giovedì 7 novembre 2013

The Gudu's Nippo Experience part 4

La mattina del quarto giorno ci siamo svegliati alle 5.30 del mattino.
Fuori un'alba piovosa illuminava la nostra vasca termale.
Siamo usciti sul balcone e ce ne siamo stati a mollo una mezz'oretta per poi andare a fare colazione.
La colazione era nella stessa stanza privata in cui era stata servita la cena.
La colazione kaiseki è praticamente identica all cena: sul tavolo c'erano mille piattini e sui fornelli cuoceva il pesce.
Ovviamente Virginia si è gustata ogni piatto mentre io, preso da nausea alla vista del pesce a colazione, ho dovuto spiegare alla nostra cameriera personale che io non ero solito fare colazione... e non è stato facile.
Dopo colazione ci siamo tolti gli yukata e ci siamo vestiti per partire alla volta di Kyoto.
Grazie ai velocissimi e puntualissimi treni nipponici, alle 10.00 del mattino eravamo a Kyoto.
Kyoto è una città di quasi 1,5 milioni di abitanti. In passato fu la capitale del paese per più di un millennio (dal 794 al 1868) ed è nota come "La città dei mille templi".
Essendo stata quasi interamente risparmiata dalla seconda guerra mondiale, è considerata il più grande reliquiario della cultura giapponese.

Ci siamo fermati a posare i bagagli al ryokan e poi ci siamo diretti a visitare la zona dei templi.

Penso che sarebbe troppo lungo e noiso descriverli tutti nei particolari, vorrei piuttosto riuscire a
ricreare le atmosfere e le sensazioni dei vari templi.

Il primo tempio che abbiamo visitato è stato quello dedicato alla dea Kannon: Sanjusangendo.
Questo tempio risale al XII secolo ed è conosciuto per custodire 1.001 immagini della Dea Kannon, tutte diverse tra loro.
La Dea Kannon è la divinità buddhista della pietà e della misericordia e vi sono molti altri templi a lei dedicati, come il Fukusai-ji.
La prima grande emozione, che ha dato alla visita un grande senso di sacralità, è stata quella di toglierci le scarpe per visitare l'interno.
Giunti nel tempio, nel mezzo del totale silenzio, c'erano queste mille statue della Dea con le persone che pregavano di fronte ad esse.
Un'immagine che mi ha davvero colpito e mi ha dato una prima idea della religiosità dei giapponesi.
All'uscita non mi sono trattenuto dall'acquistare un bellissmo ciondolo/talismano che, secondo la tradizione, dona energia a chi lo porta.
Non era possibile fare foto all'interno e noi, al contrario del tipico turista italiota, abbiamo rispettato le regole e la sacralità del luogo. L'immagina a seguito l'ho presa da internet, non l'abbiamo scattata noi; penso però che sia utile a dare l'idea dell'atmosfera.


Dopo qualche tempio incontrato nel centro della città, ci siamo spostati nella zona collinare.
Migliaia di scalini per salire in cima alle colline e rimanere a bocca aperta di fronte ai templi costruiti in questa zona.


Il tempio più maestoso in questa zona è il Tempio Kiyomizu-dera
Il tempio uno degli antichi monumenti della città, considerati patrimonio dell'umanità dall'Unescu; ed è anche uno dei finalisti per le sette meraviglie del mondo moderno.
Per la sua costruzione non è stato usato un singolo chiodo.
Il nome deriva dalla cascata presente all'interno del complesso, che scorre dalla colline vicine. Kiyomizu significa "acqua pulita", o "acqua pura".
Questo tempio è famoso per il palco, fatto con legno di cipresso giapponese e alto circa 23 metri... ripeto... nessun chiodo.
C’è una  famosa frase idiomatica giapponese che si riferisce a questo palco: “saltare giù dal palco di Kiyomizu”; significa decidere di fare qualcosa di coraggioso... un po' come il detto italiano "Saltare il fosso". In passato tante persone si sono buttate realmente dal palco poichè la tradizione vuole che se non si fossero ferite i loro desideri sarebbero stati esauditi. Pregavano dunque Kannon (quella del tempio precedentemente descritto) che le aiutasse e si buttavano.
Per arrivare al tempio abbiamo dovuto salire molti scalini addentrandoci in un bosco che fino a 10 minuti prima era invisibile all'occhio.
Le persone (numerose e quasi tutte asiatiche) salivano lentamente con fare cerimonioso verso il tempio, molte di loro vestite in bellissimi abiti tradizionali.
Non posso affermare che ci fosse silenzio, ma non c'era nulla di più che un brusio di fondo... imputabile soprattutto ai turisti "non giapponesi".
Arrivati al tempio abbiamo fatto inizialmente fatica a capirne la conformazione tanto era grande... così siamo andati a casaccio.
Abbiamo imparato a pregare di fronte agli altari suonando la campana al termine e battendo tre volte le mani.
Abbiamo assimilato l'usanza di lavarsi le mani alle apposite fontane prima di entrare nei templi.
Abbiamo visitato la famosa Tainai Meguri che si trova in una stanza sotterranea. Per raggiungerla bisognava scendere una lunga e stretta scalinata completamente al buio afferrandosi ad una corda per non cadere.
E' stato davvero incredibile; una sensazione di sacralità fortissima. Alla fine della scalinata si entra in un tunnnel piuttosto stretto e completamente buio, poi ad un tratto si intravede una pietra levigata che se toccata, secondo tradizione, esaudisce un desiderio.
Poi siamo passati lungo un viale composto da porte shinto con appesi mille campanelli... il vento li faceva suonare tutti creando una sensazioen estraniante ed al contempo rilassante difficile da descrivere.
Alla fine del viale c'era la sala principale del tempio, nominata Tesoro nazionale dal governo giapponese.


La sala è posizionata sul famoso palco di cui ho scritto prima, così uscendo dalla sala ci siamo goduti una vista mozzafiato sulla città e sul bosco.
Per ridiscendere dalla collina bisognava seguire un bellissimo sentiero con vista panoramiche che portava ad una bellissima pagoda molto nota in Giappone.


Sulla lunga via della discesa dal tempio (piena zeppa di negozi di artigianato e cose mangerecce), ci siamo fermati a pranzare in un ristorante tipico dove, come sempre, abbiamo ordinato suppergiù a caso guardando le foto sul menu.

Nel pomeriggio ci siamo mossi verso la zona di Arashiyama per ammirare il bosco di bambù, i templi locali ed il famoso quartiere di Mukou.

La nostra prima meta è stata il Tempio di Tenryuji.
Posso solo commentare scrivendo "Senza fiato".
Il Tenryuji è uno dei templi zen più famosi di Kyoto per la sua origine, la sua storia e per essere una delle sedi più illustri della scuola zen Rinzai.
Essendo un tempio zen, abbiamo potuto visitare per la prima volta un vero giardino zen.
Questi giardini in giapponese si dicono "Shakkei teien", cioè "Giardini prestati", perchè sono inseriti nell'armonia della natura stessa e dall'ambiente circostante.
Sono davvero rimasto senza fiato... non mi sembrava nemmeno di essere ancora sulla terra... ero in un mondo parallelo dove trovavo armonia in ogni cosa.
Ogni particolare era curato con ricerca di perfezione, ogni disegno sulla sabbia, ogni potatura di pianta, ogni decorazione dei templi, ogni pietra del camminamento... non c'era nulla che non fosse perfettamente armonico.
In questi momenti si intuisce la vera grandezza che può raggiungere l'umanità... non costrumendo immensi palazzi, ma armonizzandosi col tutto e soprattutto con la natura.
Zone di sabbia "disegnata", piante, laghetti e sentieri nel bosco.
Passeggiare in un giardino zen è in grado di armonizzare la nostra anima, per i più sensibili è possibile sentire l'immensa energia universale compenetrare ogni cosa.


Abbiamo passeggiato lentamente per quei sentieri ameni fino a raggiungere il bosco di bambù.
Il bosco di bambù è un'altro di quei luoghi difficili da immaginare per chi non ci è stato.
Impossibile farlo comprendere e godere con una fotografia, un filmato od un racconto... bisogna visitarlo.
Un bosco fittissimo composto da bambù dal diametro fino a 20 cm ed altezza fino a 30 metri.
Il bosco fa parte della "zona zen", infatti anche l'intricata sistemazione dei bambù ha un senso e si vedono i segni dei tagli e potature dei monaci.
In mezzo a questo incredibile bosco c'è un piccolo sentiero lungo circa 2 Km che porta ad altri due piccoli templi shintoisti molto suggestivi in mezzo ai boschi.


Uno di questi, piccolissimo era posizionato in riva ad un piccolo lago nel mezzo del bosco.
Siamo arrivati al lago che già la luce naturale diminuiva ed abbiamo potuto goderci le luci dei templi accese... il tutto in mezzo al bosco... sembrava di essere in un altro tempo... volendo anche in un manga in stile Inuyasha.



Sulla strada del ritorno siamo passati attraverso il quartiere di Arashiyama.
Mentre di giorno il quartiere è invaso dai turisti e non per niente diverso a qualsiasi meta turistica, visitato la sera ha un fascino particolare.

Rientrati nel centro di Kyoto per la cena, siamo rimasti per mezz'ora imbambolati di fronte ad un banchetto che preparava gli okonomiyaki decidendo di cenare più tardi proprio con quella succulenta pietanza.
Gli okonomiyaki (letteralmente okonomi = ciò che vuoi, yaki = alla griglia) sono composti da un impasto di fettine di foglie di cavolo, acqua, farina e uova al quale vengono aggiunti carne oppure pesce od altri ingredienti a scelta.
Viene cucinato su una piastra calda chiamata teppan aiutandosi con delle spatole metalliche per non farlo attaccare al teppan e per tagliarlo quando è pronto.
Curiosità per gli amanti dei manga/anime: sono quelli che preparava il sig. Marrabbio del manga "Love Me Knight" conosciuto in Italia come  "Kiss me Licia"
Purtroppo alla fine non l'abbiamo assaggiato in quanto la sera siamo stati incuriositi da un locale descritto nella guida lonelyplanet ed abbiamo cenato li.


La zona "ggggiovane" di kyoto comprende una zona che costeggia il fiume piena zeppa di case sistemate alla rinfusa con piccoli vicoli scuri che le dividono.
Ogni palazzo è a sua volta pieno di corridoi e scale... in ogni palazzo possono esserci fino a 3-4 locali.


Per raggiungere il nostro locale siamo finiti in una strada deserta in stile "ti aggredisco, ti derubo e asporto anche qualche organo" per poi salire una rampa di scale angusta che portava in un corridoio ancora più angusto.
Io già mi stavo preparando a sostenere l'agguato quando in fondo al corridoio Virginia ha coraggiosamente aperto una porta e ci siamo ritrovati nel locale.
Si trattava di un locale punk, non dissimile dai locali descritti in manga come Beck o Nana: soffitti bassi, luci al neon, mobilio quasi inesistente e musica alta.
Abbiamo ordinato il cibo (dell'ottima carne) e ci siamo goduti l'atmosfera "gggggiovane". Atteccati ai muri biglietti da visita e semplici fogli con le firme di chi ha visitato il locale.
Noi abbiamo preso un biglietto dei trasporti pubblici, lo abbiamo firmato ed abbiamo anche noi lasciato la nostra traccia.


Dopo cena una breve passeggiata nel chaos del sabato sera kyotese e poi ritorno al ryokan dove ci siamo addormentati istantaneamente toccando la superficie del futon.

Nota importante: durante questa giornata abbiamo scoperto che era possibile comprare un quaderno sul quale fare disegnare in ogni tempio una iscrizione col timbro. Stessa procedura usata nel cammino di Santiago. Scoperta questa cosa per noi è diventata quasi una mania quella delle scritte sul quaderno... il ricordo più vero e più bello perché è una cosa che non si può comprare, bisogna guadagnarsela visitando tutti i templi... peccato averla scoperta con un po' di ritardo.

giovedì 10 ottobre 2013

The Gudu's Nippo Experience part 3

Il nostro terzo giorno in terra nipponica sarebbe stato dedicato a due cose tipicamente giapponesi: le terme e la cicina kaiseki.

La cucina Kaiseki è un tipo di pasto molto particolare, l'espressione culinaria forse più raffinata di tutta la cucina giapponese.
Originariamente con questo termine si intendeva un pasto vegetariano che accompagnava la cerimonia del tè, mentre oggi vengono serviti anche pranzi e soprattutto cene in stile Kaiseki comprendenti vegetali ma anche pesce e raramente carne, accompagnate dal sakè.
Un  tipico pasto Kaiseki è caratterizzato da molte pietanze servite in piccole porzioni.
Si va dalle 6 fino alle 20 porzioni. Il cibo che viene servito varia a seconda del periodo e del luogo in cui ci si trova; prerogativa di una portata in stile Kaiseki è infatti la freschezza degli ingredienti usati.
Altra particolarità di un pasto Kaiseki è l'importanza dell'apparenza dei piatti: viene curato ogni minimo particolare, dall'estetica di ogni singolo piatto alla disposizione dei piatti stessi. È veramente uno spettacolo anche solo guardare un tavolo apparecchiato per una cena Kaiseki.

Durante la fase di preparazione del viaggio, la Vigi mi propose di stare per una sera in un ryokan di lusso con stazione termale.
Avremmo avuto una vasca termale privata in camera, una cameriera personale ed una cena kaiseki.
Io ero un po' titubante su questa cena tradizionale, ma mi sono lasciato convincere dalle comodità della vasca privata e dal fatto che, avendo io tre tatuaggi abbastanza grossi, avrei potuto avere dei grossi problemi ad entrare nelle terme pubbliche (teoricamente in Giappone l'ingresso alle terme è vietato ai portatori di tatuaggi).
Così la Vigi ha prenotato presso il Yumotokan (http://www.yumotokan.co.jp/world/english/) di Chome vicino al lago Biwa.

La mattina del terzo ed afosissimo giorno abbiamo tentato di visitare i giardini imperiali a Tokyo; "tentato" perchè era il giorno di chiusura e ci siamo accontentati di vederli da fuori e farne una parziale circumnavigazione.



Nel pomeriggio siamo partiti alla volta del Ryokan.

Abbiamo usufruito dei famosi treni rapidi giapponesi chiamati "Shinkansen".

E' stato pazzesco veder arrivare lo shinkansen alla stazione di Tokyo.
Il treno è arrivato in stazione con 10 minuti di anticipo.
Appena si è fermato, sono salite rapide le donne delle pulizie (2 per ogni vagone).
Agivano con rapidità incredibile senza tralasciare nessun angolo o componente del vagone.
Noi le fissavamo dall'esterno sbigottiti mentre con i loro guanti bianchi pulivano ogni sedile, ogni tavolino ed i pavimenti.
C'era poi un'addetta ai bagni, una per ogni bagno.
Cinque minuti prima della partenza il capotreno (dotato di guanti bianchi e sempre pronto ad elargire sorrisi ed inchini a tutti quelli che salivano) ci ha indicato che potevamo salire.
Abbiamo raggiunto i nostri posti (prenotati dall'Italia ed assegnati il giorno dell'atterraggio in aereoporto) e ci siamo messi comodi.

Il treno è partito ovviamente in perfetto orario ed ha preso rapidamente velocità.
Grattacieli, poi case in stile anni '70, poi campagna.
Tutto ci passava di fronte rapidissimo; dopo qualche tempo è apparso il Monte Fuji, l'unico cosa che non ci sfrecciasse di fianco a velocità incredibili.

Siamo arrivati a Chome intorno alle 18.00.


Il luogo era sperso in mezzo alle montagne e si respirava una atmosfera surreale che già mi rilassava.
Abbiamo preso un taxi (anche in campagna il taxista aveva i guanti bianchi ed il taxi era dotato dei tipici centrini bianchi sui sedili) ed abbiamo raggiunto il ryokan in pochi minuti.

Fin dall'ingresso al ryokan siamo stati trattati come re.
La nostra cameriera personale (vestita in abiti tradizionali e che non parlava ovviamente una parola di inglese) ci ha accompagnati in camera e ci ha spiegato a gesti tutte le comodità della camera, l'uso della vasca termale e come arrivare alla cena, poi si è ritirata fra mille inchini.
La camera era molto bella ed accogliente.
La vasca termale era sul balcone con vista sulla montagna.
Al contrario di Tokyo l'aria era fresca ed il cielo minacciava pioggia; un'ottima occasione per mettersi a bagno-maria nella vasca termale.
Ma prima la Vigi ha voluto provare delle cibarie presenti sul nostro tavolo.
Appena entrati in camera, la nostra cameriera ci aveva già fatto provare degli strani dolcetti che prima di venire mangiati venivano riscaldati dando fuoco alla confezione che sembrava di plastica (ma evidentemente non lo era)... il tutto accompagnato da the verde.
I biscotti non erano male, ma ho preferito non partecipare agli assaggi della Vigi.
C'erano dei gamberetti che sembravano in modo sospettoso al cibo che da piccolo davo alle mie tartarighe d'acqua dolce, poi c'erano radici, "cose" che sembravano pezzi di insetto (ma probabilmente non lo erano) ed altri assaggi che tanto io trovavo inquietanti quanto la Vigi eccitanti.
Nel video che presto metterò on line sul mio canale youtube (www.youtube.com/ominoleo77) sarà possibile vedere in diretta la Vigi che testa le suddette cibarie.



Dopo gli assaggi ci siamo infilati nella vasca e ci siamo goduti un bel bagno termale.

Dopo il bagno, abbiamo indossato i nostri yukata (forniti come da tradizione dal ryokan) e siamo andati a cena.
Eravamo in una stanza tutta nostra con una cameriera tutta per noi (anche questa non parlava ovviamente una parola di inglese)... è stato divertente vedere il nome "Virginia" scritto in caratteri occidentali in mezzo a tutti i nomi in caratteri nipponici presenti negli altri privé.


Sul tavolo c'erano non meno di 10 piatti alcuni tappati, altri aperti (ed altri ne hanno portati dopo). C'erano anche dei fornellini (uno a testa) sul tavolo.
Ogni cosa era curatissima, mi sentivo a disagio a spostare le cose per poter mangiare.


Difficile descrivere la cena di per se, perchè una foto descrive meglio l'estetica e solo il palato può descrivere bene gli inusuali gusti che abbiamo provato.
C'era di tutto. Spaghetti di soia che bisognava prima "puciare" in una tazzina e poi succhiare, piccole ciotole contenenti brodi vari, pesce e carne da cuocere sui fornelletti, verdure (alcune dai colori bizzarri) ed alghe.
La cameriera ci spiegava (o provava) come degustare i piatti ed in che ordine degustarli.
Il tutto era accompagnato da sakè e the verde.







Eravamo di fronte alla più alta cucina giapponese, presentata nel migliore dei modi.
La Vigi ha mangiato con gusto e felicità mentre io ho faticato un po' di più, ma è stata un'esperienza importate e formative... di quelle che ti rendono più ricco dentro.

Dopo cena siamo tornati in camera.
In nostra assenza, la cameriera aveva spostato il tavolo, sostituito le cibarie con altre e preparato il futon per la notte.

Noi ci siamo ancora bevuti un the e poi ci siamo addormentati appena infilati nel futon.

Un altro nipponico giorno era concluso.

martedì 1 ottobre 2013

The Gudu's Nippo Experience Part 2

E poi ci siamo svegliati riposati la mattina del secondo giorno.

Dopo un'ottima colazione "Quasi occidentale" nel Ryokan, siamo partiti alla volta del "mitico" e "mistico" Museo Ghibli.

Anche se esiste wikipedia, due parole rapide per capire chi è il genio celebrato in questo museo: Hayao Miyazaki.
Si parla di cartoni animati famosissimi in occidente negli anni '80 come "Lupin III" e "Conan ragazzo del futuro".
Si parla di capolavori dell'animazione pubblicati in tutto il mondo come "Il mio vicino Totoro", "Porco Rosso", "La città incantata", "La principessa Mononke", "kiki consegne a domicilio", "Il castello errante di Howl".
Si parla di un autore che in occidente ha ispirato i creatori di "Bruto" (il nemico di Braccio di Ferro), la banda bassotti della disney ed in oriente ha praticamente ispirato qualunque creatore di anime.
Si parla di un autore che nel 2013 produce ancora film d'animazione disegnati "a mano" con l'amore, la passione e la qualità che solo una mano umana può dare.
Si parla di un autore che con i suoi film d'animazione fa sognare gli animi umani dai 4 ai 104 anni.
Si parla di uno dei pochi autori che ancora crede nell'animazione tradizionale (il fottutissomo "cartone animato"), uno dei pochi esportato in occidente, l'unico ad aver vinto il leone d'oro a Venezia, un oscar ed un sfilza di altri premi.
Quest'uomo, che io considero un genio ed un esempio di vita, tanto tempo fa ha fondato una sua casa di produzione per non dover sottostare alle regole di mercato e poter continuare a produrre materiale di qualità con passione. Un uomo che ha sfidato la tecnologia, le mode, la globalizzazione e la caduta morale dell'umanità... vincendo nel suo piccolo su tutti.
Ecco chi è l'uomo celebrato in questo museo.


Per entrare al museo Ghibli bisogna prenotare con largo anticipo il biglietto.
La Vigi (anche lei appassionatissima di Miyazaki) ha prenotato dall'Italia con 3 mesi di anticipo.

Ma torniamo un attimo indietro.

Prima di arrivare al Museo Ghibli, ci siamo fermati a visitare il quartiere di "Higashikurume".
Questo è il quartiere dove è ambientata la serie manga/anime "Maison Ikkoku" (in Italia pubblicata col nome "Cara dolce Kyoko").
Maison Ikkoku ha avuto una grande rilevanza nella mia adolescenza e la Vigi è stata grandiosa a documentarsi su come raggiungere questo quartiere.
Higashikurume è un quartiere molto periferico ad Ovest di Tokyo dove a quanto pare viveva l'autrice a quei tempi. Ora il quartiere è molto diverso, ma l'atmosfera che si respira è ancora la stessa dell'anime.
Non sto a descrivere quel che ho visto, perchè fondamentalmente non c'è nulla da vedere, se non ciò che è rimasto dei luoghi presenti nell'anime (sono convinto di aver individuato la costruzione che ha ispirato la Maison Ikkoku)... è stata soprattutto un'esperienza interiore... per me molto importante.

Fatta questa "piccola" (si fa per dire) deviazione, in una quarantina di minuti siamo arrivati alla stazione del quartiere in cui è sito il Museo Ghibli.

Scesi dal treno, abbiamo deciso di non prendere la navetta, ma passeggiare fino al museo.
Abbiamo così scoperto una parte di Tokyo inaspettata.
Piccole case con piccoli giardini verdi si dipanavano in linea retta seguendo un piccolo fiumiciattolo.
La strada era stretta e incorniciata da molti alberi.
Un'atmosfera... come dire... "delicata" che ricordava più un diorama che un quartiere vero.
Alla fine della strada c'era un piccolo parco ed alla fine del parco il museo.

Com'è il Museo Ghibli? Molto diverso da quello che ci si aspetta.
Non è un museo, ma nemmeno un parco di divertimenti.
Il biblietto è sostanzialmente la riproduzione di un pezzo di pellicola contenente tre fotogrammi di una delle opere dello Studio Ghibli... ogni biglietto è diverso... in pratica il biglietto stesso è già un souvenir di valore.
Si gira all'interno di questo edificio dalle forme strambe (torri, giardini pensili, balconate interne, imbrobabili scalinate) visitando alcune ambientazioni tratte dalle delle opere più famose (sotto la pianta del museo).


Vi è poi un piccolo cinema nel quale viene proiettato ogni 30 miuti un cortometraggio visibile solo al museo e che cambia ogni mese.
Esiste anche un parte più "museo" all'interno della quale si può vedere come è nata e come si è sviluppata l'animazione nipponica.
Ci sono poi dei giochi per i bambini ed infine lo shop per i souvenirs.
Io e la Vigi ci siamo ovviamente gettati a fare la fila per il cortometraggio che è risultato molto carismatico e molto visionario... non scrivo di più perchè è un segreto delle poche persone che hanno potuto vederlo.
Ci siamo poi stupiti di fronte alla riproduzione in metallo a grandezza naturale del robot di "Laputa il castello nel cielo", siamo tornati bambini di fronte al Totoro in dimensioni reali e così via.




Alcune ambientazioni non le abbiamo riconosciute, abbiamo dovuto poi rivederci tutti i lungometraggi dello Studio per riconoscerli.
Abbiamo pranzato nel ristorante interno del museo dove servivano gigantesti panini ed ancor più giganteschi gelati a cinque piani... unico locale in cui abbiamo trovato cucina internazionale.


Il locale era pieno zeppo e si faceva la fila per entrare. La fila era composta da una serie di sedie messe in circolo con al centro un tavolo; man mano che si liberavano le sedie più vicine alla porta, si cambiava di "seduta" avvicinandosi all'ingresso.
Sul tavolino al centro del "percorso sedie" c'erano riviste e del disinfettante per le mani.
Ovviamente nessuno cercava di by-passare la fila. Eravamo gli unici occidentali presenti.
Nel pomeriggio ci siamo persi nello shop del museo.
In verità ci aspettavamo molto di più... eravamo pronti a riempire un'intera valigia di souvenirs.
Abbiamo dovuto accontentarci di portachiavi, toppe per le borse e per il giubbotto, spille e stampini. Non c'erano magliette, felpe, cappelli... peccatissimo.
Dopo lo shop abbiamo gustato una strana bibita al gusto di "Biochetasi" the tutti sembravano apprezzare; in pratica ti fornivano una bottiglietta piena di acqua nella quale venivano inserite strane palline colorate che in pochi secondi davano gusto, colore, sapore e gasatura all'insieme.

Usciti dal museo felici e sereni, abbiamo tentato di passeggiare nel parco per rilassarci.
Scrivo tentato perchè siamo stati assaliti da un'orda di malvagi insetti.
In non più di 15 minuti la povera Vigi è stata punta 47 volte. Non è un modo di dire. 39 punture sulle gambe e 8 nella parte bassa della schiena.
A me è andata meglio: solo 7 punture... li attirava tutti lei gli insetti.

In serata abbiamo visitato il primo tempio Buddista del viaggio, il grande tempio di Senso-Ji.
Era quasi buio ed il tempio si ergeva imponente con le sue luci soffuse.
Di fronte al tempio una strada dritta di almeno 300 metri piena di negozietti illuminati su ambo i lati; strada famosissima chiamata Nakamise Dori e che conduce al portale di ingresso "Kaminarimon".


In pratica una versione lineare e ordinata dei mercatini di Natale di Vienna.
Nei negozietti si poteva trovare davvero di tutto... e quando dico tutto... intendo tutto.
Il Kaminarimon era imponente con le enormi statue di quelli che io avevo imparato a chiamare "demoni giapponesi" tramite i manga, ma che ho scoperto essere figure mitologiche e mistiche del buddismo.


Superata l'entrata del Kaminarimon appare la costruzione principale del tempio e, ad ovest, il Gojuto (pagoda delle 5 storie) dove si dice vengano conservate parte delle ceneri di Buddha.
Il complesso era molto bello, ma tutta l'atmosfera era rovinata dalle miriadi di turisti (quasi tutti orientali) che riempivano ogni spazio vuoto.
Abbiamo pregato alla maniera locale ed abbiamo provato l'"Omikuji".
L'"Omikuji" è un biglietto contenente una predizione divina, un oracolo scritto che si estrae presso i templi shintoisti e buddisti in Giappone in occasione di particolari festività per conoscere la propria sorte (vita, salute, lavoro, amore, ecc.)... i turisti invece lo estraggono ad ogni occasione ovviamente.
Prima si lascia un'offerta in una cassetta poi si agita poi una scatola al cui interno ci sono dei bastoncini numerati. Da un piccolo foro posto di questa scatola esce un bastoncino. Di lato è posta una piccola cassettiera in cui sono riposti i bigliettini dell'oracolo.
Si deve, quindi, cercare la cassetta che ha lo stesso numero presente nel bastoncino e prendere il foglietto all'interno, contenente la predizione (cosa per niente facile per un'occidentale).
Se la predizione dell'Omikuji è buona, si può mettere il foglietto in apposite casse oppure legarlo alla porta del tempio oppure portarlo con se, come talismano, fino a quando non si realizza la predizione.
Se, di contro, la predizione è negativa è preferibile annodarlo ai rami di un albero o ad una particolare struttura creata appositamente per questo motivo vicino ad un luogo santo, in modo da permettere agli spiriti divini di esorcizzarlo evitando così che si realizzi.

Dopo foto, oracoli e preghiere era sceso il buoi ed abbiamo deciso di ritornare al Ryokan.

Al ritorno ci siamo fermati in un negozietto ed io mi sono comprato delle originali ciabatte giapponesi.

A cena siamo andati in un chioschetto, di quelli frequentati dagli autoctoni, a mangiare il Ramen.
Oramai a Tokyo non ci sono più i chioschetti in legno che si vedono nei manga, ma piccole stanzette nelle quali si mangia seduti al bancone.
Appena entrati il cuoco ci ha chiesto di prendere il biglietto... si, proprio prendere il biglietto... introducendo il denaro in una macchinetta che sputava fuori un bigliettino che poi andava consegnato al cuoco.
Per capire "cosa" ordinare non c'era questa volta il menù fotografico... ci sono voluti 10 minuti per capire a gesti e "sprazzi di inglese" cosa significavano alcune scritte... e poi ancora 10 minuti per trovare la scritta equivalente alla spiegazione sui pulsanti della macchinetta.
Consegnati i bigliettini al cuoco, dopo neanche 2 minuti avevamo davanti il nostro ramen... cucinato a "velocità curvatura" dal cuoco.
Ora vado a descrivere il Ramen come solo un italiano potrebbe farlo.


Si prende un scodella e la si riempie di un brodo che varia da caso a caso, nel nostro caso conteneva pezzi di verdure ed alghe.
Poi si prendono degli spaghetti di soia e li si butta nel brodo.
Poi si prendono agli ingredienti e li si butta anche loro nel brodo. Nel nostro caso avevamo 3 fette finissime di manzo ed un uovo sodo.
Il Ramen mi è piaciuto tantissimo; nutriente e completo, ma digeribilissimo.
Vicino a noi un tipico giapponese.
E' entrato quando noi eravamo quasi alla fine... ha ordinato una ciotola di Ramen ed una ciotola di riso.
Nel tempo che noi abbiamo finito gli ultimi due spaghetti, il soggetto aveva spazzolato il riso e finito il Ramen... il tutto tenendo le ciotole adese alla bocca e facendo rumori che nella nostra cultura sarebbero a dir poco osceni, ma per la cultura giapponese sono sintomo di gradimento.

Dopo cena siamo tornati al Ryokan, il giorno dopo ci attendeva Kyoto.

venerdì 20 settembre 2013

The Gudu's Nippo Experience part 1


Il 20 agosto è iniziata un'altra Gudu's experience.
Destinazione Giappone.

La mattina del 20 ho indossato le mie scarpe da viaggio (scarpe da montagna che indosso solo quando viaggio) ed i miei pantaloni estivi da viaggio (che indosso sempre alla partenza di ogni viaggio dall'avventura in Namibia del 2011) ed ho caricato la macchina.
Questa volta ad accompagnarci purtroppo non c'erano le nostre mitiche sacche da avventurieri (sempre più addobbate con le toppe delle varie bandiere dei luoghi visitati) poichè avevamo in progamma poderosi spostamenti a piedi; inizialmente la cosa ci ha rattristati un po', ma a ragion veduta siamo stati molto saggi.
La Vigi ha indossato anche lei le sue scarpe e pantaloni da viaggio, si è caricata in spalle l'attrezzatura da fotografa e mi ha raggiunto.

Prima destinazione: l'aereoporto di Milano Malpensa.
Alla guida dell'auto Mello (proprio colei che venne con noi fino in Tanzania), che ci avrebbe recapitati a destinazione e sarebbe tornata a casa in modo da non doverci preoccupare del parcheggio.
L'arrivo in aereoporto è sempre una parte fondamentale delle Gudu's experiences... è il momento in cui ti assale l'eccitazione per il viaggio.

Io adoro gli aereoporti.
Sono come portali verso mille dimensioni di avventura... pieni di persone che vanno e vengono da ogni dove.
Essendo l'imbarco previsto per le 14.00 abbiamo fatto un rapido pranzo ad un self-service locale ovviamente costoso come un ristorante di alta cucina nelle langhe e poi siamo stati in trepidante attesa dell'imbarco.
Io avevo già previsto cosa vedere nelle 12 ore di traversata.
La visione dei film durante il volo è un rito irrinunciabile e facente parte integrante del viaggio. Io avevo calcolato di vedere Fast&Furious 6 e Star Trek 2.
Per farla breve, senza descrivere le incredibili minchiate che di solito facciamo io e la Vigi per passare il tempo in sala d'attesa, alle 14.30 eravamo sull'aereo dove io scoprivo con orrore che nessuno dei film della mia wish-list era presente nell'archivio... poco male, avrei deviato su Ironman3 e Jimmi Bobo.
Il volo è stato per me rapido ed indolore.
Avevamo la fortuna di essere in 2 su tre sedili, indi per cui io mi sono goduto i due film in questione e poi mi sono svaccato, dormendo per le restanti 7-8 ore di viaggio.
Un po' peggio è andata alla Vigi che in aereo fatica a dormire.
La sua è stata una lunga traversata.

Il 21 agosto alle 9.00 del mattino siamo atterrati all'aereoporto Narita di Tokyo.

Il primo approccio che ho avuto mettendo piede in Giappone?
Tre addetti alle pulizie sdraiati sotto ad una panchina per pulire anche la parte inferiore del suddetto oggetto ed il pavimento con la moquette... moquette più pulita del pavimento di casa nostra.
Arrivati in aereoporto siamo andati a farci attivare l'abbonamento per i mezzi pubblici acquistato dalla Vigi on line.
Una delle prime cose che consiglio a chiunque visiti il Giappone è di prenotare da casa tutto il prenotabile. In Giappone quasi nessuno parla inglese; inoltre parlano tutti sottovoce e con un accento tale da rendere difficile la comprensione anche ad una "quasi-madrelingua" come la Vigi.
Il secondo approccio con il Giappone è stato "La cortesia e disponibilità": la signorina dello sportello, fra mille sorrisi ed inchini, si è offerta di prenotarci con anticipo i posti riservati su tutti i treni che avremmo preso da li al giorno della nostra partenza.
Con infinita pazienza si è informata sul nostro itinerario e ci ha prenotato tutto. A ragion del vero è stata avvantaggiata dal fatto che Virginia aveva un chiarissimo piano di viaggio in mente... però questa signorina ha passato con noi 20 minuti senza smettere di sorridere, senza perdere la pazienza, senza sottrarsi a nessun possibile lavoro al fine di rendere più semplice il nostro soggiorno.
Sbrigate tutte le pratiche siamo saliti sul treno (ovviamente iperpulito, rapido, silenzioso e dotato di bigliettaio che faceva l'inchino ad ogni persona a cui controllava il biglietto) per raggiungere il quartiere di Ueno.

Scesi dal treno finalmente mi sono trovato di fronte il Giappone.
Ueno è uno dei quartieri anni '70 di Tokyo... sembra di essere in un manga: strade strettissime, ammassamento pazzesco di case di tutti i tipi messe a casaccio come se il piano regolatore fosse stato disegnato da Ray Charles, poche auto, molte biciclette ed un caldo abominevole.
La Vigi è riuscita a muoversi senza mai sbagliare nella metropolitana di Parigi, nei vicoli di Londra, nelle campagne Francesi, sulle strade montuse della Namibia... ha però dovuto cedere di fronte alle strade di Ueno, ma soprattutto di fronte alle mappe falsate in nostro possesso.
Dopo una buona mezz'ora di "girare in tondo" coperti di sudore e nettamente provati dalla passeggiata con valigie sotto il sole rovente, un passante impietosito si è avvicinato e ci ha chiesto se poteva aiutarci... e cosa incredibile, sapeva anche dire tre parole in inglese!
Abbiamo così scoperto di essere usciti dalla metro nel punto sbagliato e siamo arrivati rapidi all "Edo Sakura" il nostro primo Ryokan.
Cos'è un Ryokan? E' l'equivalente dei nostri bed & brekfast... però in versione giapponese... si dorme per terra col fouton in piccole stanza quadrate che quasi sempre hanno la vista su piccoli giardini zen, è vietato indossare scarpe ed all'interno si indossa lo yukatai fornito dalla struttura.
Con grande emozione ho aperto la porta del ryokan (tipicamente giappponese con scorrimento laterale e tendine di fronte) e siamo entrati.
L'accoglienza è stata ...1....2...3... giapponese: prima ancora di farci compilare i moduli, ci hanno fatti sedere e ci hanno offerto del the; poi con calma e pacatezza ci hanno portato i moduli da compilare.
All'interno un'atmosfera di serenità e pacatezza.
Per il primo giorno a Tokyo avevamo deciso di provare una "stranezza locale": a Tokyo i pensionati o gli studenti che studiano lingue estere si offrono gratuitamente di fare da guida agli stranieri; bisogna solo pagare loro gli spostamenti e gli ingressi ai luoghi visitati.
Incuriositi dalla cosa, abbiamo pensato di provare questo servizio, anche alla luce del fatto che eravamo reduci di un volo di 12 ore con jet-lag di 7 ore e quindi poco propensi a districarci fra le strade e le metropolitane di Tokyo.
La nostra guida era una minuta studentessa di lingua italiana che in italiano sapeva solo dire "Buongiorno", "Conosco un po' l'italiano", "Torta", "Armani", "Gucci" ed altre firme italiote.
Fortunatamente il suo inglese era migliore... il problema è che parlava pianissimo... e così parte della giornata è passata con Vigi che mi prendeva per il culo sul fatto che io non capivo una fava di quel che mi diceva la nostra guida e rispondevo sempre "Yes"... anche quando mi ha chiesto che lavoro facevo e cosa conoscevo del Giappone.

Tokyo è una bella città... parlando con sincerità non è una delle più belle e nemmeno delle più brutte... è semplicemente una città come tante.




Siamo saliti su di un grattacielo per goderci lo skyline di Tokyo, andati al museo nazionale dove, oltre alle opere d'arte, un'intera sala è dedicata ad un ologramma in stile manga che canta e che in Giappone è idolatrata come lo è in Italia Vasco.
Siamo andati in un caffè di lusso all'interno di un negozio di diamanti (una specie di "Merenda da Tiffany"), abbiamo girato per negozi dei mitici quartieri di Ginza e Roppongi ed ho avuto il piacere di regalare alla Vigi uno yukata originale fatto a mano con tessuti speciali in una boutique del centro.


Tutto bellissimo, ma come ho scritto sopra, la cosa che rende Tokyo speciale non è la città in se... è il fatto di essere in Giappone.
A renderla "diversa" sono i Giapponesi con le loro abitudini.
Evito quindi la descrizione di musei, palazzi, giardini per andare a descrivere le cose che ci hanno colpiti del il modus vivendi giapponese.
Le prima cosa tipica con la quale ci siamo incontrati ed alla quale ci siamo subito uniformati è stato l'uso smodato di bibite energetiche.
Ogni 30 metri (e non sto esagerando) c'è un distributore automatico di bevande, la gente ha costantemente in mano bevande.
Noi ci siamo subito uniformati diventando schiavi del Pokari Sweet... una bevanda energetica fatta con l'acqua ionizzata dal gusto dolciastro... più ne bevi e più hai sete... più ne bevi e più ne compri.
Il tipico giapponese tiene poi, nella mano non occupata dalla bibita energetica, un ombrello... non portatile... un ombrello di quelli grossi.
La guida ci ha chiesto subito se volevamo acquistare uno... noi sprezzanti abbiamo detto di no, dichiarando poi in italiano "Noi veniamo da Cuneo... con sto caldo se piove ci va giusto bene".
Ovviamente due ore dopo, in preda ad un momentaneo diluvio universale, eravamo in un negozio a comprare un ombrello portatile... ovviamente due giorni dopo abbiamo capito che l'ombrello portatile non era abbastanza e ce ne serviva uno grosso.
In tutta Tokyo, giardini imperiali a parte, ci saranno 100 alberi... eppure dove crescono più di cinque fili di erba si sente il vociale delle cicale... all'inizio eravamo in uno spiazzo di fronte ad un grattacielo (2 alberi e 3 metri quadri di erba) e c'era sto rumore pazzesco di cicale... e Vigi a dire "Ma pirla!, sono registrate... che cosa tipica!"... in verità la cosa tipica era che ovunque ci sono le cicale.
In tutta Tokyo, giardini imperiali a parte, ci saranno 100 alberi... eppure non c'è l'aria pesante che si respira nelle città del sud europa... pochissime auto, metà delle quali elettriche od ibride e di cilindrata minimale... tanta gente in bicicletta nonostante la totale assemza di parcheggi dedicati.
Le biciclette vengono parcheggiate in ogni dove senza lucchetti o catene... cosa inconcepibile praticamente in qualunque altro paese.
Anche se la scuola non era iniziata, in giro c'erano molti adolescenti con la divisa scolastica, come nei manga.
A Tokyo i Taxi sono delle riedizioni o restauri di vecchie auto; all'interno i sedili sono foderati con centrini bianchi per fare vedere ai clienti quanto è pulito il taxi ed I taxisti indossano guanti bianchi. I taxi costano pochissimo.


Tutti i lavoratori dei cantieri hanno il casco e la divisa... sembrano gli omini lego... che risate io e Vigi a vederli le prime volte... uguali uguali agli omini lego... sono pure gialli.
Se c'è un cantiere, c'è un omino con lo sfollagente luminoso che si inchina e ti indica dove passare... per fare un lavoro che richiede una persona ce ne sono almeno tre.
Ogni lavoro viene fatto con impegno e passione. Una cosa che mi ha colpito è la spriritualità con la quale lavorano. Mi è sembrato di capire che per loro il lavoro è un metodo di crescita che avviene attraverso la dedizione e l'impegno.
Abbiamo visto donne delle pulizie con faccia serena ed impegnata in ginocchio nei cessi pubblici per pulire dietro al water (i bagni pubblici Giapponesi sono più puliti del bagno di casa nostra, sono numerosissimi e sempre dotati di carta igienica e copritavoletta o spray disinfettante)... abbiamo visto operai dei cantieri pubblici chiedere scusa inchiandosi per la deviazione di mezzo metro che abbiamo dovuto fare per evitare il tombino nel quale lavoravano... abbiamo visto gli addetti agli ascensori inchinarsi ed augurarci buona salita prima che l'ascensore partisse... sono solo esempi... potrei andare avanti per ore... un ultimo esempio: quasi nessuno parla giapponese, ma non perderanno la pazienza e persevereranno con sguardo sereno fino a che non avranno capito cosa vuoi da loro e come possono aiutarti.
I giapponesi non si soffiano il naso in pubblico, preferiscono tirare su col naso producendo spesso trani rumori, rispettano la fila anche per entrare in metropolitana, sui mezzi pubblici stanno in silenzio, non mangiano e non parlano al cellulare.
I giapponesi hanno sviluppato inoltre i superpoteri "La mia fermata" e "Sonnolenza istantanea"... appena si siedono in metro, si addormentano e si svegliano come per magia alla loro fermata.
I giapponesi hanno anche il super-potere "Non patisco il caldo": mentre io e Vigi avevamo le magliette appiccicate alla pelle dal sudore, i giapponesi si muovevano in giacca e cravatta tranquilli e freschi come se fossero stati tirati fuori dal freezer tre secondi prima.
I giapponesi hanno la mania dell'aria condizionata... anche sui pullman che avremmo poi trovato nelle zone montagnose, l'aria condizionata era presente e devastante.
Alle 19.00 la nostra guida si è accomiatata fra mille inchini e sorrisi.
Noi abbiamo giracchiato ancora un po' per le tranquille vie del centro per poi tornare al ryokan.
La sera ci siamo fatti consigliare dalla direttrice del Ryokan una locanda tipica per mangiare gli yakitori.
Ci siamo ritrovati in una di quelle locande che si vedono solo nei manga: piccola e stretta, seduti al bancone con il cuoco che ci preparava il cibo di fronte.
In giappone i ristoranti (quelli per gli autoctoni) sono dedicati ad un solo tipo di piatto.
La locanda in questione cucinava solo yakitori.
Gli yakitori sono sostanzialmente degli spiedini con attaccato di tutto.
In quelli che abbiamo mangiato noi (abbiamo preso uno yakitory a testa per ogni tipo) c'era carne di pollo, di maiale, di vitello, uova di piccoli uccelli non identificati, verduere varie (alcune identificabili, altre no) e fegato.
Come si ordina in Giappone se non si conosce il giapponese?
Ogni menù ha le foto... come i nostri odiosi menù turistici, solo che in Giappone è una cosa normale e non dedicata ai turisti... in alcuni locali ci sono perfino le riproduzioni in plastica dei piatti serviti.
Noi gaurdavamo la foto ed indicavamo quello che a vista sembrava buono... ogni tanto ci andava bene ed ogni tanto no. Quella sera ci andò parecchio bene.
Quando la gente presente ha capito che eravamo italiani... grande festa... la nonnina matriarca della famiglia dei gestiori ci ha fatto degli origami e gli avventori presenti non smettevano più di salutarci e dirci mille cose... cose che noi ovviamente non capivamo, ma che abbiamo deciso di interpretare come benedizioni per le nostre vacanze.
Al ritorno abbiamo incontrato il nostro primo tempietto scintoista con tanto di tipico gatto a guardia.


Tornati dalla cena abbiamo indossato i nostri yukata e ci siamo addormentati per la prima volta su di un futon... incredibilmente comodo ed accogliente.
Il primo giorno in Giappone era passato.

giovedì 1 agosto 2013

In attesa del Gudu's Nippo Experience

Prima di avere un blog qui, sulla piattaforma google, avevo un blog in quei di "Splinder" una vecchia piattaforma che andava per la maggiore intorno agli anni 2000.
Improvvisamente, nel 2011, Splider chiuse i battenti.
Fu così che andarono perduti (dal punto di vista blogghistico) alcuni capitoli della mia vita interessanti.

Perduto il mitico post contro i Romani e la loro cafonaggine che mi procurò centinaia di visite e migliaia di insulti.
Perduti i resoconti della mia gita a Parigi, la mia gita a Vienna ed il tour del Belgio.
Perdute le mie riflessioni musicali, i resoconti degli allenamenti di kung-fu, le mie recensioni a film, siti e molto altro.

Tengo un blog per due motivi:
1) Mi piacere rileggerlo. Mi aiuta a far tornare alla mente immagini, ricordi, profumi.
2) In certi casi (in primis i resoconti dei viaggi) spero di essere utile ai rari lettori che passano di qui recensendo esperienze non sotto il profilo tecnico, ma delle sensazioni.
Ho cominciato a fare questo soprattutto dopo il viaggio in Namibia poichè avevo notato che mille blog elencavano cose da vedere, spiegavano itinerari e davano consigli tecnici; ma nessuno descriveva quello che si provava durante i viaggi, le strane esperienze che si potevano avere e pochi davano consigli pratici sulle piccole cose, informazioni non reperibili nelle guide ufficiali.

Oggi, in vista del mio prossimo viaggio in Giappone, rileggevo qualche pagina del blog e mi sono intristito nel constatare che non fosse descritto quanto sia magico Montmartre alle 7.00 di mattina (per poi trasformarsi in un inferno di turisti dalle 8.00 in poi)... quanto sia divertente andare a Vienna prima da Sacher e poi da Demel per decidere quale sia torta Sucher migliore (per me vinse Sacher)... quanto il cuore salti un battito vedendo Parigi dalla cima del Sacre Coeur o sentendo un duetto voce/violino sotto la torre del palazzo comunale di Vienna... Quando sia incredibile andare in una locanda per autoctoni di Gandes ed ordinare le costolette cotte sul fuoco del camino, quando sia piacevole e rilassante passeggiare la sera nei pressi di Notre Dame e fermarsi ad ogni esibizione di artista di strada.
Finita nel nulla tutta la descrizione della passione, della fatica e dei sacrifici necessari ad ogni cintura di kung-fu che ho conquistato. La determinazione di un Omino 33enne che decise di imparare a sciare e tante altre cose.

Tutti ricordi scritti col fuoco nella mia anima... questa è la cosa davvero importante... però spariti dal mio blog... e non ho intenzione di riscriverli perchè sarebbe... diverso.

Questo è quanto.

Tornerò a scrivere per raccontare il mio viaggio in Giappone alla ricerca degli incredibili contrasti di questa cultura incredibilmente affascinante che ogni giorno si scontra con l'occidentalizzazione creando un ibrido unico e di indubbio interesse.

martedì 21 maggio 2013

The gudu's "Provence" experience

In occasione dei compleanni mio e della Vigi, invece del classico regalo, si è deciso di regalarci una piccola gita in Francia nella Provenza.

Il venerdì sera (5 apriel 2013), dopo il lavoro, siamo partiti in direzione del colle di Tenda.
Superare il colle di Tenda mi da sempre una piacevole sensazione, molto simile a quella che mi danno gli aeroporti... una specie di portale che mi proietta verso le avventure.

Intorno alle 20.00 ci siamo fermati in un piccolo paese subito dopo il confine con la Francia per cenare.
Le zone francesi a ridosso delle valico mi affascinano. Piccoli centro abbarbicati sulle rocce, silenzioni, semideserti... location ideali per film horror, noir, gotici et similia.
Abbiamo gustato una bistecca (io) e del pesce (Vigi) in un piccolo ristorante deserto e poi siamo ripartiti alla volta di un piccolo b&b nei pressi di Toulon prenotato dalla Vigi.
Dopo una notte tranquilla e riposante ci siamo avviati verso "Presu'ile de giens" dove abbiamo passato la mattinata visitanto il centro storico e la famosa lingua di terra in mezzo al mare popolata di svariati tipi di uccelli (in quel periodo però disabitata).
A dire il vero in quella zona non ci sono molte cose da vedere, soprattutto nella stagione primaverile. Penso che il fascino del luogo derivi da quella sensazione di placida desolazione che emana da ogni cosa: vecchie case dai serramenti multicolori, strade deserte, persone silenziose, il mare placido e meno rumoroso del solito ed infine quella lingua di terra che si estende verso il mare come un'estrema emanazione di questi silenzi.
Per un amante come me dei luoghi desolati e silenziosi è stata una tappa che ha riscosso un certo successo.
E' stato inoltre estremamente rilassante osservare il panorama dalla cima delle collina, passeggiare per mano con la Vigi per le vie ed i parchetti deserti e poi sulla riva del mare non ancora riecheggiante dei versi degli uccelli.
Il tempo non era nostro amico, nubi basse si addensavano e diradavano senza mai dare troppo spazio al sole. Insomma, tutto concorreva a creare quell'atmosfera lugubre simil-gotica che io ho trovato cosi piacevolmente pittoresca e rilassante.
Per pranzo abbiamo raggiunto Toulon dove abbiamo pranzato in una vineria accompagnando ottimi piatti ad ottimo vino (nostro fedele compagno in tutti i pasti del viaggio).
Siamo usciti parecchio alticci dalla vineria ed abbiamo passeggiato per la cittadina.
Una volta ripresi dall'ebrezza (aiutati anche dall'abbondante pioggia), abbiamo raggiunto Marseille.

Marseille sarebbe un luogo piacevole da visitare se non fosse sporca, mal abitata ed in stato manutentivo pessimo.
Siamo arrivati in centro sotto una pioggia scrosciante.
Poche persone camminavano sfrezate dala pioggia e sembrava di essere in una versione francese di Blade Runner.
Raggiungendo il parcheggio sotterraneo ho adocchiato in lontananza una cattedrale gotica bellissima, ma la pioggia ci ha scoraggiati a rintracciarla.
Nel parcheggio sotterraneo piccoli autoparlanti emettevano cinguettii di uccelli, cosa che ha ulterirmente aumentato la mia sensazione di Citta post-apocalittica decadente.
Sotto una noiosa e fredda pioggia ci siamo mossi all'interno del famoso "Panier" ovvero il centro storico.
Il centro storico era paragonabile a qualsiasi centro storico, solo molto più sporco.
Abbiamo raggiunto in fretta il b&b per scoprire che non c'era nessuno.
Un po' di telefonate e siamo riusciti a parlare ad uno dei gestori ci ha chiesto di attendere una mezzoretta o poco più.
Dopo aver visitato la struttura museo di archeologia mediterranea, alle 17.30 precise il museo ha chiuso i battenti ed anche tutti i chioschi. Ci così siamo chiusi in un infimo bar a bere tisane.
All'arrivo del gestore del b&b abbiamo capito cosa era successo: si erano sbagliati nelle prenotazioni.
La nostra camera non era disponibile, ma il gestore mortificato si è fatto perdonare offrendoci allo stesso prezzo la suite all'ultimo piano... botta di culo!
La suite aveva un arredamento bislacco, ma piacevole ed un'ottima vista dal terrazzo.
La sera abbiamo preferito non allontanrci troppo perchè la zona sembrava davvero pericolosa (emblematica la scritta sul muro della piazza del museo: "Touristes rentrer à la maison") così siamo finiti in una piccola ed anche un po' puzzolente vineria dove però il vino era ottimo.
A causa delle nostre ridotte capacità linguistiche, dopo un tagliere di salumi e formaggi, mi sono ritrovato nel piatto una salsiccia fatta con le frattaglie... una prelibatezza per i locali... una cosa immangiabile per me... ci ho provato, ma ho rinunciato dopo il primo conato di vomito.
Tornando a casa, ci siamo fermati nel classico 24h market pakistano dove ho comprato delle merendine e della frutta ed ho così tamponato il buco nello stomaco... aiutato dell'ottimo vino bevuto nella vineria.
Ci siamo addormentati ebbri e divertiti.

A parte l'enorme cappella dei gestori, se si  deve sostare a Marseille, consiglierei a chiunque di sostare nel sopracitato b&b che si chiama "Au vieux panier".
Lo stabile è interessante, le camere pulite ed arredate con stile pittoresco e la colazione è fantastica.
La mattina successiva abbiamo completato il giro della cittadina visitando il vecchio porto e vedendo dall'esterno "Notre dame de la garde" che è davvero una splendida struttura ed il forte che è davvero imponente.
Dopo la piccola passeggiata abbiamo ripreso l'auto e ci siamo diretti ad "Aix en Provence", ridente cittadina dal centro storico interessante e famosa per le fontane di muffa.
Si tratta sostanzialmente di getti d'acqua attorno ai quali hanno lasciato crescere costantemente la muffa fino a che si sono create vere e proprie statue di muffa.
Il sole ci è stato amico ed il giro è stato molto piacevole e rilassante.
Vesitando questa cittadina ho capito ancora una volta che noi italiani siamo dei coglioni.
"Aix en Provence" è una cittadina carina resa molto attrattiva e piacevole dall'organizzazione e dalla capacità francese di enfatizzarne le bellezze e particolarità. In Italia c'è una cittadina così ogni 20 Km.
Ad "Aix en Provence", praticamente tutti i cittadini vivono sul turismo... ristoranti, bar, negozi, guide turistiche, servizi vari.
Se sapessimo gestire il nostro patrimonio non avremmo bisogno di ammazzarci di lavoro nelle fabbriche e di inquinare ed inquinarci con l'industrializzazione selvaggia.
Non ho mai sentito un politico parlare seriamente di turismo in Italia... potremmo vivere... vivere molto agiati... solo basandoci sul turismo. Bhaaaaa... fine della digressione.
In questa piacevole ed organizzata cittadina abbiamo fatto un ottimo pranzo, ovviamente abbondantemente innaffiato da ottimi vini.
Nel pomeriggio, dopo un'ennesima passeggiata per il "recupero alcolico", ci siamo diretti verso Avignone.

Avignone è impressionante. Immensa ed imponente potrebbe rivaleggiare senza problemi con le finte città-fortezze del film "Il signore degli anelli".
La città è un misto fra un forte ed un castello. Le mura chiare, altissime e spessissime si ergono a fianco del fiume e sembra quasi che ne controllino lo scorrere con la loro energia.
Dopo aver posato i bagagli nel nostro b&b (di cui parlerò più avanti), siamo andati a visitare le città.
La sensazione data dall'esterno di amplifica all'interno.
Le vie strette e le architetture interne, anch'esse alte e maestose, danno un senso di forza, ma anche di oppressione.
Tutta l'architettura e la mappa della cittadella sembrano voler indicare la sottomissione della città e dell'ambiente sottostante al palazzo papale che è l'unica struttura ad aprirsi su una grossa piazza sopraelevata su più livelli baciata dal sole per tutto il giorno in tutte le stagioni.
Al palazzo si accede dall'immenso portale che da direttamente sulla piazza.
Il palazzo è bellissimo... spazi immensi, giochi di luce ed architetture molto lontane dal gotico francese a cui ero abituato.
Dopo il palazzo abbiamo visitato il famoso "Pon't d'Avignon" che è stato un po' deludente rispetto al resto e poi abbiamo fatto un piccolo giro della cittadella.
Sono rimasto negativamente stupito dalla "teppa" (termine piemontese per dire "gente poco raccomandabile" od anche gentaglia) omnipresente ed anche dalla sporcizia.
La cittadella è molto affascinante e godibile, ma sporcizia umana e di oggetti hanno rovinato un po' il nostro giro ed il nostro godimento.
Intorno alle 18.00 siamo rientrati al b&b.
La Vigi, che ha un fiuto quasi sovrannaturale per alberghi, b&b e ristoranti, aveva prenotato a "Le saisons": un bellissimo b&b all'interno di un palazzo storico nella vicina "Villeneuve Lez Avignon".
In quel b&b tutto "faceva atmosfera" a partire dal proprietario dallo strano modo di fare, l'accozzaglia di mobiglio d'epoca disposto quasi a casaccio, il silenzio del luogo, le camere ed anche la stessa cittadina squisitamente medievale.
Dopo un breve riposino siamo usciti in cerca di un luogo in cui cenare.
Grazie al fiuto della Vigi, abbiamo trovato una vineria frequentata per lo più dai locali con ottimi piatti e superbi vini.
Inutile dire che siamo tornati anche questa volta in camera ubriachi.

La mattina successiva abbiamo visitato quella che io ho battezzato "La barolo francese".
Un piccolo paese nel quale ad ogni angolo c'è l'atelier di un produttore in cui assaggiare ed acquistare vini.
Dopo una breve visita al castello diroccato ed al centro storico, intorno alle 10.30 del mattino, abbiamo cominciato gli assaggi.
A dirla tutta non abbiamo fatto troppe fermate... ad essere sinceri solo una. Dopo aver infilato il naso dentro tutti gli ateliers, abbiamo seguito l'ispirazione della Vigi ed abbiamo scelto un produttore che ci ha accolti nel piccolo atelier ricavato in uno scantinato e ci ha fatto assaggiare innumerevoli vini.
Dopo aver molto bevuto ed acquistato due bottiglie di ottimo "Chateauneuf du pape" ci siamo messi sulla via del ritorno.
La pausa pranzo l'abbiamo affettuata in una cittadina a caso all'interno di una birreria in stile simil-bavarese.

Alla sera eravamo di nuovo sulla cima del Colle di Tenda dove abbiamo trovato la neve.
Abbiamo messo piede in casa stanchi e felici intorno alle 22.00.

E' stata una piacevolissima e rilassante gita.
Ho bevuto come raramente ho fatto... sono praticamente stato ebbro pre tre giorni di fila... e la cosa mi è piaciuta.
I vini locali sono ottimi... mi spiace dirlo, ma tengono il confronto con i vini delle langhe... anche se devo specificare che i vini delle langhe variano molto nei gusti e nei profumi, mentre i vini provenzali sono tutti molto simili fra loro.
E' stata una bella avventura on the road con la Vigi dove ho potuto visitare una parte di Francia che non conoscevo. Anche questa volta sono diventato un po' più ricco.

giovedì 16 maggio 2013

The enlarged gudu's Tanzanian experience - Parte 6

E così giunse il momento del ritorno a casa.
Per me è sempre un momento denso di sentimenti e sensazioni.
C'è la tristezza per la fine della vacanza e contemporaneamente il piacere di ritornare a casa ed il pensiero allettante del raccontare il viaggio ai conoscenti ed ai parenti.
La fine di ogni viaggio è il momento in cui mi sento maggiormente "avventuriero"... è come se il mio subcosncio dicesse "Adesso che hai visto tutto, sei più maturo e più navigato" ed in effetti è così perchè ogni viaggio che ho fatto mi ha reso immensamente più ricco e grande dentro.
Il primo giorno di ritorno verso la capitale abbiamo seguito a ritroso la strada fatta all'andata con tanto di gamedrive al parco Mikumi e sosta serale nello stesso campo tendato in cui sostammo all'andata, per intenderci il campo della terribile tedescona "Bruttilde".
Il viaggio fino al Mikumi è stato silenzioso e pieno di sguardi malinconici rivolti alle bellezze attorno a noi ed a quell'atmsfera di placida quiete che io ho trovato fin'ora solo in Africa.
Una piccola fermata in un villaggio per comprare qualche souvenir ed una sosta per il pranzo sono stati gli unici momenti all'esterno del fuoristrada.
Appena possibile abbiamo imboccato la lughissima strada asfaltata che attraversa l'Africa di cui ho accennato nei capitoli precedenti e che descriverò meglio più avanti; la strada ci ha portati fino al Mikumi. Dopo una lenta e rilassante cena al campo tendato con i bush baby che ci guardavano curiosi (e golosi) e Bruttilde che ci guardava di traverso ) forse per i terribili commenti lasciati nella scheda di valutazione all'andata), ce ne siamo andati a dormire esausti.
Il giorno dopo eravamo di nuovo sulla lunga strada asfaltata.
Questa volta non avremmo preso le bellissime strade di montagna, ma avremmo proseguito sull'asfalto fino alla capitale.
Su questa strada ho visto l'Africa che non mi piace... certo pittoresca, ma non bella.
La strada si inerpica sulle montagne con pendenze pazzesche.
Sulla strada poche auto, molti autobus, moltissimi camion e nelle vicinanze dei centri abitati sciami di motociclette cinesi di piccola cilindrata.
Gli autobus sono proprio come se li potrebbe immaginare uno scrittore di romanzi d'avventura tipo Clive Cussler: vecchissimi, arrugginiti, privi di porte e finestrini e zeppi di persone... persone sedute, persone in piedi, persone sul tettuccio, persone appese a penzoloni dai finestrini.
I camion erano di ogni tipo: c'erano i giganteschi modelli americani con enormi rimorchi sui quali sostavano spesso persone che si facevano dare un passaggio, poi c'erano i modelli europei meno mestosi ed anche piccoli camioncini strapieni di materiali, animali, persone.
Camion ed autobus faticavano nelle salite fumando penosamente dallo scappamento e spesso anche da motore; ai lati della strada ogni 20-30 Km si trovavano mezzi in panne con il motore fumante od addirittura in fiamme. Due rami d'albero fungevano da "triangolo" ed ai fianchi di questi mezzi gli autisti fissavano il loro camion con sguardo vuoto che non tradiva altra intenzione se non aspettare.
Quando la cosa accadeva agli autobus, tutto attorno al mezzo buona parte della gente si accampava in attesa di non so cosa, mentre alcuni cercavano di farsi dare dei passaggi o di saltare sui rimorchi degli altri camio che passavano lentissimi.
In discesa i camion si muovevano lenti sfruttando il freno motore mentre gli autobus sfrecciavano a valocità spropositate.
Più a lato della carreggiata si trovavano camion, autobus ed automobili ribaltati, bruciati, ridotti a scatolette informi... gurdanto autobus reduci di incidenti sicuramente pazzeschi mi chiedevo quanta gente morisse ad ogni scontro calcolando anche come erano sistemati su questi mezzi.
Spesso c'erano piazzole dove piccoli gruppi di persone vendevano carbone, frutta e qualche volta oggetti. Ai lati della strada sorgevano vari centri abitati, affacciati sull'asfalto, composti da capanne di lamiera e pietra.
Ci siamo fermati per andare in bagno in una specie di autogrill.
Un piazzale pieno di camion ed autobus (turistici e locali) con un fatiscente bar e dei bagni che mi hanno fatto rimpiangere i water all'aperto.
I locali avevano facce e sguardi torvi che solo a guardarli gli aversti dato il portafogli ed anche un rene senza fare storie. La fermata è stata ovviamente molto breve.
Una pausa simile l'avevamo già fatta per pranzo il giorno precedente, appena saliti sulla strada. Quella volta nel parcheggio c'era un grosso mercato di verdura e frutta locale. Il locale era peggio dei "peggiori bar de Caracas" visti nella pubblicità del rhum... con tanto di pista da ballo/incontri clandestini degna dei peggiori film di Jean claude Vandamme.
Per il pranzo del secondo giorno di viaggio, su specifica richiesta nostra, abbiamo abbandonato la strada principale imboccando per qualche chilometro la cosiddetta vecchia strada e fermandoci in un piccolo villaggio. L'atmosfera era un po' migliore ma sempre molto tesa. Anche in questo caso la pausa è stata breve.
Nel pomeriggio abbiamo raggiunto la capitale e siamo stati portati in un mega centro per lo shopping turistico per passare il tempo ed acquistare gli ultimi souvenir.
Io ho fatto scorta di roibos ed insieme alla Virgi abbiamo acquistato alcuni oggetti per la casa.
Alle 17.00 eravamo già in aereoporto.
C'erano due ore di attesa prima dell'imbarco.
Abbiamo salutato Bilali lasciandogli una cospicua mancia e poi ci siamo messi a giocare a Munkin fino a che non è venuta l'ora dell'imbarco.
Arrivati al gate abbiamo scoperto che c'era un ritardo nella partenza.
Nuci e Feddy hanno erano parecchio sclerati per il ritardo, mentre io mi sono coricato sulle sedie per l'attesa e mi sono appisolato.
Alla fine ci siamo imbarcati con quasi un'ora di ritardo.
Una volta accomodati sull'aereo mi sono subito appisolato per poi svegliarmi a causa di una tempesta su Nairobi. A Nairobi l'aereo si è riempito e poco dopo la partenza hanno servito la solita terribile cena, fra gli sballonzolii della tempesta.
Durante il volo mi sono guardato "Candidato a sorpresa" ed ho tentato di guardare qualcos'altro, ma poi mi sono addormentato.
Nonostante il ritardo, siamo arrivati a Zurigo in tempo per prendere l'aereo che ci avrebbe portati a Milano. Sull'aereo del ritorno c'eravamo solo noi, una giovane famiglia ed una ragazza che si era dimenticata del cambio di clima ed era vestita solo di vestitino quasi trasparente bianco e sandali.
Inutile dire che all'arrivo a Malpensa, nel trasferimento sul pullman, ha sofferto "un po'" il freddo.
Alle 11.30 del 1 gennaio 2013 eravamo già sulle strade del cuneese. Le strade deserte tipiche della mattina del primo dell'anno... quell'atmosfera surreale e placida che sotto certi aspetti mi ricordava certe atmosfere africane.
Anche questo viaggio era finito.
Avevamo visto un'altro tipo di Africa rispetto alla Namibia, altrettanto affascinante.
Avevamo visto e vissuto infinite cose speciali.
E' stato un viaggio bellissimo.
Sono tristemente conscio della trasformazione continua dell'Africa... trasformazione purtroppo peggiorativa dovuta all'invasione prima occidentale ed ora orientale... un popolo che sta perdendo le proprie bellezze e le proprie poche certezze e le proprie peculiarità.
Sono felice di aver visto una Tanzania ancora per la maggior parte selvaggia... affascinante e magica nella sua ancestralità. Lontana dai parchi del Nord pieni di turisti e di "Occidentalità"
Una nota positiva per i miei compagni di viaggio che hanno reso il viaggio ancora più speciale.

Spero di tornare al più presto in Africa. Vorrei vedere il delta dell'Okawango quando arriva l'acqua dopo la stagione secca, scalare il Kilimangiaro, sostare in riva al lago Malawi e meditare nel Kalahari... e poi vorrei tornara in Namibia... lo stato che mi ha portato via il cuore.

giovedì 2 maggio 2013

The enlarged gudu's Tanzanian experience - Parte 5

In questa quinta parte dell'Enlarged Gudu's Tanzanian Experience cercherò di descrivere i giorni passati al "Ruaha National Park"; uso la parola "provo" ben sapendo che è impossibile descrivere davvero le sensazioni e le emozioni che si provano in questi luoghi... per capire davvero bisogna provare.

Durante i tre giorni passati in questo parco il programma è stato pressochè sempre lo stesso:
1) Colazione
2) Safari fotografico
3) Pranzo
4) Safari fotografico
5) Cena
6) Dopocena
7) Riposo notturno

Può sembrare un programma monotono se non fosse che ogni giorno è diverso in Africa pur restando tutto uguale.
Ogni cielo mattutino è nuovo come ogni cielo stellato, ogni panorama è nuovo, ogni animale è diverso dal precedente, ogni paesaggio lascia senza fiato.

Al mattino ci si svegliava rilassati e riposati... non c'erano orari precisi da seguire, non sentivamo lo "stress dell'orologio", non eravamo schiavi di Chronos... eppure i cicli della natura ci portavano ad essere molto regolari nei nostri orari... la regolarità senza lo stress.
Al mattino ci si svegliara rilassati e riposati... dall'esterno della tenda si sentivano migliaia di uccelli cantare e la luce filtrava nella tenda.
Al mattino ci si svegliara rilassati e riposati... amavo aprire la zip della tenda ed essere innondato di sole, profumi, rumori... innondato di vita d'Africa.
Al mattino ci si svegliara rilassati e riposati... uscivo all'esterno e lasciavo che il sole mi scaldasse il viso tenendo gli occhi chiusi ed assaporando ogni cosa percepibile dei miei sensi.
Dopo esserci lavati e vestiti, ci si trovava davanti alla tenda di Mello e poi si andava alla tenda comune per fare colazione.
La colazione era per me all'italiana e per tutti gli altri del gruppo continentale.
Dopo colazione si partiva per il safari fotografico.
In questo parco abbiamo visto molto animali difficili da avvistare perchè rari o notturni come ad esempio il gatto selvatico e l'otocione, ma l'incontro più sensazionale fu con un leopardo che aveva appena finito di cacciare.
 
Era il secondo giorno e Bilali ricevette via radio l'annuncio di un avvistamento di leopardo.
Il lento incedere del fuoristrada si trasformo in una corsa sfrenata (per quando possibile un una zona foreste ed altipiani) verso il luogo dell'avvistamento.
Arrivati sul posto, dopo pochissimo minuti, individuammo il leopardo che si muoveva nel sottobosco.
Quando il leopardo si fermò sotto ad un cespuglio, spegnemmo il fuoristrada e rimanemmo in attesa.

Noi non ne eravamo coscienti, ma ci eravamo fermati proprio sopra la su preda: un cucciolo di facocero appena ucciso e probabilmente abbandonato sul posto al nostro arrivo.
Rimanemmo immobili per non so quanti minuti, poi il felino comincio a muoversi verso di noi.
Macchine fotografiche, videocamere e binocolo erano puntati sulla bestia che continuava ad avvicinarsi.
Passo di fianco alla macchina letteralmente appoggiandosi alla portiera del guidatore.
Noi chiudemmo i finestrini rapidamente, ma non potevamo chiudere rapidamente il tettino e così ci limitammo e rientrare nell'abitacolo sperando in bene.
Il leopardo si muoveva molto lentamente.
In un momento di coraggio, decisi di uscire dal tettino per riprendere il suo incedere.
Mi sporsi con tutto il corpo al di fuori della sagoma del fuoristrada ritrovandomi a non più di un metro e mezzo dalla faccia del leopardo.
L'animale vendomi si fermò per qualche istante, probabilmente per calcolare se era il caso di attaccare. Io rimasi immobile con la videocamera puntata sui suoi occhi selvaggi.
Improvvisamente, con un movimento fulmineo, il leopardo afferrò la preda sotto al fuoristrada e si distanzio di un paio di metri da noi prima di girarsi indietro e controllare eventuali nostre reazioni.
Dopo aver verificato la nostra inoffensività, si nascose rapido nel sottobosto.

Fu un'emozione grandissima: eccitazione mista a paura mista ad ammirazione.
Innanzitutto il lepardo è uno degli animali più affascinanti che avessi mai visto. Quegli occhi selvaggi, attenti come quelli di pistoleri dei film western, profondi come il profondo.
Ogni fattezza del corpo e del muso sembravano creati per dare l'impressione di un combattente pericoloso e selvaggio.
Trovarsi a pochi centimetri da uno dei pochi animali che uccidono per sfizio e non solo per necessità (siamo in pochi: anaconda, leopardo, uomo e pochi altri) senza protezioni e senza filtri... è stata un'emozione grande... e mi sono anche discretamente cagato addosso dalla paura.
La scena del cacciatore stanco con la propria preda è una delle più emozionanti fra quelle osservabili in Tanzania,  in questo coso è stata rovinata dal fatto che noi avevamo disturbato con la nostra presenza la naturale essenza del momento, ma è stata lo stesso emozionantissima.
Rimanemmo ancora molto tempo fermi a scrutare i cespugli... fino a che il lepardo decise di andarsene seminandoci rapidamente.
Oltre a questi animali più difficili da vedere, collezionammo in quei giorni un numero incredibile di avvistamenti.
Interi gruppi di elefanti, bufali, zebre, giraffe ed altri erbivori.
Affreschi spettacolari creati da bellissimi esemplari immersi in paesaggi incredibili.
 




Un'altra scena che mi colpì molto fu assistere alla reazione degli animali all'arrivo in zona di un predatore.
Bilali fu avvisato di un avvistamento di ghepardo vicino a dove eravamo. Arrivammo sul posto in pochi minuti.
Eravamo passati di li non più di 5 minuti prima e l'amosfera era competamente cambiata.
L'aria era carica di tensione: le scimmie dai rami degli alberi urlavano come pazze, gli erbivori erano spariti dalla zona ed si potevan vedere in lontananza immobili con lo sguardo fisso verso il punto da cui provenivano le urla scimmiesce.
Qualche minuto d'attesa ed è apparso un ghepardo femmina.
Mi sono chiesto come riuscivano a cacciare i predatori se era presente ovunque un "sistema anti-predatore" funzionale come quello che stavo vedendo.
Non ho avuto risposta alla mia domanda perchè il ghepardo, disturbato dalla nostra presenza, si limitò a passare davanti al nostro fuoristrada ed a sparire nella sterpaglia.
Bellissime immagini scolpite nel mio cuore sono quelle dominate dagli enormi ed omnipresenti baobab... alberi che sembrano emanare un'aura di pacata saggezza... come se fossero i messaggeri delle leggi universali della natura. Molto avrei da scrivere sui baobab... forse un giorno gli dedicherò un'apposito post.

Al contrario che al parco del Selous, siamo sempre tornati al campo per il pranzo. Dopo molti giorni passati sempre sul fuoristrada con pranzo al sacco, abbiamo sentito il bisogno di pranzare seduti tranquilli ad un tavolo con annesso riposo post-prandiale.
A pranzo non tutti i viaggiatori erano presenti, mentre per la cena c'erano tutti.
Alle 19.00, sotto scorta dei guerrieri masai, raggiungevamo lo spiazzo del falo e ci si sedeva intorno al fuoco per gustare l'ormai classico gin-tonic.
L'aperitivo serale era sempre una cosa speciale. Ci si sedeva stanchi attorno al fuoco, unica fonte di luce nel mezzo della natura, si gustava il gin-tonic e si chiacchierava sotto voce.
Sullo sfondo delle conversazioni i rumori, i colori ed i profumi dell'Africa. Si arrivava a cena stanchi per la giornata e contemporaneamente eccitati dalle cose viste.
Si stava bene, davvero bene... ed in armonia... senza bisogno di fare nulla... semplicemente gustando un gin-tonic, fissando il fuoco e chiacchierando un po'... il buoio ad avvolgerci come una coperta ed i suoni notturni a cullarci.
Quelli erano i momenti in cui massimamente riflettevo sulla mia teoria di vita: "Siamo troppi"... facciamo guerre, cose atroci, inquiniamo, siamo infelici perchè non ci realizziamo... perchè?
Semplicemente perchè siamo troppi... non c'è più spazio, non ci sono più risorse per tutti... siamo costretti a lottare per ogni cosa: per il cibo, per un metro quadro si spazio in più... siamo troppi.
Li, nel mezzo del nulla, 20 persone nel raggio di 400 Km... mi sentivo così sereno e rilassato... senza la presenza costante di esseri umani ovunque... con spazi immensi a disposizione.
Diventava piacevole il ritrovarsi con altre persone attorno al falò.
Nel giro di un'ora al massimo ci si spostava tutti sotto al tendone per la cena.
L'atmosfera si faceva più fracassona... per modo di dire... nulla di nemmeno lontanamente paragonabile al normale chiasso di una media cena in famiglia all'italiana... semplicemente il tono di voce si alzava un po' ed i toni di voce erano più vivaci.
L'aperitivo era più contemplativo, mentre la cena diventava il momento in cui ci si scambiavano informazioni sulle cose viste, i viaggi fatti, i luoghi di provenienza.
In particolare io parlai il più possibile con il gestore del lodge in quanto uno dei miei sogni più grandi è aprire un lodge in Namibia ed ho fatto parecchie domande per capire da dove iniziare e capire anche com'è davvero vivere tutto l'anno in un lodge.
Dopo cena la maggiorparte delle persone tornava alle tende e gli altri tornavano intorno ai falò.
L'ultima sera di permanenza a cena ci lamenteammo di non essere riusciti a vedere le iene (che tutte le notti visitavano il campo, ma non erano mai passate nei pressi nelle nostre tre tende); sentendo il nostro discorso, il proprietario ci propose un piccolo giro notturno per cercare di vederle.
La proposta giunse sottovoce poichè era dedicata solo al nostro gruppo.
Fu così che in silenzio aspettammo vicino al falò che tutti fossero andati a dormire e poi seguimmo in silenzio il gestore.
Ci inoltrammo in piena notte, protetti solo da due guerrieri masai, fra gli alberi.
Solo una piccola torcia ci faceva da guida.
Si camminava lentamente e cercando di fare meno rumore possibile.
Il buoi incombeva su di noi, i rumori erano più forti e più vicini.
Ero molto eccitato, mi sentivo un vero esploratore... era come entrare in un film di avventura in stile anni '80 tipo "Indiana Jhones" od "Alla circerca della pietra verde".
Fu un giro davvero emozionante, anche se delle iene nemmeno l'ombra.
Visitarono il campo a notte fonda... alcuni sentirono i loro richiami... io manco quello.
I giorni passarono rapidi, felici e sereni al Ruaha.
Un'esperienza indimenticabile che mi ha reso, anche questa volta, più ricco.
Ci tengo a tessere, ancora una volta, le lodi alla gestione del "Mdonya Old River Camp": gentilezza, organizzazione, disponibilità... sensazione di essere costantemente i ben venuti.
Massimo rispetto per la natura nella gestione del campo e capacità di fare apprezzare il rigore di un campo tendato anche ai più schizzinosi.

I giorni erano passati rapidi ed era venuto il momento di tornare a Dal Es Salaam.