiamo risolto (anche se abbiamo avanzato molte teorie in merito).
Breve doccia in camera e poi pantagruelica cena in hotel. C'era di tutto: carne di ogni tipo di antilope, maiale, mucca, pollame, pesce fresco che si prendeva crudo dal buffet e si portava al cuoco per la cottura desiderata, ogni sorta di frutta e di verdura ed una discreta scelta di dolci. Dopo i pasti dell'aereo, la bontà del cibo era enfatizzata ed il nostro piacere di essere insieme in Namibia dopo un'anno di preparativi era così alta da farci tenere addosso un sorriso perpetuo. Dopo cena a letto prestissimo in vista di una "albeggiante partenza".
A partire da questo giorno abbiamo sempre vissuto con i ritmi della natura: a letto al tramonto e sveglia all'alba.
L'avventura iniziava da li.