giovedì 13 dicembre 2012

The Gudu's Stockholm experience

Torno a scrivere dopo mesi di attività convulse che non mi hanno dato modo di dedicare tempo al blog. Torno a scrivere in occasione della mia partenza per la Tanzania il 22 dicembre. Vado a raccontare l'unica città fin'ora visitato che mi ha convinto poco, nel senso che non mi ci sarei trasferito a vivere: Stoccolma. Io e la Vigi siamo stati a Stoccolma ad Agosto, fuggitivi dall'italica afa e dalle italiche faccende. Una cosa che si imprime nella memoria, arrivando in aereo e la visione della città come una massa di verde ed azzurro dalla quale si ergono i palazzi, una visione simil-manga post apocalittica del tipo "città devestate da guerre atomiche poi riconquistate dalla natura". Qui però non si tratta di riappropriazione della natura, ma di costruzione in armonia con la natura. Il primo approccio con la città è anonimo: palazzi squadrati, vetrine, aumanità in movimento, sparuti gruppi di turisti. Dopo qualche passo però si cominciano a notare alcune cose: - Poco traffico - Automobilisti educati (come in tutto il Nord Europa del resto) e silenziosi - Aria quasi da paesello (ho detto quasi) - Un sacco di ciclisti nonostante la pioggia... tutti in movimento sulle piste ciclabili presenti ovunque. Già durante la la gita a Vienna e durante il tour del Belgio avevamo notato l'incredibile grado di civiltà dei popoli nordici ed è stato un piacere constatare che la Svezia non fa eccezione. La grossa differenza consta nel fatto che abbiamo visto molti meno mezzi pubblici e molte molte molte più biciclette rispetto agli altri paesi nordici che abbiamo visitato. La bellezza della città sta proprio nel suo alto grado di civiltà, anche perchè ci sono poche altre attrattive.
Il centro storico medioevale non supera il voto "carino" ed è anonimo quanto un qualsiasi centro storico Italiano; niente a che vedere con città come Siena, Venezia, Parma, S. Marino, Parigi, Vienna, Francoforte, Brugge, Praga, ecc. Il castello è bello a visitarsi, ma non tiene il confronto con residenze come Versaille, Pražský hrad, Shonbrunn od Castello di Ferrara, ma nemmeno regge il confronto con una meno famosa Reggia di Racconigi, di Venaria o di Stupingi. Qualche bella chiesa, ma lontana dai livelli eccesli di Notre Dame, Le sacre Ceur, S.Pietro, S. Marco, S. Vito di Praga, ecc.. Il museo nazionale di Stoccolma è un esempio di valorizzazione del patrimonio: hanno creato un museo con gli oggetti che io potrei trovare nella cantina di mia nonna con l'aggiunta di un paio di fossili... un esempio di ingegno. Il museo nazionale di fotografia è piccolo e con poche fotografie (a parer mio e della Vigi di artisti non così dotati). L'unico vero museo che vale la pena visitare è il "Vasa museum" dove è conservata l'unica nave del XVII secolo rimasta quasi intatta: la Regalskeppet Vasa, un galeone svedese ornato in modo elaborato che affondò durante il suo viaggio inaugurale nel 1628 (alla faccia del Titanic). L'esperienza è notevole. Salendo sulle varie balcolate (4 piani di balconate) è possibile rendersi conto di quanto fossero immensi questi velieri... da buon progettista rimango sempre affascinato da queste immense opere realizzate senza computer e senza moderni macchinari. Un gigante di legno capace di solcare i mari per mesi e trasportare grandi quantità di merci e uomini con i propri sogni e la propria voglia di avventura. Essendo poi io un maniaco delle storie di mare (anche se preferisco non mettere piede su nulla che galleggi sull'acqua per paura del mal di mare) ho sognato ad occhi aperti avventure e battaglie antiche mentre osservavo la nave e leggevo le didascalie di descrizione. La Vigi ha potuto dare sfogo alle sue velleità da fotografa, sfruttando i sofisticati e per nulla casuali giochi di luce presenti nel museo. Il museo è un'altro esempio del genio svedese: il sistema di visita, le luci, il posizionamento degli oggetti, le postazioni interattive... tutto è creato con lo scopo di immergere il visitatore in un mondo passato e farlo sognare. Altra attività che consiglio è un bel giro in barca per vedere le coste e le isole nei dintorni della città. Innanzitutto il porto è molto bello e non a niente a che fare con i malconci e malfamati porti italioti e francesi; sono luoghi in cui passeggiare e godersi il contatto con il mare.
Durante la gita in barca è poi possibile ammirare decine di ville d'epoca abbarbicate sui rilievi di fronte al mare, natura tutto intorno, atmosfera placida e tranquilla. Sconsiglio però il giro all'isola degli artisti: è un'isola anonima nella quale ci sananno si e no una ventina di negozietti occupati, più che da artisti, da hobbisti che incollano e cuciono cose "a cazzo"... in confronto l'Ikea è una forma d'arte possente. Interessante è anche "Skansen" che è il primo dei musei all'aperto e degli zoo svedesi, un bel modo di passare un pomeriggio passeggiando in mezzo alla natura, osservando animali tipici della zona e la fedele ricostruzione di un villaggio medioevale.
Un souvenir tipico e bellissimo della Svezia, se avete molti molti molti soldi, sono i prodotti in lana: bellissimi maglioni, sciarpe, berretti e stupende coperte... il tutto fatto a mano... il tutto costoso che se fosse fatto in pelo di panda. Sul cibo il mio commento è "lammmerda!!!". A stoccolma si può mangiare dell'ottimo salmone (al prezzo al chilo suppergiù del tartufo), delle buone aringhe o dei pessimi stufati/minestre/arrosti... il tutto condito con strane creme che sono riuscite perfino a risultare indigeste alla Vigi (che dal Canada al Sud-Africa ha sempre ingoiato qualunque cosa le proponessero senza avere problemi). I beveraggi sono inesistenti: la birra è una birra qualunque ed il vino locale è inesistente. La gente... bhe... la gente... ogni tanto potevo immaginarmi di essere finito in un città conquistata dai "Borg" (vedi Star Trek). Tutti molto gentili e disponibili, ma in cinque giorni non ho visto uno svedese sorridere... li osservavo per strada, nei negozi, nei locali... mai visto un sorriso od un cenno di entusiasmo alla vita... e dire che loro non avevano la situazione critica dell'Italia... ma forse è stato solo un caso... forse. In generale è stata una bella esperienza, perchè visitare posti nuovi e conoscere nuove culture è sempre bello e fonte di crescita, ma devo dire con sincerità che non tornerei a Stoccolma ne mi ci trasferirei... nonostante la Svezia sia una nazione iper civilizzata dove si dice che si viva bene... mi piacerebbe però visitare il selvaggio Nord. Visitare Stoccolma e vedere come gli svedesi sono riusciti a valorizzare le poche e discretamente scarse opere architettoniche ed artistiche che hanno, mi ha fatto capire quanto siamo coglioni noi italiani... potremmo vivere tutti, ma proprio tutti, di solo turismo. In mano ad un manager svedese ogni paesino italiano potrebbe diventare un'attrazione turistica... i nostri artigiani potrebbero diventare milionari vendendo le loro opere ai turisti anzichè stare a morir di fame cercando di tenere testa ai prezzi dell'Ikea; i nostri pittori, attori, poeti e musicisti potrebbero rendere indimencabile ogni esperienza turistica in italia. ... ma noi siamo italiani... preferiamo morire di fame/tedio/depresisone a costruire la panda piuttosto che valorizzare le immense cose che la nostra storia e la nostra cultura ci hanno dato gratis.

mercoledì 11 luglio 2012

Pessimismo e fastidio

Ti alzi la mattina prestissimo perchè lavori lontano. Ficchi un po' di gasolio (del quale prezzo il 70% sono tasse) nell'auto. Lavori tutto il giorno e fai straordinari fino sera tardi. Sai che hai lavorato così tanto per pagare l'idraulico, l'affitto, il dentista, il veterinario, il gastroenterologo, l'assicurazione... mica per un bel cono gelato od un'auto nuova. Stai pensando di trovarti un lavoro nel week end per poter forse andare in ferie. La sera sei troppo stanco per fare una carezza al cane/gatto, farti una trombata con tua moglie, sorridere a tuo figlio, portare avanti una passione. Dentro di te ti ripeti "Sono fortunato, ho un lavoro... posso mantenere mia moglie, mio figlio, Monti, Fini, Schifani, Napolitano"... vai in chiesa e doni i soldi che avresti usato per portare tua moglie al cinema alla chiesa cattolica che li userà per pagare lo schermo LCD a quel rumeno che stuprerà tua figlia fra qualche anno od al prete che la stuprerà subito. Poi ti convinci di arrivare all'illuminazione: lavori come un negro per pagare cose che poi tanto non ti godi... - l'affitto della casa un po' più bella nella quale non stai mai. - la connessione internet con la quale scarichi i film che non hai tempo di vedere. - il veterinario per gli animali che non hai il tempo di goderdi. - il gasolio che fondamentalmente usi solo per andare al lavoro. Quindi fondamentalmente se lavorassi molto meno, potresti goderti le stesse cose, ma avresti più tempo... EUREKA... l'illuminazione! Però poi per andare al bar servono i soldi, per arrivare in centro a passeggiare od in montagna a respirare ti servono i soldi, per l'aulin che ti toglie i dolori ma ti uccide il fegato ti servono i soldi, per andare al cesso in città devi pagare... per fare qualunque cosa ti chiedono dei soldi... anche il tizio che ti fa parcheggiare davanti al supermercato ti chiede i soldi per non rigarti l'auto (che poi ti righerà il tossico che passa di li o la cinese neo patentata). Quindi sei nella situazione che in ogni caso non potrai goderti la vita... in ogni caso soffrirai... ... allora esci di testa, vai in strada e ti metti a sparare alla gente... così per fare un favore a qualcuno e poi come ricompensa spari a te stesso... La razza umana non ha capito un cazzo... è giusto che si estingua oppure ha ancora speranza? Bhooo???... ora vado a prepararmi il panino da mangiare in ufficio, così non perdo tempo per la pausa pranzo e faccio più ore di straordinario...

lunedì 28 maggio 2012

The Gudu's Prague experience

Era il 6 aprile 2012, il week end dopo al mio compleanno (4 aprile). La Vigi mi aveva chiesto di prendere un giorno di ferie per andare a ritirare il mio regalo di compleanno in un posto lontano ("bhoooo" pensavo io). Ci alzammo alle 8.00 di mattina e saltammo in auto. Non sapevo la meta, era la Vigi a guidare. Passammo tre orette in auto nella quali ho ricevuto ogni sorta di indizi (fuorvianti) sul mio regalo... ad in certo punto, quando siamo passati nei pressi dell'aereoporto di Orio al Serio, mi era entrato in testa il tarlo che il regalo fosse un lancio col paracadute... panico... quando però siamo arrivati al "Park and go" e la Vigi ha tirato fuori la valigia dal cofano (preparata e caricata la sera precedente di nascosto) ho capito che si partiva per un'altra "Gudu's experience"... grande Vigi! Arrivati in aereoporto, sono stato messo di fronte al tabellone delle partenze senza essere a conoscenza della meta... c'erano molte mete diverse interessanti su quel tabellone. Superato il check-in ci siamo seduti al bar a berci un succo di frutta. La Vigi mi ha consegnato un pacchettino. Io l'ho scartato in tutta fretta ed era la guida Lonely Planet (fedelissima ed irrinunciabile compagna di ogni nostra avventura) di Praga. Ora conoscevo la destinazione. Dopo due orette di volo siamo atterrati nella Repubblica Ceca, dopo un'oretta eravamo in albergo e dopo altri dieci minuti eravamo per le strade di Praga. Praga è una città stupenda. Io sono un appassionato di architettura e cultura medioval-gotica in generale ed devo dire che ho avuto di che deliziare i miei occhi ad ogni angolo, ma come sempre ciò che più amo di ogni avventura è l'assaporare l'atmosfera dei luoghi. L'atmosfera di Praga è magica, non per nulla è considerata uno dei vertici del triangolo della magia europeo (non ricordo se magia bianca o nera, ma chissenefrega). Il centro storico (ma anche il resto della città) è un inno al tardo medioevo con i suoi edifici, le sue chiese gotiche, le sue goglie , le sue vie strette, le sue piazzette, le rive del fiume ed il mitico "Ponte Carlo".
Il primo pomeriggio lo abbiamo passato a gozzovigliare per la città godendo dei mercatini di Pasqua (nettamente simili ai mercatini di natale che visitammo a Vienna con gli artigiani direttamente al lavoro dietro ai banchetti), dei concerti medioevali della piazza ed in generale delle atmosfere praghesi. Quel pomeriggio abbiamo fatto la nostra prima scoperta praghese: il "Trdlo". Il Trdlo è un dolce cotto sulla brace mediante una specie di "girarrosto potenziato"; ha la forma di una cimbella ed a guardarlo da l'idea di essere cos' dolce da nauseare, ma quando lo si mette in bocca si rimane sorpresi dal fantastico gusto bilanciato. Il Trdlo va mangiato caldo, appena tolto da sopra alla brace... diventa presto una droga e ci si ritrova costretti a fare una "sosta Trdlo" almeno due volte al giorno.
Sul ponte Carlo si esibivano artisti di strada ed ogni statua meritava una fermata per essere osservata. Inutile dire che il pomeriggio è passato rapido in mezzo a quest'atmosfera festosa. La sera siamo andati a mangiare un Goulash (il primo di molti) in un jazz club. Una cosa che mi ha colpito molto è il fatto che nel centro storico di Praga ogni 100 metri si trova una live house (principalmente dedite al jazz od al blues), un teatro od una chiesa ospitante un concerto di musica classica... è un piccolo paradiso per i musicisti. Alla sera, dopo le 21.00 circa, complice probabilmente il freddo ancore pungente, le strade erano vuote e pochi turisti si aggiravano in cerca di locali in cui passare la serata. Noi facemmo una breve passeggiata e poi tornammo all'albergo. La mattina seguente (sabato 7 aprile 2012) faceva un freddo pazzesco, i maglioni di lana e le giacche da montagna non bastavano a ripararci dal vento gelido che si insinuava fra le vie della città... questo però non faceva che accrescere l'atmosfera magica praghese. La nostra prima tappa fè stata il Castello di Praga... un immenso castello in perfette condizioni all'interno del quale si trova anche l'imponente e goticissima cattedrale di S. Vito all'interno della quale sono riposte le più importanti reliquie della chiesa cattolica boema. Tutto immenso e spettacolare... l'interno della cattedrale poi, con le sue vetrate colorate ad impreziosire l'immensità architettonica, ci ha lasciati a bocca aperta. Bellissimo e caratteristico anche il confinante Vicolo d'Oro: una celebre stradina di Praga, situata nell'area del Castello (nel quartiere di Hradcany) e caratterizzata da una fila di bassi edifici variopinti, che furono costruiti in stile manieristico a partire dalla fine XVI secolo, inizialmente per ospitare le 24 guardie dell'imperatore Rodolfo II d'Asburgo (1522-1612) e le relative famiglie. La via deve il proprio nome agli orafi che in seguito la abitarono. È conosciuta anche come "Via degli Alchimisti", in virtù di una leggenda secondo cui sarebbero vissuti qui anche degli alchimisti (in realtà residenti in una via vicina), che cercavano di tramutare il ferro in oro per Rodolfo II d'Asburgo e di produrre la pietra filosofale e degli elisir di lunga vita. Nella via risiedettero, per un breve periodo, anche famosi scrittori, quali Franz Kafka (dal 1916 al 1917) e Jaroslav Seifert. Ora la via, uno dei luoghi più visitati della città ed ospita esclusivamente negozi di souvenir ed un museo di armi ed armature medioevali. Ok ammetto di avre preso la descrizione della via da wikipedia, ma questa descrizione rendeva così bene la particolare atmosfera che non potevo evitarlo. Aggiungo che le case erano piccolissime (sia nell'altezza che negli spazi interni) e coloratissime. Vedere questa via con il vento gelido che trasformava ogni goccia di pioggia in un piccolo ago è stato davvero pittoresco... fra l'altro, visitando la casa di Kafka, era è stato facile intuire come gli venissero fuori certe atmosfere. Intorno all'una di pomeriggio eravamo di nuovo nella piazza principale del centro storico dove abbiamo pranzato ai banchetti mangiando il famoso "Prosciutto di praga" con patate e Crauti e poi abbiamo passato il pomeriggio in giro per il centro storico, cogliendo l'occasione per visitare le altre chiese e salire sulla torre dell'orologio ed assistere alla suonata di tromba che viene ripetuta ogni ora da un trombettista in costume ai quattro angoli della torre... il tutto intervallato da "Soste Trdlo e Vin brùlè".
Passeggiare per Praga è molto suggestivo e romantico. ci sono piccole piazze e vicoli che finiscono sulle rive del fiume ed altre che portano verso la collina. La magia dell'atmosfera Praghese si accentua alla sera dove i colori si fanno più vivi e le luci pubbliche (opportunamente posizionate) danno maggior vita alle architetture aumentendo i giochi di ombre.
Alla sera abbiamo cenato in un piccolo ristorante tipico concendendoci varie specialità locali meno conosciute dalla massa turistica, ma altrettanto buone ed "interessanti" per il palato. Domenica 8 aprile 2012 ci siamo mossi in direzione della fortezza, una meta meno turistica che però io ho trovato ancor più suggestiva. L'ingresso è simile a quello della "Terra di Mordor" del signore degli anelli: un'altissima e spessissima muraglia divide la zona del castello dalla città. Le porte erano ovviamente aperte e ci siamo avventurati all'interno ritrovandoci in quella che poteva essere tranquillamente uno scenario per un film di Tim Burton (quando ancora sapeva essere davvero dark): una strada in ciottolato saliva sulla collina e ci ha portati in un vecchio cimitero dotato di tutti gli optional tipici dei cimiteri gotici: cancellata in ferro arrugginito, statue logorate del tempo, croci elaborate in ferro battuto spesso storte, marmi spezzati, scrittedi epitaffio in carattere gotico, alberi scuri e scheletrici e cielo scuro e plumbeo. Sollo sfondo una splendida chiesa gotica con le classiche tre altissime navate, le grosse vetrate, e la pietra degli esterni annerita dal tempo... il top del gotico.
Io adoro le chiese gotiche per l'atmosfera interna che mette davvero soggezione e per gli splendidi giochi di luce creati dalle alte e coloratissime finsetre. Dopo aver visitato la chiesa e la zona (adibita a parco tutto intorno) siamo andati a rifugiargi in piccolo bar in attesa che partisse la visita guidata all'interno delle mura della fortezza. Fuori faceva in freddo incredibile e ci siamo scaldati con una tisana. Alle 12.00 precise abbiamo fatto il tour all'interno delle mura... giro breve, ma suggestivo all'interno di minuscoli cunicoli che sfociano in un'ampia stanza nella quale erano tenute delle enormi statue.
Per il pranzo ci siamo spostati in quella che viene chiamata "La città nuova". L'architettura di Praga non si ferma nella zona medioevale. Anche la parte più recente della città è interessantissima fra palazzi dalle architetture molto interessanti dissemninati sulle rive del fiume.
Abbiamo pranzato in un piccolo bistrot dove ci hanno servito il Goulash all'interno di una grossa pagnotta di pane... un piatto ottimo quanto pittoresco.
Proprio mentre entravamo nel bistrot c'è stata una piccola bufera di neve; questo evento atmosferico mi ha dato la sensazione di essere lontanissimo dall'Italia dove in quel periodo la neve era un lontano ricordo. Il pomeriggio lo abbiamo passato visitando ancora la "Città nuova" e poi ritornando a gozzovigliare nel centro storico, visitanto anche l'Hard Rock Cafè di Praga. Io sono un feticista dell'hard rock cafè... ho una collezione notevole di magliette, spille e cappelli dell'hard rock cafè... direi che un buon 15% del mio guardaroba porta la scritta "Hard rock cafè".
Vista la temperatura bassa, quel pomeriggio abbiamo battuto il record di soste per il vin brùlè. Nel pomeriggio abbiamo anche acquistato un po' di souvenir per i parenti e per la nostra casa, abbiamo preso una campanella in ferro battutto fatta a mano che adesso è appesa in veranda ed usiamo abitualmente al poste del campanello quando torniamo casa. Il giorno successivo ci siamo imbarcati sull'aereo che ci ha riportati in Italia. E' stato un regalo di compleanno fantastico ed un'altra "Gudu experience" da tenere nel cuore.

venerdì 4 maggio 2012

Gudu's Namibian experience - Parte Dodicesima

Ieri abbiamo dato l'acconto per la nostra prossima "Gudu's experience": 10 giorni di campeggio in Tanzania a dicembre 2012, ma di questo parlerò più avanti. Il 7 settembre 2011 partimmo di buon ora dal Divava Okavango Lodge in direzione del Waterberg Plateau per poi raggiungere l'Ohange Safari Lodge. Il viaggio era bello lungo (circa 600 Km per quasi 8 ore di viaggio) e la stanchezza si fece sentire, così evitammo fermate ed arrivammo al lodge intorno alle 15.30. Unica esperienza da segnalare è la seguente: a meno di mezz'ora dalla metà, avvistammo in lontananza una immensa nube di polvere, di quelle che si vedono nei film in cui immensi gruppi di animali si danno alla fuga. Rallentammo per osservare meglio la nube. La nube si avvicinava rapidamente a noi. La nube era sempre più vicina e man mano che si avvicinava era sempre più immensa. Accostammo il fuoristrada in attesa della nube con un misto di ansia ed attesa. La nube si avvicino sempre più rapidamente fino a raggiungerci. Non si vedeva più nulla, un rombo e pioggia di pietruzze sul nostro mezzo. Non era una gruppo di animali, ma un gruppo di autotreni. Vedere cinque enormi tir correre su di una strada sterrata di montagna è quasi spettacolare, un'altra singolarità della Namibia. Arrivammo al lodge dopo aver superato un percorso degno di una pista di test per fuoristrada che mise alla prova le mie capacità di guida. Il lodge era molto carino, nel mezzo della brulla montagna e completamente deserto. C'era la zona comune che era composta da un piccolo caseggiato basso e poi tante piccole capanne inerpicate su per la montagna e collegate da un piccolo ciottolato; su di un lato della montagna una piccola piscina. Ci venne incontro una rubizza signora, accompagnata dal rubizzo figlio ed un rubizzo cane; fu particolarmente cortese ed informale e ci accompagnò alla nostra capanna. La prima parte del pomeriggio la passammo a "docciarci" ed a leggere un po' seduti su di scomode sedie fuori dalla capanna mentre il bimbo rubizzo rumoreggiava in piscina con un'amichetta. Verso le quattro del pomeriggio tentammo un bagno in piscina, ma l'acqua era gelida ed erano presenti degli enormi mosconi che ad ogni morso facevano uscire il sangue... ed erano tanti e erano cattivelli, per cui tornammo in fretta a sederci di fronte alla capanna. Alle Cinque del pomeriggio fummo invitati a mangiare la torta di compleanno del bimbo rubizzo accompagnata da un ottimo the. Tutto molto informale... piacevolmente informale. Poco prima del tramonto sentimmo un grosso trambusto e vedemmo la signora rubizza, il bambino, un uomo sulla cinquantina ed un vecchio correre verso la piscina e, fra risa ed urletti, tuffarsi in acqua senza esitazione. Fu una scena che per me rappresentò "La felicità". Vedere una famiglia rilassarsi e divertirsi insieme nell'acqua prima di cena nel mezzo di una montagna brulla, nell'atmosfera magica della Nabimia per me fu un'ottima rappresentazione della felicità. La sera cenammo all'aperto insieme alla suddetta famiglia. Una cuoca in stile "big mama" cucinò per noi direttamente sul fuoco con enormi padelloni zuppe e carne. Attorno al piccolo gruppo il buio totale; il fuoco rischiarava solamente la zona dove eravamo noi... un'atmosfera di pace totale. Chicchierammo amabilmente (Virgi col suo inglese perfetto ed io col mio maccheronico) con i gestori (la famigliola in questione) e loro ci raccontarono la loro storia che è tanto semplice quanto bella. Erano tedeschi, economicamente agiati, ma stufi della mentalità occidentale del "produci, corri, insegui il dio denaro ed il dio potere". Un bel giorno acquistarono un pezzo di montagna nel Waterberg Plateau, costruirono un lodge e si trasferirono con tutto quello che restava della famiglia (nonno novantenne compreso). Ora viveano felici, in mezzo alla natura, in mezzo alla pace e, dopo tanti anni, ogni giorno era ancora una scoperta e pieno di felicità. Fra tutte le storie namibiane che sentii (la guida innamoratasi della donna Himba, l'Olandese che aveva aperto una panetteria nel deserto, i vari italiani fuggiti dall'occidente per fare le guide turistiche, ecc..), questa fu quella che più mi piacque perchè quella filosoficamente più vicina a me. Per capire quanto fossero felici bisognerebbe averli guardati negli occhi come feci io. La notte fummo svegliati dal rumore di un gruppo di erbivori che venne a nutrirsi nelle piccole aiuole interposte fra le capanne. Restammo immobili alla finestra a guardarli muoversi lenti e brucare in assoluta pace. Fu bellissimo un'emozione da portare vicino alla commozione. La pacificità e placidità con cui questi cauti bestioni pascolavano a 30 centimetri dal mio naso aumento l'aura di pace che regnava nel lodge. La mattina, dopo un'ottima colazione, ripartimmo in direzione di Windhoek. Facemmo una sosta al "Cheeta reserve", una riserva dove vengono accolti i ghepardi orfani e/o feriti. Il tour comprendeva un giro a bordo di fuoristrada accompagnati dalla guida all'interno della riserva (recintata con recinti elettrificati per tenere lontani i ghepardi sani). Vedemmo da vicinissimo molti ghepardi. Ovviamente fu diverso dal vederli dal vivo, ma dovemmo accontentarci in quanto la mia dissenteria ci aveva impedito di vederli allo stato brado al parco Etosha e negli altri parchi non avevamo avvistato alcun felino. La mia impressione sui ghepardi fu "Sono degli sfiga". Etichettati spesso come grandi cacciatori, sono invece predatori molto delicati e soggetti alle angherie di un sacco di animali concorrenti... vederli poi fare le fusa e leccare i volontari del centro, li rese ai miei occhi ancora meno maestosi. Dopo un breve pranzo alla riserva ed una lunga sessione di "acquisto souvenirs", ci rimettemmo in marcia ed alle cinque del pomeriggio circa eravamo di nuovo al Windhoek Country Club, lo stesso punto da cui era partita la nostra avventura quindici giorni prima. Non avendo potuto vedere la città all'arrivo, decidemmo di uscire a cena ed andare alla famosa "Joe beer's house" un locale notissimo a tutti i viaggiatori per la tipicità della struttura e per cibarie proposte... in pratica non sei un vero avventuriero alla scoperta della Namibia se non hai cenato almeno una volta da Joe. Dopo una doccia ed un sonnellino uscimmo dall'Hotel. Uscendo dalla porta notai che c'erano due persone in toga romana ai fianchi delle porte; pensai che facessero parte dello staff del casinò interno all'Hotel... come nei film holliwoodiani girati a Las Vegas. Appena misi fuori il primo piede dalla porta principale fui accecato da flash e luci ed assordato da urla di ragazzine. Quella sera c'era un matrimonio di vip namibiani. In pratica tutti i vip della Namibia erano presenti all'evento. Sembrò anche a me di essere un vip, un vip che entrà alla notte degli oscar in America... fu divertente. Tutti si chiesero probabilmente chi fossimo e penso che tutti pensarono che fossimo vip stranieri, anche perchè senza accorgecene avevamo aggirato tutti i blocchi di sicurezza e quindi nessuno ci fece allontanare dal "red carpet". Dopo questo divertente episiodio, raggiungemmo il famoso locale. Famoso (si fa per dire) l'episodio in cui un tizio ci indicò dove parcheggiare in una piazza ed io, abituato ai parcheggiatori abusivi torinesi, gli offrii dei soldi ricevendo come risposta che lui non voleva soldi, ma solo essere gentile. Il locale era pazzesco. Posso solo descriverlo come "un misto di tutto" ed infatti c'era di tutto e tutto messo a casaccio: arredi tipici dei pub irlandesi, ma anche suppellettili ed ombrelli in stile villaggio turistico, oggettistica tipica dei club coloniali dei nobili inglesi, pezzi di auto ed altri componenti meccanici... c'era di tutto. Il cibo fu ottimo come anche la birra. Quando tornammo all'hotel, il matrimonio era finito e la calma era tornata. Ce ne andammo a letto un po' mesti poichè il giorno seguente ci attendeva il volo di ritorno. Il giorno successivo, notammo una riga sul fuoristrada... o meglio... Virgi l'avev asegnalata già la sera, ma io non avevo dato peso alla cosa. Per non pagare penali ed usufruire dei servizi di assicurazione, ci toccava andare alla stazione di polizia e denunciare la cosa. Con l'ansia di perdere il volo, scoprimmo che le nostre sim non ci permettevano di chiamare come ci avevano garantito (meno male che non ci fu mai il bisogno di chiedere aiuto), così acquistammo una sim locale al negozio dell'hotel e chiamammo il referente della nostra agenzia. Accompagnati da una guida dell'agenzia ci recammo alla stazione di polizia dove firmammo un sacco di moduli e poi partimmo in direzione dell'aereoporto. Arrivammo in tempo, anzi in anticipo. Sfruttammo gli ultimi fogli di moneta locale per comprare souvenirs e poi attendemmo il nostro volo. Allo scalo di Johannesburg trovammo l'aereoporto in fermento: suonatori di musica africana riempivano l'aria di musica, i negozi esibivano souvenirs colorati (fra cui la mitica libreria-canoa che non acquistammo solo perchè ancora non vivevamo insieme) e la gente era allegra e sorridente. Dopo qualche ora di attesa decollammo dal Sud Africa in direzione di Francoforte. Un altro volo passato a guardare film (questa volta Thor e Mr Beaver), dormire male e mangiare peggio. Una sedicina di ore dopo eravamo di nuovo in Italia, all'aereoporto di Torino. Qualche ora dopo ancora, ero a casa mia a Brossasco a svuotare la mia sacca da viaggio (comprata per l'occasione) ed a raccontare le nostre peripezie alla nostra famiglia. Era un sabato... due giorni dopo sarebbe ri-iniziato il tram-tram quotidiano, ma quel viaggio mi avrebbe cambiato per sempre. Penso di poter dire che il viaggio in Namibia sia stata una delle esperienza più belle e significative della mia vita. Dopo quel viaggio ero cambiato, la mia visione delle cose era cambiata, la mia visione del mondo era cambiata e proprio durante quel viaggio io e la Vigi decidemmo di andare a vivere insieme dopo sette anni di relazione. Prima di partire pensavo di non amare l'Africa e di essere profondamente occidentale... dopo questa avventura nacque in me un profondo amore per l'Africa e per il viaggio in generale. Prima di partire ero in un certo senso cieco... sentivo che c'erano delle cose, ma non riuscivo ad afferrarle... durante quel viaggio ero riuscito ad afferrarne molte e grazie a quell'esperienza acquisii la capacità di afferrarne altre col tempo. P.S.: su youtube, sul canale di "gudu77" (http://www.youtube.com/gudu77) ci sono dei brevi video della nostra avventura.

giovedì 26 aprile 2012

Gudu's Namibian experience - Parte undicesima

Il 5 settembre 2011 siamo partiti in direzione della zona chiamata "caprivi Strip", una striscia di terra a penisola posizionata a Nord-Est ancora poco sfruttata dal turismo di massa a causa dei disordini accaduti in passato di cui ho parlato nel post precedente. Sarebbe stata l'ultima "tappa importante" del viaggio: due giorni al Divava Okavango Lodge&Spa, Lodge lussuoso che si sviluppava sulle rive dell'Okawango. Il viaggio passò rapido, senza particolari accadimenti ed arrivammo al lodge verso l'ora di pranzo. Una goduriosissima limonata ci attendeva alla reception. Il lodge era quasi tutto occupato da una spedizione di Americani che facevano il giro dell'Africa in Moto da enduro. A causa di questo, eravamo alloggiati in una delle capanne più marginali a cinque minuti a piedi dall'edificio principale... cosa che ci garantiva una una privacy maggiore ed il piacere di essere più vicini al "selvaggio". Il pranzo, come sempre, non esisteva. Ci gustammo uno dei nostri fantastici aperitivi al gin-tonic e poi ci facemmo preparare un panino. Il Lodge era veramente bello, sembrava di essere in quelle case in stile coloniale dei primi tempi delle esplorazioni inglesi in Africa: mobili lussosi, tappeti, arredi pacchiani, cantina ben fornita a vista e salottino ("ino" si fa per dire) all'inglese. Gli aperitivi venivano serviti nel salottino mentre le cene erano servite a lume di candela su di una terrazza che dava direttamente sul fiume. Le camere erano ampie e pulite, dotate di set per farsi il the (cosa rarissima in Namibia e molto apprezzata da me) e poi c'era la parte della capanna che preferivo ovvero la vasca in stile coloniale che dava su di un'immensa vetrata a vista fiume... in pratica ci si lavava guardando l'Okawango... più avanti feci l'amara scoperta che ci si lavava anche CON l'acqua del fiume in quanto l'acqua usciva dai rubinetti di un amabile colore marrone. La prima escursione possibile era quella sull'Okawango al tramonto. Passammo il pomeriggio a giocare a carte, leggere, dormicchiare ed osservare con inquietudine un immenso nido di tarantola appena fuori dalla vetrata della camera da letto. Alle 17.00 eravamo su di un grosso battello a due piani con macchina fotografica, binocolo, telecamere e gin-tonic in mano. Il fiume era stupendo come sempre, anche se devo ammettere che, a meno di essere un bird-watcher accanito, le cose da vedere sul fiume non sono molte (anche se molto affascinanti): gli incredibili coccodrilli, i rumorosipericolosimasimpatici ippopotami e miriadi di uccelli. Noi avevamo fatto un corso da birrd-watcher; non eravamo maniaci, ma eravamo abbastanza preparati da goderci i vari piumaggi degli uccelli senza annoiarci. Ad un certo punto della gita le guide fermarono la barca nella speranza che gli ippopotami si avvicinassero di più. Eravamo tutti in silenzio nella speranza di un contatto ravvicinato e con le attrezzature da "immortalamento" pronte all'uso. Di colpo sentimmo l'urlo "Okwangoooooooooooooooo" e poi un tonfo in acqua. Era uno degli americani che, da bravo americano pirla, si era tuffato in acqua. Lo scemo non aveva ancora toccato l'acqua che una serie di movimenti rapidi nell'erba sulle rive indicarono il rapido ingresso in acqua di alcuni coccodrilli. Le guide furono rapide a recuperare l'ameri-pirla, quasi mi sembrò di sentire lo schiocco a vuoto delle mandibole dei coccodrilli. La gita terminò con un fantastico tramonto rovinato dal rumoreggiare degli americani sul battello... persa quella magia incredibile del giorno prima, quando sul fiume placido eravamo solo tre innamorati della Natura in tutta la sua straordinarietà. Alla sera, dopo un bel bagno all'acqua marrone, cenammo in un lato appartato della terrazza a lume di candela. Fu molto romantico. In quella luce tenue, guardavo negli occhi da Vigi pensando che dopo sette anni insieme... eravamo arrivati lì, dall'altra parte del mondo, in un luogo diverso da tutto quello che un occidentale possa concepire (e spesso capire). Quando ci siamo conosciuti avevo la "fobia da viaggio", le prime ferie le facemmo a Ferrara e per me fu quasi tragico... poi piano piano altre mete in Italia cominciarono a farmi capire quanto fosse bello viaggiare (Roma, Verona, Milano, Siena, Cremona, Aosta, Venezia, Como, ecc..). Dopo l'Italia fu la volta di Vienna, il mio primo viaggio "non lavorativo" fuori dall'Italia, poi Parigi e vari altri posti della Francia, il tour del Belgio ed infine "Il grande Viaggio": l'Africa amatissima da Virginia che ci era già stata molte volte e che per sette lunghi anni, con pazienza, aveva atteso che fossi pronto a fare un "salto evolutivo" e capire quanto sia bello viaggiare. Un tempo pensavo: "spendere soldi per una cosa che dura poco e poi non ti rimane nulla in mano... meglio acquistare un oggetto che ti rimane" Che vergogna solo a ricordare di aver pensato questo!... la vera ricchezza è quella che abbiamo dentro... nessun uomo potrà portarti via il ricordo, la felicità, la ricchezza intellettiva e spirituale di un viaggio... gli oggetti che possiedi prima o poi ti possiedono, ti rendonos chiavo e possono sparire in qualsiasi istante facendoti capire quanto sei vuoto dentro... la vera ricchezza consiste in ciò che possiedi dentro di te. Posso affermare che grazie a Virginia io sono diventato un uomo ricco; ho aumentato immensamente la mia capacità di essere felice, la mia capacità di recepire le cose attorno a me e di godermele... C'è qualcosa che vale più di questo? Secondo me no. Quello che si prova quando si riesce a cogliere, ad esempio, il momento magico in cui tutto si ferma durante il tramonto sul fiume (post precedente) è immensamente superiore a qualsiasi felicità possa darti il possesso di qualsiasi cosa materiale. Quando arrivi a percepire appieno la bellezza del mondo e ti commuovi nel vederla perchè il tuo cuore ti sembra troppo piccolo per contenerla tutta (come a Sandwitch Harbour... vedi post precedenti), allora sei un uomo davvero ricco. A questo pensavo mentre guardavo negli occhi Virginia ascoltando i rumori notturni dell'Africa. La cena fu ottima ed il servizio di prima qualità. La mattina successiva (6 settembre 2011) saltammo su di un vecchio camion militare riadattato per un'escursione nel parco. C'eravamo solo noi, l'autista (scazzatissimo) ed una guida perennemente sorridente. Quel mattino potemmo ammirare molti erbivori ed una specie molto rara di Kudu, ma la cosa che più mi colpi (e che attendevo con ansia) era il mio primo incontro con i Baobab. Avevo letto "Il piccolo principe" (lo consiglio a tutti, ma non sto a parlarne... od almeno non ora) e tutti i capitoli delle guide della Namibia che avevamo acquistato. Io amo profondamente gli alberi e non vedevo l'ora di trovarmi di fronte a questi immensi fusti. Rimasi ovviamente sbalordito... i baobab sono indescrivibili... sono così immensi che si finisce col non considerarli alberi... ci si gira attorno come si girerebbe attorno ad una fontana o ad un grosso monumento. Quello piccolissimo nella foto sono io vicino ad un millenario baobab.
L'escursione durò davvero poco ed l'autista era poco propenso alle fermate od agli appostamenti, così decidemmo di annullare la seconda escursione guidata della sera e partimmo dopo pranzo con il nostro fuoristrada per un'escursione self-made. Girammo all'interno del parco dalle 15.00 alle 16.30 senza vedere quasi nessun animale... in quegli orari l'Africa fa la siesta. Dalle 16.30 in poi cominciammo ad avvistare animali ad ogni dove. Fu bello come sempre vedere passare gli erbivori di fianco al fuoristrada ed adrenalinico come sempre sfuggire agli agguati degli elefanti. Rimanemmo fino all'ultimo nel parco... così a lungo che quando ritornammo ai cancelli essi erano chiusi... eravamo rimasti chiusi dentro. Fortuna che la gestione del parco era molto "all'acqua di rose" e non c'erano lucchetti a sbarrare il cancello. Ci limitammo ad aprirlo e tornammo al Lodge senza intoppi. La sera un'altra stupenda cena a lume di candela e la sera tante coccole. Il giorno dopo saremmo ripartiti in direzione di Windhoek... l'avventura stava volgendo al termine.

lunedì 16 aprile 2012

Gudu's Namibian experience - Parte decima

Torno a scrivere dopo una pausa tecnica (connessione impossibile) all'interno della quale io e la Vigi siamo andati anche a farci una gita a Praga ed organizzato un futuro viaggio in Tanzania; ma di questo parlerò più avanti... torno a parlare della Namibia.

Il 4 settembre 2011, dopo una notte di febbre e terribili spasmi all'apparato digerente, mi sono svegliato completamente ristabilito: nessun dolore, nessuna febbre e nemmeno spossatezza... pazzesco.
Ci attendeva uno degli spostamenti più lunghi verso la zona Nord del paese: 366 Km di strada fino ad Hakusembe per un totale di circa 5 ore e mezzo di guida.
Nonostante il mio stato di salute ripristinato, la Vigi volle guidare per tutto lo spostamento e così partimmo intorno alle 8.00 del mattino dopo un'ottima colazione in riva alla pozza e dopo aver acquistato una collana per la Vigi (ringraziamento per le cure durante il mio malanno) ed una collana per la mia mamma.

Il paesaggio in direzione Nord era nettamente diverso. Ai lati della strada, una rete metallica continua separava la "zona auto" da continui assemblamenti di alberi (chiamarli boschetti non sarebbe opportuno, ma rende l'idea). Questa divisione dava l'idea di una protezione "da" e "per" gli animali selvaggi.
Man mano che procedevamo verso Nord il paesaggio era sempre meno desertico e sempre più verde.
Ogni venti chilometri circa si trovavano delle persone che lavoravano al mantenimento della strada o qualcosa di simile. Vicino alla postazione di lavoro c'erano delle tende e resti di fuochi d acampo. A quanto pare dormivano vicino al posto di lavoro.

La zona Nord della Namibia è la meno turistica di tutte, confina con l'Angola e fino a pochi anni fa c'erano contui atti di guerriglia... la situazione era diventata "più calma" solo negli ultimi cinque anni.

Al Nord scorre il fiume Okawango... e dove scorre un fiume, si sa, le persone si assemblano.
Col passare del tempo, le reti metalliche finirono e cominciammo a notare una miriade di microscopici villaggi ai lati della strada.
Più ci muovevamo a Nord e più i villaggi e la gente ai lati della strada aumentava. C'erano madri che trasportavano sulla testa oggetti con i figli piccoli appresso, sparuti gruppi di capre o mucche rachitiche, ragazzini con pezzi di legno fra le braccia, persone che chiedevano dei passaggi, altri che sempilicemente fissavano le macchine passare con lo sguardo vuoto.
Ai lati delle strade molta sporcizia: bottiglie di plastica, stracci, carcasse di auto, copertoni, mucchi di oggetti ed altre cose indefinite.
Man mano che ci avvicinavamo a Namutoni cominciarono ad apparire anche delle missioni, all'interno delle quali c'erano per lo più bambini che giocavano a pallone.

Era una Nambia totalmente diversa da quella vista fino ad ora... eravamo nell'Africa ad alta densità demografica, quella sporca, povera, per me decisamente inattrattiva.
Ero preoccupato per la nostra incolumità; temevo di dovermi fermare a cambiare una gomma o ad espletare funzioni fisiologiche... se mi fosse preso un altro attacco di diarrea non ci sarebbe stato un posto appartato dove fermarmi... ne appartato ne sicuro.

Giunti a Namutoni (piccola cittadina) dovemmo fermarci forzosamente per fare carburante ed acquistare viveri.
C'era solo un distributore alla perifiria della cittadina con vicino un negozio fatiscente poco fornito di viveri.
Facemmo rapidamente carburante, comprammo solo pane ed acqua e ripartimmo rapidi.
Tornando verso la strada principale, incontrammo delle rotaie della ferrovia che finivano in un'industria chiusa. Evitai di fare lo "Stop" segnalato a terra visto che evidentemente non sarebbe arrivato nessun treno.
Appena superato lo stop, il suono di una sirena ci mise in allarme; avevamo una pattuglia della polizia che ci intimava di fermarci.
Accostai e scesi dall'auto. Un poliziotto con due o tre o dieci denti d'oro mi sorrise e mi fece notare che non avevo fatto lo stop.
Mi scusai ed attesi le conseguenze. Il tizio disse che doveva farmi la multa. Non ero molto preoccupato (la multa non poteva esser egran che)finchè lui non comincio a dire che avremmo dovuto seguirlo in centrale per sbrigare le pratiche.
A questo punto cominciai a perdere mentalmente colpi.
Lui mi parlava ed io non sentivo, mi passavano in testa immagini di noi bloccati alla stazione di polizia, di noi che non riuscivamo a raggiungere il lodge prima di notte, di noi rapinati od anche peggio in qualche angolo della città... i miei sensi ed il mio istinto da praticante di kung-fu cominciarono ad allertarsi.
Cominciai a guardarmi intorno rendendomi conto che non c'erano testimoni, la pistola era nel fodero chiuso da un bottone, avrei potuto colpirlo con un calcio frustato allo sterno e poi, quando si fosse piegato per la mancanza di fiato e per il dolore, avrei potuto colpirlo con un calcio ad ascia sulla testa stendendolo; poi con un coltello avrei tagliato le gomme dell'auto e mi sarei allontanato a tutta velocità.
Mentre la mia mente deviava in maniera patologica in preda alla paura, la Vigi prese la situazione in mano.
La mia astuta morosa aveva notato innanzitutto che il poliziotto non stava scrivendo nulla sul taccuino e poi aveva colto le sue frasi del tipo "Mi spiace darvi disturbo, pensate che ci rimettiamo tutti, mica ci guadagno a farvi perdere tempo"... fattostà che cominciò una illegalissima trattativa per corrompere il poliziotto.
Alla fine lui ci disse di mettergli in mano di nascosto una cifra che ritenavamo opportuna.
Noi gli mettemmo in mano l'equivalente di 50 euro in valuta locale.
Lui ci disse di seguirlo con la nostra macchina.
Mentre seguivamo la macchina della polizia, ci chiedevamo se i soldi erano abbastanza o se ci avrebbe portati in un luogo ancora più isolato per derubarci.
Attraversammo tutta la cittadina a velocità lentissima e quando le case furono finite, accostò la macchina e noi accostammo dietro di lui.
Il poliziotto scese dall'auto di servizio sorridente con i suoi denti mezzi dorati, ci strinse la mano e ci disse di continuare dritto fino ad incrociare la strada principale, in quel modo avremmo risparmiato tempo.
A quando pare la cifra era stata più che adeguata visto che ci aveva perfino scortati.

Dopo questa avventura eravamo tesissimi. Adesso che è passata, la raccontiamo con divertimento e quasi con orgoglio, ma sul momento era stata una situazione piuttosto stressante.

Dopo un'ora di viaggio, arrivammo alla famosa "Red Line", la linea dopo la quale si trovano le tipiche malattie del bestiame come l'afta epizoica, la linea dopo la quale inizia il terzo mondo, quello vero, con tutti gli annessi e connessi.
In lontananza un immenso incendio rendeva il cielo cupo mentre noi consegnavamo i documenti al posto di blocco preoccupati di dover corrompere altri ufficiali.

Arrivammo all'Hakusembe River Lodge intorno alle 15.00.
Il lodge era deserto ed era il primo lodge gestito da un uomo di colore in cui ci fermavamo.
Il gestore era estremamente gentile e ci fece perfino scegliere la capanna che desideravamo. Ne scegliemmo una in riva al fiume Okawango. Dall'altra parte del fiume c'era l'Angola.

Io mi feci un breve pisolino poichè la stanchezza del viaggio si era sommata ai malori del giorno precedente. Dopo un'oretta me ne usci sulla veranda della nostra capanna dove già la Vigi stava seduta a leggere.
Le spettacolo era notevole: di fronte a noi l'immenso fiume Okawango, la riva a pochi metri, col suo scorrere placido e regolare.
L'aria era satura del vociare di mille specie di uccelli mentre in lontananza ogni tanto si sentiva il rumore degli ippopotami.
Nel lodge in quel momento c'eravamo solo noi; viaggiare fuori dai normali flussi turistici è fantastico.
Abbiamo passeggiato sulla riva, spesso osservando gli Angolani sul lato opposto del fiume che lavavano i panni, facevano il bagno ed in generale vivevano il loro quotidiano.
L'unica attività prevista era il giro in barca alla sera, quindi ci sedemmo sul pontile a leggere in attesa dell'evento... il mio libro sul blues, letto in riva ad un'immenso fiume simile al Missisipi e narrante le origini del blues proprio in quelle zone dell'Africa, aveva ora un sapore più intenso.

Alle 17.00 salimmo sulla chiatta per il giro programmato.
Avvistammo decine di uccelli di piumaggi più svariati (frai quali le famose cicogne nere che sembravano uscite da un film di Tim Burton), qualche coccodrillo ed un gruppo di ippopotami.
I coccodrilli li avevo già visti in vari zoo, ma vederli dal vivo è ovviamente differente: rimangono immobili, come negli zoo, sono enormi ma non incutono timore poichè sono talmente fermi da sembrare dei soprammobili. Poi improvvisamente scattano e fulmineamente spariscono in acqua ed allora acquistano il loro terribile fascino... peccato non riuscire a seguire i loro movimenti in acqua.
Gli ippopotami sono affascianti da vedere nel loro muoversi dalla terra all'acqua, dal loro stare a mollo con solo gli occhi fuori a tenere sotto controllo la barca. Va detto però che ci si stufa presto di guardarli, forse perchè sono semplici da avvistare bisogna e poerchè stare sempre a distanza onde non essere attaccati (gli ippopotami sono la prima causa di morte in Namibia, superiori in classifica alla zanzara della malaria).
E giunse infine il tramonto.

Il tramonto sul fiume è diverso da quello nel deserto o nella savana... c'è una sensazione di contrasto molto grande fra il pacifico movimento del sole che sembra inabissarsi nell'acqua e l'attività canterina frenentica degli uccelli e degli ippopotami.
Nonostante questo contrasto, anche in questo caso esiste un'armonia in tutto questo; come se un sapiente direttore d'orchestra gestisse gli impulsi sensoriali che raggiungono l'osservatore in modo da creare comunque la sensazione di pace ed armonia totale che abbiamo percepito in tutti gli altri luoghi della Namibia.
Osservammo il sole tramontare nel centro del fiume, sulla chiatta, semisdraiati sulle sedie presenti e sorseggiando Gin-Tonic.
Personalmente ho amato maggiormente le sensazioni che mi hanno dato il deserto e la savana, con le loro solitudini, i loro silenzi, i loro sospiri... Però posso descrivere l'esperienza del tramonto sul fiume solamente col termine "unica".
Il sole si immerge rapido nell'acqua colorando non solo il cielo, ma anche l'acqua e tutto quello che le sta attorno di colori indefiniti.

C'è un momento, poco prima che il sole sparisca del tutto, in cui tutto si ferma: gli uccelli smettono di rumoreggiare e si fermano sui rami degli alberi e si ha la sensazione che uccelli, ippopotami, coccodrilli e qualunque altro essere vivente, si fermi e si volti in direzione del sole come a porgere omaggio e ringraziare per il calore che ha erogato durante il giorno.
E' un momento incredibile e magico che poche persone riescono a godersi, perchè in genere si è in tanti sulle barche e gli ominidi sono rumorosi e fastidiosi... noi siamo stati fortunati: a questa escursione partecipavamo solo io, la Vigi ed il conducente della chiatta.
Siamo rimasti in silenzio ed abbiamo atteso quell'attimo, quel piccolo lasso di tempo che non dura più di 3-5 secondi in cui tutto tace, tutto si ferma e si reca omaggio al sole... magia dell'Africa.

La sera per cena, è arrivato un gruppo foltissimo di bird-watcher che hanno cominciato a muoversi ed appostarsi ovunque con la loro attrezzatura. La sera, durante la teoricamente romantica e serena cena a lume di candela, illuminavano i loro quaderni con delle lampade da speleologo (quelle che si mettono in testa) segnando, sotto dettatura della guida, i loro avvistamenti del giorno.
Io e la Vigi abbiamo fatto buon viso a cattivo gioco ed anche se ci hanno rovinato l'atmosfera, ci siamo divertiti un mondo a prenderli per il culo.

La sera siamo andati a letto un po' più tardi del solito, accompagnati dai rumori degli ippopotami.

Nota divertente più o meno: il gestore autoctono del lodge era gasatissimo dal fatto che fossimo italiani e continuava a ripetere con fierezza "Totti! Totti! Totti!" e poi ogni tanto si metteva a ridere e diceva "Berlusconi"... preferivo quando associavano l'Italia alla pizza, gli spaghetti ed alla mafia.

venerdì 16 marzo 2012

Gudu's Namibian experience - Parte nona

Il 3 settembre 2011, poco dopo l'alba eravamo già all'ingresso del parco Etosha.
Ci stupì il fatto che subito dopo i cancelli, iniziana un tratto di strada asfaltato che si concludeva qualche chilometro dopo nell'avamposto di Akaukuejo.
Strerrato - 10 Km di asfalto - sterrato... stranissimo.
Appena entrati nel parco, ancora sul tratto asfaltato, incontriamo subito un branco di zebre che attraversava la strada con tranquillità. Erano le mie prime zebre... in effetti ne avevo giù gustato la carne un paio di giorni prima... diciamo che erano le prime zebre vive ed allo stato brado che vedevo.
Dopo almeno 50 zebre e 30 foto della Vigi, potemmo ripartire, per poi fermarci un chilometro dopo per ammirare un albero colonizzato dagli avvoltoi; i miei primi avvoltoi.
Delle zebre mi colpì la loro aria un po' ebete (ecco cosa aveva ispirato la faccia da pirla della zebra del cartone disney Madagascar), mentre degli avvoltoi mi colpì il becco... non so perchè.
La giornata iniziava bene: tanti animali facilmente visibili.
Arrivati ad Akaukuejo, ci fermammo per acquistare una pianta del parco, dell'acqua e dare un'occhiata all'oggettistica per i turisti in quanto era ora di cominciare a pensare a chi era rimasto in Italia.
Dopo lo stop, decidemmo di dedicare la mattinata a visitare la zona Est del parco per poi andare ad Ovest nel pomeriggio, in direzione del Lodge prenotato per notte che era dal lato opposto del parco appena dopo i cancelli di uscita.
Non c'era molta gente sulle strade (che erano ritornate sterrate); c'era una bella atmosfera selvaggia ed io ero ansioso di incontrare nuovi animali.
La zona ad Est era molto arida e pianeggiante, una sorta di pre-antipasto del deserto del Namib. Guidavamo piano alzando poca polvere e fermandoci spesso ad osservare Sprinbok che combattevano, qualche raro Orice e molti volatili fra cui dei bellissimi falchi.
Arrivati alla prima pozza, trovammo solamente qualche erbivoro e così decidemmo di spingerci ancora più ad Est, dove era segnalata una zona ricca di alberi, in cerca di elefanti, giraffe e, perchè no, qualche felino.
Tutte le nostre ricerche furono vane. Analizzammo ogni albero in cerca di leopardi appollaiati sui rami, scrutammo in ogni agglomerato erboso in cerca di ghepardi o leoni e consumammo il binocolo in cerca di rinoceronti od elefanti.
Col passare del tempo la temperatura si era alzata di molto ed il sole era impietoso; cominciammo a vedere erbivori fermi immobili cercando di cogliere l'ombra di magre acace ed i volatili sparirono del tutto.
Essendo io amante delle atmosfere desolate, mi guardavo intorno godendomi i giochi di ombre e colori che l'altipiano ci regalava, ma ammetto che il mio desiderio più grande era quello di vedere degli animali.
Verso l'ora di pranzo tornammo ad Akaukejo per pranzare presso l'unico self-service presente. C'era poca gente e la scelta era minima, ma non eravamo andati in Africa per mangiare e poi la carne era sempre presente e quindi non si moriva di fame.
Durante il pranzo cominciai a sentire strani movimenti intestinali. Poco dopo i movimenti diventarono spasmi e poco dopo ancora ero chiuso nel bagno pubblico dell'avamposto a perdere preziosi liquidi.
Prima di partire il mio grande amico Cristian (fisarmonicista della formazione acustica Bi-Folk nella quale suono, www.bifolk.altervista.org) mi disse: "Quando prendi un virus intestinale tropicale, pisci dal culo".
Devo dire che la descrizione era semplice, ma esauriente: pisciavo letteralmente dal culo, non avevo mai provato una cosa simile. Nei bagni vicino a me, altri fortunati portatori di virus emettevano rumori ed odori... alcuni anche grugniti... era un bel concerto... se quei bagni potessero parlare, probabilmente chiederebbero di essere abbattuti.
Una cosa ci tengo a specificare: ero sul fondo dell'Africa, in un'avamposto di un parco ed i bagni erano pulitissimi e perfettamente areati. Forse nei periodi di maggiore flusso turistico sarebbero stati sovraffollati, sporchi e puzzolenti, ma in quel momento erano ben ventilati, puliti e senza code all'ingresso (per fortuna).
Dovemmo fermarci per due ore all'avamposto. Fortunatamente c'era una pozza frenquentata da vari animali e così potemmo gustarci vari erbivori e degli elefanti che si facevano il bagno.
Ogni venti munuti dovevo correre in bagno e fermarmici un po' di tempo. Ad una delle mie "gite-WC", uscendo dai bagni, vidi un pullman fermarsi ed una signora scendere e correre verso i bagni tenendosi una mano sul culo... l'incubo di ogni persona con la dissenteria "dover cagare ed essere in un parco con animali feroci dove non si può scendere se non nelle aree preposte".
Ci volle un po' di tempo e tanti "Imodium" per bloccare il flusso di acqua dal mio culo, ma quando le mie gite al bagno diventarono più rare, ripartimmo... anche perchè entro sera dovevamo arrivare dall'altra parte del parco e c'erano 100 Km di strada sterrata d apercorrere.
Appena usciti da Akaukuejo facemmo subito un incontro non così usuale: un immenso lucertolone che ci attraversò la strada senza degnarci di uno sguardo.
Questo ci mise di buon umore, io ero distrutto dalla perdita di liquidi e dalle due ore di spasmi... ciò nonostante mi godevo l'avventura.
Arrivati alla pozza in direzione di Namutoni vidi il mio primo leone. Era un esemplare giovane e se ne stava sdraiato all'ombra di un acacia. Riuscimmo ad avvicinare la nostra auto fino a pochi metri dall'albero e lo osservammo e fotografammo a lungo... fu una bella emozione.
Alla seconda pozza ebbi l'occasione di vedere un gruppo di giraffe abbeverarsi.
Le giraffe sono estremamente vulnerabili quando bevono e così c'è sempre un esemplare che scruta l'orizzonte dall'alto, pronta a dare l'allarme in caso di avvistamento di felini mentre gli altri esemplari bevono. Anche gli altri erbivori, approfittano di questa sentinella e così in egenre si raduna un grande numero adi animali ttorno alle giraffe che si dissetano.
Grazie a questo fattore (il "Giraff factor"), ebbi l'occasione di vedere i miei primi facoceri.
Dopo la seconda pozza ebbi la necessità di svuotare nuovamente l'intestino e dovetti accontentarmi di usare i bagni delle zone di sosta disseminate sul tracciato a circa 30 Km una dall'altra.
Lo stato di questi bagni è indescrivibile. Innanzitutto non sono in zone protette e recintate come descritto nei depliant, ma in zone di facile accesso per qualsiasi animale... giusto per capire cosa prova uno gnu quando caga.
Sono un semplice buco nel terreno con una casupola intorno. Prima di me erano passate molte altre persone... c'era merda dappertutto: sul water, per terra, sui muri... non sapevo se vomitare o cagare. Espletai rapidamente i miei bisogni e poi tornai in auto.
L'ora si faceva tarda e rischiavamo di rimanere chiusi nel parco, così tirammo dritto in direzione di Namutoni, senza fare più fermate alle pozze.
Io mi sentivo sempre più debole, ma mi godevo quegli stupendi paesaggi.
L'Etosha pan (vedere wikipedia se non sapete cos'è) era pieno d'acqua ed era uno spettacolo bellissimo: una distesa azzurra e placida circondata da alberi (i primi verdeggianti che vedevo) e ricca di animali lungo i suoi margini.
Il tempo passava e c'era l'effettivo rischio di rimanere chiusi nel parco.
Virginia guidava veloce, ma dovevamo spesso fermarci per l'attraversamento di Zebre, Giraffe, Dik-dik, Springbok, Orici, Scoiattoli, Rettili vari ed una marea di Elefanti che sembrava aspettasero noi per attraversare la strada.
In pratica tutti gli animali che non erevamo riusciti a vedere la mattina, ci attraversavano la strada in massa per raggiungere il pan.
La sera è l'ora migliore per vedere gli animali e noi non potemmo goderceli, anzi, diventarono un impiccio.
Riuscimmo a raggiungere i cancelli dieci minuti prima della chiusura.
Un'ora dopo arrivammo al lodge.
L' "Onguma Bush Camp" era un bellissimo complesso di capanne attorno ad una pozza, ogni capanna era pulita, spaziosa e dotata di confort; il ristorante era a palafitta direttamente sulla pozza ed il profumo preannunciama ottimo cibo.
Arrivato in camera mi lasciai cadere sul letto e dopo aver estratto il termometro dalla mia ascella scoprii di avere la febbre a 40. Lasciai a Virginia il piacere della cena "vista pozza" e mi limitati a farmi portare un the in camera.
Dopo il the e le medicine cercai di prendere sonno, ma tutto il mio apparato digestivo si contorceva in modo nettamente doloroso... alla fine riuscii ad addormentarmi e dormii così duro da non sentire le guide che in piena notte ci avvertivano della presenza di predatori alla pozza... era la seconda comparsata di predatori che mi perdevo... sigh.

venerdì 9 marzo 2012

Gudu's Namibian experience - Parte ottava

La mattina del 2 settembre 2011 ci siamo svegliati spontaneamente prima della sveglia a causa del rumoreggiare degli uccelli... un modo bellissimo per svegliarsi.
Solita colazione continentale per la Vigi ed all'italiana per me e poi subito sul fuoristrada.
Mentre caricavo i bagagli sul fuoristrada mi si avvicinò un ragazzotto allampanato e mi chiese in che direzione eravamo diretti. Dopo aver scoperto che eravamo diretti a Khorixas, mi chiese un passaggio.
A questo punte urge fare una premessa: in Namibia è consuetudine, per chi non possiede un'auto o non ha voglia di usarla, posizionarsi sul ciglio della strada ed attendere che qualcuno si fermi.
Gli abitanti del luogo non necessitano nemmeno di un cenno; se vedono qualcuno sul ciglio, si fermano e lo caricano. Un pick-up (mezzo più utilizzato in namibia, soprattutto quelli ricavati da modelli non fuoristrada) è da considerarsi pieno quando non c'è nemmeno più spazio per un bambino in braccio ad un adulto.
In Namibia non esistono i rapinatori od i maniaci da autostop. In Namibia, se necessiti di un passaggio, il primo che passa si ferma e ti carica... se buchi una gomma, il primo che passa si ferma ad aiutarti... questo vale sia per i bianchi che per i neri. L'integrazione in namibia è pressochè perfetta anche se esiste ancora un certo divario di ricchezza fra bianchi e neri.
Nulla di strano e di preoccupante quindi nella richiesta del giovane namibiano.
Nonostante questo, fin dal primo chilometro mi sentii agitato e quasi in pericolo.
Il Namibiano era molto gentile e ci indicava le strade ad ogni incrocio e per il resto del tempo ascoltava musica afro-tecno col suo telefono cellulare.
Io ero tesissimo... 97 Km di sterrato equivalenti ad un'ora e mezza passati in stato di ansia ed angoscia.
Arrivati a Khorixas, ci siamo fermato alla stazione di servizio per fare rifornimento; il ragazzo è sceso, ci ha ringraziati, ci ha benedetti come tradizione e se ne è andato per la sua strada.
Dapprima mi son vergognato di me stesso, poi mi sono ricordato che a Torino anche dare un passaggio ad una bambina dell'asilo poteva significare essere rapinati o cose anche peggiori.
A questo punto la vergogna ha ceduto il posto alla tristezza. Il pensiero che l'umanità si stava riducendo così, mi mise addosso una tristezza incredibile.
A Torino potevi morire per strada senza che nessuno si fermasse per aiutarti, potevano ucciderti, rapinarti, stuprarti in mezzo alla gente senza che nessuno muovesse un dito.
I torinesi... ggggente dabbbbbene... con i loro cioccolatini e la crema alcolica al cioccolato... terrorizzati ed incapaci di un atto di umanità.
Non era l'umanità a cui volevo appartenere.
Io volevo appartenere all'umanità che non ha mai abbastanza fretta da evitare di dedicare un'ora per aiutare l'autista di un'auto in panne, l'umanità che risponde quando la si chiama per strada, l'umanità che non vive nell'indifferenza.
Dopo questa breve parentesi abbiamo continuato il nostro viaggio in direzione del parco Etosha.
Arrivammo all'Eagle Tented camp poco dopo l'ora di pranzo.
Il campo tendato era ultra lussuoso con tanto di spa, zona relax, coktail bar, ristorante di alta cucina e perfino vasca in stile coloniale sulla veranda per farsi il bagno immersi nella natura.
Eravamo fuori dai soliti cicli turistici ed in tutta la struttura c'eravamo solo noi ed un'altra coppia di tedeschi.
Subito ci siamo fatti un Gin Tonic nell'area relax e poi siamo riusciti a recuperare due panini di carne indefinita dalla cucina del ristorante.
Il pomeriggio è stato noiosetto. Dovevamo attendere le 16.00 per il game drive nella riserva privata del campo e non c'erano altre cose da fare.
Io cominciai ad osservare le colline attorno a noi con il binocolo, poi i molteplici uccelli sugli alberi attorno al nostro tendato e poi decisi di leggere qualche passo del mio libro sul blues.
La Virgi "schiumava": donna ipertattiva bloccata in un tendato con un uomo che legge tranquillo. Fortunamente è arrivata in fretta (per me) l'ora del game drive.
La riserva era famosa poichè ospitava una importante colonia di rinoceronti.
Girammo per tutta la riserva fino a buio calato sperando di avvistare qualche "rhino", ma non ci fu nulla da fare; molti erbivosi, ma nessun altro animale.
A salvare la serata il tipico aperitivo africano.
Al ritorno dal game drive, io e la Vigi ci tuffammo sul letto giocosi facendoci il solletico e poi restammo abbracciati a lungo... mi stavo godendo l'atmosfera pacata quando, alzando gli occhi lo vidi.
Fermo sul lato interno della zanzariera, grosso, colorato, minaccioso... un ragno di cinematografica memoria.
Sollevai Virgi di peso e saltai fuori dal letto posandola su di una sedia e poi mi avvicinai per osservare meglio. Era uno di quei ragnacci che si vedono nei film tipo "Indiana Jhones"; non pensavo che fossero presenti anche nelle zone desertiche.
Ero molto intimorito, ma dovevo fare qualcosa.
Ogni tanto, quando si guarda un film horror, ci si chiede come mai i protagonisti siano così idioti da agevolare costantemente la morte nel suo sporco mestiere.
Se qualcuno avesse visto me, si sarebbe fatto la stessa domanda.
Armato di una rivista, andai all'attacco dell'aracnide.
Che uomo coraggioso! No! Che uomo pirla!
Innanzitutto il ragno era sulla zanzariera, quindi su di una superfice mobile e non rigida... poi era in una posizione sopraelevata rispetto a me... e poi aveva 8 occhi che gli permettevano di vedere in tutte le direzioni.
Mi lanciai sul nemico. Lui schivò il colpo e sfruttò l'elasticità della zanzariera per spiccare un salto sulla mia gamba e poi dalla mia gamba al letto; poi si infilò nel solco fra i due materassi.
Emisi un orlo femmineo e poi cominciai a strepitare "Ce l'ho sulla gamba! Ce l'ho sulla gambaaaaaaaaa"... dopo qualche secondo di follia, non sentendo il dolore del morso, mi ripresi acquisendo dalla Virgi (che aveva uno sguardo descrivibile solo così: " -___- ") la notizia del nuovo nascondiglio del ragno.
Oramai ero fuori di testa. Non ero mai stato aracnofobico, non ho mai amato i ragni, ma non sono mai stato nemmeno un amante degli insetti... e quello era un insetto maledettamente grosso, colorato e minaccioso.
Mi posizionai immobile su di una sedia e non mi mossi più.
Andando a cena, la Vigi (facendo finta di essere lei terrorizzata) chiese al gestore del campo di rimuovere lo sgradito ospite... insistendo quando il tizio le assicurò che non c'erano ragni velenosi in zona.
La cena era di alta qualità: non c'era il solito buffet che tanto amavo, ma una scelta di solo due portate per ogni tipologia di piatto... tutti piatti ricercati.
Non ricordo nulla della cena perchè ero ancora fuori di testa per il ragnazzo.
Al rientro nel tendato, non vedemmo più il ragno colorato, ma parecchi altri grossi ragni neri su tutte le pareti... fottuti campi tendati!
La notte passò praticamente in bianco. Ci perdemmo pure l'inseguimento dei felini in mezzo ai tendati per paura di uscire dalla "zona zanzariera".
Ora ricordo quasi con divertimento questa disavventura, ma quella notte fu veramente tragica.
La mattina seguente, prima che si levasse il sole, eravamo pronti alla partenza.

lunedì 5 marzo 2012

Gudu's Namibian experience - Parte settima

La sveglia dell'ottavo giorno (1 settembre 2011) è suonata poco dopo all'alba.
Poco dopo le sei del mattino gli uccelli già rumoreggiavano nei cespugli secchi e coloratissime lucertole si godevano il sole immobili sulle pietre.
L'aria era tiepida e dal loggiato su cui facevamo colazione la vista era spettacolare.
La Vigi era dedita ad una colazione continentale: uova, salsiccia e spremuta d'arancia; a quell'ora il solo sentirne l'odore mi dava la nausea e mi attenni alla mia classica colazione con te, croissant, marmellata e frutta.
Durante la colazione abbiamo incontrato "il nostro amico" e la sua guida. Parlando, abbiamo scoperto che avevamo lo stesso programma per la mattinata ovvero la visita alla foresta pietrificata.
La guida ci ha spiegato che ci sono molte foreste pietrificate, ma solo una è quella vera ed ufficiale e ci ha consigliato di seguire la sua auto.
Dopo mezz'ora eravamo sulla strada cercando di stare dietro alla guida che, da vera esperta, guidava a velocità per noi folli sulle strade sterrate e dissestate del Damaraland.
La prima cosa che ho notato del Damaraland è stata la notevole diminuzione di animali selvatici in contrapposizione all'aumento dell'attività umana.
Dopo circa 40 minuti di inseguimento, siamo finalmente arrivati alla vera foresta pietrificata. In effetti è stat auna fortuna poter seguire la guida, altrimenti ci saremmo persi in mezzo ai mille cartelli di "Petrified forest".
Abbiamo deciso di fare gruppo insieme ed avvalerci dei servizi di una guida locale ed abbiamo visitato la foresta. Trattasi di tronchi fossilizzati e diventati pietra; interessanti da vedere, ma niente di più.
Dopo la visita, abbiamo salutato i nostri compagni di viaggio temporanei, che si sarebbero mossi in direzione della capitale, ed abbiamo diretto le ruote del nostro Toyota verso le montagne bruciate.
Le montagne bruciate erano colline completamente annerite... non si sa da cosa.
Dopo le montagne bruciate abbiamo visitato le "organ pipes" canne di basalto di origine naturale dalla forma incredibilmente simile a canne di organo.
Dopo le Organ pipes, girando praticamente a caso, siamo arrivati nella zona delle pitture rupestri e, guidati da un'ennesima guida, abbiamo visitato anche quelle.
La zona del Damaraland non ha in verità grandi attrattive se non il Damaraland stesso. Il fascino selvaggio di questa regione meritava davvero la pena di essere ammirato. Gli alberi secchi, l'erba ingiallita, le strade polverose, i letti dei fiumi secchi donavano a questa zona un fascino ancestrale nel quale si inserivano alla perfezione gli ambiti rurali delle popolazioni autoctone.
Siamo tornati al lodge per pranzo poichè alle 15.00 avremmo partecipato ad una delle famose spedizioni alla ricerca degli elefanti della sabbia... motivo per il quale ci eravamo fermati così a lungo nel Damaraland.
Bisogna dire che io e la Vigi siamo molto più interessati al fattore naturalistico nei nostri viaggi e molto meno a quello umano... in questo viaggio abbiamo visitato quasi tutta la Namibia, ma abbiamo tralasciato tutte le visite ai villaggi ed alle "cose umanistiche" cercando invece di godere di ogni possibile esperienza inerente animali e natura.
Alle 15.00 eravamo pronti alla spedizione, eccitati come ad ogni spedizione e con macchina fotografica, videocamera e binocolo pronti.
La nostra guida era un bianco fra i 63 ed i 67 anni, sguardo fiero, capelli e lunga barba bianca e cappello da esploratore.
Ci ha subito anticipato che non c'era certezza di trovare gli elefanti della sabbia, ma che c'erano buone probabilità di avvistarli poichè si muovevano poco a causa di un cucciolo nato da poco.
Il tizio, che io e la Vigi abbiamo classificato subito come un "Duro e puro", ci ha fatti salire su di un camion in stile militare e poi è partito a tutta velocità.
Dopo qualche chilometro ha lasciato la strada principale per seguire dei sentieri stretti ed impervi.
Mentre guidava su sentieri che spesso rischiavano di far ribaltare il camion (con nostro grande spavento e divertimento), il duro e puro chiacchierava e rideva amabilmente raccontando aneddoti sul luogo e sugli elefanti della sabbia. L'amore per la Namibia trapelava da ogni sua parola e dal piacere dei suoi occhi nel godere quel paesaggio che ben conosceva... un duro e puro.
Dopo aver incontrato un locale che aveva avvistato gli elefanti, abbiamo deviato su sentieri ancora più impervi.
Io e la Vigi ci divertivamo come pazzi; accanto a noi un inglese rideva ad ogni "quasi ribalamento" e ci ripeteva in inglese "E' la seconda volta che partecipo, avete capito perchè? E' divertentissimo!". Le altre persone sul camion erano nettamente più preoccupate, ma al ritorno avrebbero raccontato con orgoglio di quella spedizione.
Una cosa che ho notato durante il viaggio e che eravamo praticamente gli unici turisti sotto i 35 anni presenti in tutta la Namibia... noi e la coppia giapponese che avevamo incontrato a a Sandwitch harbour... penso fosse dovuto al costo del viaggio... io e la Vigi abbiamo fatto grandi sacrifici per poterci permettere quell'avventura... ma ne è valsa la pena... i migliori soldi mai spesi insieme all'acquisto della mia testata Mesa Boogie, la mia chitarra elettrica JEM, la mia chitarra acustica Taylor e la mia moto.
Dopo circa mezz'ora arrivammo ad un piccolo e poverissimo villaggio composto da circa cinque edifici (di cui uno crollato) ed una cisterna d'acqua... cisterna che il gruppo di elefanti stava sfruttando per dissetarsi.
Il duro e puro e sceso dal camion ed ha portato ai poverissimi abitanti del villaggio uno scatolone di provviste... un gesto così "umano" da emozionarmi... un bianco che scende da un camion militare e porta del cibo a dei namibiani poverissimi senza chiedergli nulla in cambio e senza chiedergli di cambiare le loro abitudini o le loro credenze... questa è la vera umanità... le braccia che aiutano, sono più utili delle bocche che pregano diceva qualcuno.
Dopo la sosta ci siamo appostati ad una ventina di metri dagli elefanti che si abbeveravano. Il silenzio dell'Africa, quell'atmosfera surreale in cui si poteva sentire a venti metri il rumore degli elefanti che masticano.
Osservavo gli elefanti col binocolo per godere di ogni sfaccettatura.
Degli elefanti mi ha colpito la tranquillità del movimento e gli occhi, quegli occhi pacifici e sereni... quasi ieratici... si ieratici è la parola giusta... mi ricordavano gli occhi delle statue greche.
Gli elefanti, forse antichi dei incarnotisi nei corpi di giganteschi animali.
Dopo qualche minuto gli elefanti se ne sono andati e siamo potuti scendere dal camion per una sosta "bibita/pipì".
Dopo la sosta abbiamo nuovamente raggiunto i nostri amici pachidermi per osservare il loro lento incedere e nutrirsi. Un'infinita pace e calma nei loro movimenti: qualche passo, l'ammirazione (così mi è sembrato) per quello che avevano intorno e poi l'afferrare un ramo per nutrirsi.
Ci siamo avvicinati tantissimo, eravamo proprio vicini, non saprei dire quanto vicini, ma così vicini da sentirli non solo masticare, ma anche respirare.
Eravamo in quel luogo surreale quasi in mezzo agli elefanti, tutti in silenzio... venti essere umani in silenzio: miracolo uno... venti esseri umani in pace: miracolo due... venti essere umani in ammirazione della natura: miracolo tre.
Virginia scattava foto su foto affascinata dalla situazione, io osservavo il branco tentando di coglierne il comportamento: cercavo di capire chi era la sentinella, chi sceglieva il percorso e poi osservavo come il cucciolo era sempre tenuto nel mezzo fra due adulti; totalmente protetto.
Dopo una ventina di minuti il vento probabilmente è cambiato ed un esemplare enorme ha cominciato a muoversi rapido verso di noi agitando le orecchie... ecco qual'era la sentinella.
Il duro è puro ha acceso rapido il camion ed è fuggito attraverso il letto di un fiume in secca poichè l'elefante sentinella ci impediva di tornare sui nostri passi.
Fuggire da un elefante ha dato non poche emozioni a tutti, come anche i vari tentativi di tornare sul sentiero principale.
Al ritorno ci siamo fermati sulla punta di una montagna bruciata.
Era il tramonto, un bellissimo tramonto africano e la nostra guida ha tirato fuori un vino Namibiano prodotto in zona per un aperitivo campestre.

Un altro aperitivo al tramonto... non mi stufavo mai dei tramonti e nemmeno degli aperitivi. Ogni tramonto era diverso dall'altro e di una bellezza troppo bella per essere descritta con le parole. Potrei arrivare a dire che un solo tramonto Namibiano valga il viaggio.

Siamo rientrati al lodge che era già buoio... doccia, riposino e poi a cena.
La cena è stata pantagruelica come la sera prima ed allietata anche questa volta dai canti.
La sera a letto presto... forse ubriaco o forse no... non ricordo... di sicuro ero felice.

giovedì 1 marzo 2012

Gudu's Namibian experience - Parte sesta

Il settimo giorno ci siamo svegliati intorno alle 7.00, abbiamo fatto una placida colazione e poi, dopo saluti commoventi e molti ringraziamenti alla "Serenissima", ci siamo diretti alla "Orange Outback": agenzia che organizzava spedizioni nel deserto con i quad.
L'idea originale era quella di partecipare ad una spedizione nel deserto e poi fare "Sand surfing" ovvero surf sulle dune. Purtroppo ci mancava il tempo e così decidemmo per una spedizione in quad.
Appena entrati nella reception dell'agenzia vedemmo decide di foto di Brand Pitt ed Angelina Jolie che spesso si erano serviti della suddetta agenzia per le loro gite nel deserto.
Eravamo riusciti a prenotare una spedizione di primissima mattina, fuori dagli orari standard, grazie all'intercessione della prorietaria del B&B la sirenetta (La serenissima); nell'agenzia c'eravamo solo noi.
Dopo aver firmato tutta una serie di documenti che dereponsabilizzavano l'agenzia, la nostra guida ci ha prelevati e ci ha portati all'esterno per il breathing inerente la guida dei quad.
Ero molto emozionato, uno dei miei più grandi sogni era sempre stato quello di guidare un quad nel mezzo del deserto; anche la Vigi era molto eccitata, nonostante avesse già fatto un'esperienza simile in altri viaggi.
Era una mattinata splendida, il cielo era terso ed il deserto era di fronte a noi in tutta la sua immensità.
Per i primi 10 minuti, il capo-spedizione ha avuto una guida tranquilla, poi si è fermato e ci ha spiegato che per superare le dune più alte bisognava in pratica lanciarsi su di esse a massima velocità senza esitazioni... un rallentamento nei pressi della cima per paura del salto avrebbe avuto come conseguenza il rimanere bloccati nella sabbia e probabilmente ribaltarsi all'indietro.
Preoccupato per la Vigi, la feci passare in seconda posizione in modo che se fosse caduta o ribaltata io avrei potuto soccorrerla.
Vigi, nonostante fosse una donna, si era sempre dimostrata un'ottima guidatrice, sia in città che nel deserto con la 4x4, ma io ero protettivo.
Dopo la spiegazione, la guida si è lanciata a tutta velocità sulla prima duna.
Vigi attese qualche secondo per avere la giusta distanza di sicurezza e poi senza indugio, diede fondo all'acceleratore lanciandosi anche lei in direzione della duna.
Dopo aver atteso anche io i canonici secondi ho dato gas e mi sono lanciato in direzione della duna.
Mentre mia vvicinavo, vidi Vigi superare indenne la cresta della duna e sparire dalla parte opposta.
La cosa paurosa nello sdunare e che non si sa cosa c'è al di là della cresta, può esserci un altopiano, uppure una discesa scoscesissima... nel momento esatto in cui si raggiunge la sommità, sarà necessario reagire rapidamente ed adeguatamente allo scenario che si incontrarà.
Ovviamente la guida non avrebbe iniziato con una duna difficile, la guida conosceva il deserto come le sue dita, la guida ci avrebbe fatto avanzare per gradi fino alle dune più difficili... però in fondo eravamo in Africa, dove si fa meno attenzione all'anti-infortunistica... e stavamo guidando dei quad nel deserto con espressa richiesta di avere una spedizione avventurosa, attività richiesta da pochi e che ha implicita nel suo essere un amore per il pericolo.
In preda a questi pensieri, diminuii leggermente la pressione sull'acceleratore... solo per qualche secondo... ma fu quasi sufficiente a farmi rimanere bloccato.
La guida aveva scelto una duna scoscesissima in modo che il quad arrivasse in punta a velocità ridotta e non facesse il salto... un modo intelligente per capire se eravamo in grado di effettuare manovre più estreme e per farci capire il comportamento della sabbia sotto le ruote dei quad.
Riuscii per un pelo a superare la duna... ma proprio per un pelo.
La guida e Vigi erano già lontani e stavano facendo delle curve a parabolica su altissime e scoscesissime dune.
Mi lanciai al loro inseguimento un po' umiliato per essermi quasi piantato nella sabbia ed un po' impaurito di essere stato lasciato indietro.
Quando arrivai sulla prima parabolica, capii che queste curvone sembravano semplici da affrontare a guardare gli altri, ma non lo erano. Rischiai di ribaltarmi nelle prime tre curve e fui costretto di nuovo a rallentare; intanto il casco di Vigi spariva dientro l'ennesima duna ed a me non restava che seguire le tracce lasciate dal suo quad.
Dopo un paio di affannose dune, trovai i miei compagni di spedizione quasi fermi per aspettarmi; feci segno alla guida che era tutto ok e mi misi in coda.
Col tempo mi abituai alla guida e lasciai da parte le tensioni divertendomi come un pazzo.
Guidare il quad nel deserto è stato davvero emozionante, la tensione nell'affrontare le manovre, ma anche la sensazione del deserto che ti avvolge e del tuo guidare che sparisce nell'immensità di tutta quella sabbia.
A metà della spedizione abbiamo fatto una sosta, bevuto una bibita e scattato qualche foto. In Namibia, ad ogni spedizione, ad ogni gita, ad ogni safari organizzato arrivava il momento della bevuta.
Quella volta, essendo mattina, non era disponibile il gin-tonic e così ci accontentammo di una bibita gassata.



Dopo la pausa, ci siamo mossi in direzione dell'agenzia, seguendo un'altro percorso e dopo alcune discese da brivido, siamo tornati a Swakopmund.
Dopo i saluti e le mance (molto sontuose per la guida), siamo partiti alla volta di Twyfelfontein.
Dopo un'oretta di noiosissima strada asfaltata vista mare, ci siamo fermati in un avamposto in mezzo al nulla per comprare del cibo per il pranzo.
L'avamposto (è il termine corretto) era un capannone che avrebbe voluto imitare uno dei nostri centri commerciali, solo che era completamente deserto ed erano vuoti anche il 90% degli spazi espositivi; sul fondo del capannone un minuscolo bar con poco o niente a disposizione.
Il luogo non era per niente piacevole e non ci si sentiva i benvenuti; svolgemmo i nostri affari il più rapidamente possibile e poi tornammo sulla strada.
Dopo l'avamposto la strada prese la direzione dell'entroterra e tornò ad essere sterrata, il percorso era dritto ed all'orizzonte non si vedeva nulla se non il sole; unici oggetti verticali erano i pali della corrente che correvano paralleli alla strada.
Sulla strada nessun'altra auto; il percorso era così deserto che la Vigi ha potuto fare la pipì praticamente sulla strada... tanto la visuale spaziava per chilometri su tutti i lati e non c'era traccia di vita, ne umana, ne animale ed in alcuni punti neanche vegetale... ovunque solo terra asciugata dal sole.
Le due ore passate su quel percorso sono state l'unico percorso Namibiano che non mi è piaciuto.
Passate le due ore, ci siamo trovati nel Damaraland. Ai lati delle strade cominciammo ad incontrare persone che guidavano carretti trainati da asini denutriti, sparuti gruppi di capre malconce e poi più avanti piccole e cadenti baracche che fungevano da negozi di souvenir gestiti dalla gente del luogo intervallati da bambini con taniche vuote che chiedevano acqua.
Per la prima volta nel nostro viaggio intravamo la povertà... quella vera... quella che rende più importante una tanica d'acqua che un biglietto da 10 euro.
Fui sconvolto e spaventato da questa visione.
In televisione si vedono ovunque bambini denutriti, gente vestita di stracci, persone con le mosche che gli ricoprono la faccia... la televisione però è un filtro, rende tutto come un film e trasforma le cose più aberranti in semplici immagini lontante. Trovarsi a tu per tu con la povertà è invece come ricevere un pugno nello stomaco da un pugile professionista: ti lascia senza fiato, senza riferimenti, impaurito.
Passi la tua esistenza a farti lunghe docce, bagni rilassanti, gite in piscina ed altre mille cose dando per scontata l'acqua... poi ti ritrovi in un posto dove la gente muore di sete, non è che non ha l'acqua per farsi una doccia o per lavarsi i denti... non ha l'acqua per bere!
Mi colse la paura e mi venne il panico... se fossi stato nei loro panni avrei assaltato ogni auto per rubare cibo ed acqua... avevo paura che si bucasse una gomma o si guastasse il motore con conseguente assalto di quelle persone, ogni volta che qualcuno mi faceva segno di fermarmi per vendermi un souvenir mi veniva il batticuore, ogni volta che una capra rachitica attraversava la strada cercavo di non fermarmi. Fu un percorso sconvolgente.
Verso sera arrivammo al "Twyfelfontein Country Lodge": luossissima struttura posizionata nel mezzo di questi monti bruciati dal sole.
Dopo aver lasciato i bagagli in camera ed aver fatto una breve passeggiata, raggiungemmo il bar.
Tutta la struttura principale (reception, negozio di souvenir, bar, ristorante, piscina) era inserita e si inerpicava su di una parete rocciosa.
Il bar non aveva pareti (a parte la parete posteriore che era la parete di roccia stessa) e spaziava sull'immensità del Damaraland.
Ci sedemmo di fronte a quel panorama meraviglioso e sorseggiammo gin-tonic fino all'ora di cena (alla quale io arrivai un po' brillo).
Seduto su quelle poltrone comode, di fronte a quel panorama meraviglioso, col mio gin-tonic in mano e la mia bellissima fidanzata di fianco mi sentii l'uomo più ricco e fortunato del mondo.
Nella lunga fase di aperitivo ri-incontrammo "Il nostor amico".
Aveva cambiato guida e scoprimmo che aveva fatto il nostro stesso itinerario e ci aveva visto da lontano... scoprimmo che aveva sorvolato la Dead-vlei in aereo e si era chiesto chi erano quei due pazzi che scalavano la duna nel punto più impossibile e che aveva sorvolato in aereo Sandwich harmbour chiedendosi chi erano quelli che con i fuoristrada saltavano le dune.
Ci raccontò qualcosa in più su di lui e ci disse che si sarebbe fermato in Namibia ancora qualche giorno. Poi cominciò a parlare la sua guida che ci raccontò di essere un italiano innamoratosi di una namibiana Himba che aveva abbandonato l'occidente per venire a fare la guida in Namibia e sposare la sua bella.
Era un tipo simpatico e piacevole, sempre allegro, positivo e propositivo.
Ci accordammo per farci un whiskey dopo cena tutti insieme.
La cena fu pantagruelica e di grande qualità, assaggiamo vari tipi di carne, dalla zebra allo springmbok ed era tutto ottimo.
Alla fine della cena i cuochi ed i camerieri cominciarono a cantare dei brani della tradizione locale ed io ritrovai in questi canti, le origini dello spiritual... fu emozionante, anche perchè durante il viaggio stavo leggendo un libro sul blues e la black music in genere.
Dopo la cena, ci facemmo un whiskey con la guida ed "il nostro amico" e poi ce ne andammo a letto felici e soddisfatti.

Un altro giorno pieno di emozioni era passato ed io amavo sempre di più la Namibia ed in generale il viaggio.