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venerdì 24 aprile 2015

THE GUDU'S BHUTANESE EXPERIENCE PART 3 - PUNAKHA

Il secondo giorno ci  svegliammo di buon'ora poichè ci aspettava un lungo viaggio.
Avremmo dovuto valicare le montagne ad Est di Thimpu per raggiungere Punakha passando per il  passo di Dochu-La a 3200 metri di altitudine.
Io le Vigi eravamo molto eccitati in quanto avremmo posizionato in punta al passo le nostre personali bandiere di preghiera.
Dopo aver fatto colazione e comprato le bandiere, saltammo in auto e partimmo alla volta del passo.

Mentre ci allontanavamo da Thimpu per le strette strade che si aggrappavano alle montagna, osservai la statua gigante di Buddha a lungo, fino a che non fu più visibile.
Era sempre là a vegliare sulla città con i suoi occhi magici e la sua energia sovrannaturale, circondata dalle bandiere di preghiera mosse dal vento.

Arrivammo velocemente al passo di Dochu-La.
Fino a quel punto il panorama era stato modesto a causa del percorso che seguiva la strada ed a causa della fitta vegetazione che letteralmente aggrediva la strada.
In cima al passo c'era uno Stupa, un tempio ed una locanda (che più avanti avrebbe avuto una parte nella nostra storia).
C'era poca gente in giro, solo una famiglia di indiani in vacanza e qualche locale che si era fermato per riposarsi nella locanda.
Scendemmo dall'auto e seguimmo la guida, che si arrampicò verso la punta del valico, senza guardarci intorno.
L'aria era frizzante, ma non fredda e "sapeva di pulito", non saprei descriverla diversamente.
Arrivati sul cucuzzolo della montagna trovammo una mucca al pascolo ed una miriade di bandiere di preghiera legate a pali, alberi, pietre, ovunque ci fosse un'appiglio.
Cominciammo a posizionare anche le nostre quando ci accorgemmo che avevamo lasciato la biro (per scrivere le dediche) in auto.
Mi voltai per tornare sui miei passi ed andarla a prendere e rimasi a bocca aperta. Di fronte a me si era manifestato un panorama mozzafiato.
Mozzafiato è dire poco: le altre cime attorno a noi svettavano verso il cielo uscendo dalla nuvole, il bianco delle loro cime contrastava con l'azzurro del cielo come in un quadro.
Fra le montagne si apriva una valle immensa completamente ricoperta da vegetazione lussureggiante... e di nuovo il contrasto del verde con il bianco delle cime creava un senso surreale.
Corsi a prendere la biro e poi scrivemmo le nostre dediche sulle bandiere. Mi piace pensare che ancora adesso le nostre bandiere sono là, a spargere preghiere sulla valle ed a testimoniare il nostro passaggio... piccoli e fuggevoli esseri in mezzo alla grandezza ed alla durevolezza della Natura.




Non ci fermammo alla locanda in quanto la situazione delle strade nel Bhutan era molto particolare in quel periodo.
Le strade erano sterrate, strette e fangose e lo stato stava cercando di migliorarle con lavori che duravano da anni.
Il risultato era che le strade erano chiuse per la maggior parte del tempo tranne per due corridoi di circa due ore cadauno che venivano aperti uno alla mattina ed al pomeriggio; quindi non si poteva perdere tempo, bisognava arrivare ai "Punti di blocco" negli orari stabiliti.
La strada verso Punakha fu una grande avventura.
C'erano alcune strettoie fangose a strapiombo su gole profonde.
Poteva passare solo un'auto per volta. Le persone che erano appena passate, scendevano dalle auto e spingevano sull'auto che stava superando la strettoia per evitare che cadesse nella gola.
Le macchine non erano molte, ma ci volevano anche 20 minuti per il passaggio di ogni macchina; così si era creata una lunga coda.
Le auto erano quasi tutte piccolissime utilitarie della Tata (casa automobilistica indiana) stracariche di cose e persone; le guardavo e mi chiedevo come avessero fatto ad inerpicarsi nel fango fino a li.
Notai che le auto avevano gli specchietti, i cruscotti ed a volte perfino gli specchietti pieni di talismani, sciarpe di benedizione.
C'erano anche alcuni camion, tutti curiosamente dipinti con svariati motivi, unica cosa in comune gli occhi disegnati nella parte anteriore.
La gente, molto lontana dalla frenesia occidentale, ne approfittava per scendere delle auto e chiacchierare con gli altri, giocare a carte o addirittura farsi un the su di un fuoco improvvisato.
Il fango era davvero alto e presente ovunque, così preferimmo non scendere... anche perché avevamo i vestiti dimezzati (valigia persa dalla Turkish Airline) e sarebbe stato un problema sporcarli con troppo fango... un vero peccato.
Quando tocco a noi passare per la strettoia peggiore, il fuoristrada cominciò a scivolare verso il dirupo; fortunatamente una decina di persone cominciò a spingere con forza... erano almeno dieci e sudavano per lo sforzo scivolando nel fango.
Dopo qualche minuto il fuoristrada superò la strettoia e noi ripartimmo verso la nostra meta.

Arrivammo nei pressi di Punakha all'ora di pranzo.
Eravamo solo a 1300 metri di altitudine e faceva un caldo pazzesco, sembrava tarda primavera in Italia.
Dopo una breve sosta per un pranzo in una locanda locale deserta, raggiungemmo il Punakha Dzong.
Il Punakha Zong lo avevo già visto in molte foto, è uno degli edifici più famosi del Bhutan.
Il fatto è che nessuna foto è in grado di rendere l'idea di quanto sia immenso.
Se ne sta li a fare da divisorio nel mezzo fra due fiumi; maestoso come una montagna, ma perfettamente integrato con la natura intorno.
E' difficile spiegare le sensazioni che si provano in questi luoghi perché sono molto intime e sono troppo delicate, fuggevoli ed al contempo intense da poter essere espresse con le parole... forse un grande poeta potrebbe, o forse un grande poeta riterrebbe opportuno rimanere in silenzio a guardare come facemmo noi.




In quei giorni si celebrava nel tempio una festa che accadeva solo ogni 65 anni.
Una festa importantissima per i bhutanesi, ma non citata in nessuna guida ed in nessun sito di viaggi.
Erano presenti anche il re e la regina.
Accedemmo allo spazio sacro della festa dal lato degli "infedeli" (per quel giorno solo i bhutanesi potevano passare per l'immenso ponte levatoio) e rimanemmo subito a bocca ed orecchie aperti.
Era stata allestita una specie di torre sacra temporanea attorno alla quale i fedeli camminavano in senso orario pregando e lasciando offerte di ogni tipo.
Su di un lato c'erano almeno centocinquanta monaci buddhisti che pregavano emettendo quei fortissimi suoni gutturali che fino ad ora avevo visto solo in TV.
L'atmosfera era di una sacralità indescrivibile.
Girammo intorno alla torre e pregammo con i bhutanesi. Facemmo offerte e poi pregammo ancora.
quando fummo stanchi, ma non sazi di quell'energia pazzesca, ci sedemmo sull'erba profumata a guardandoci intorno.
Le preghiere (o canti? non saprei come definirli... forse il termine giusto è canti sacri) accompagnati dal suono di enormi tamburi, riempivano l'aria di energia.
Io fissavo quasi intontito la gente che mi passava di fianco mentre la Vigi faceva mille foto.








Dopo un'ora circa siamo entrati all'interno del tempio ed abbiamo visitato tutte le sale.
Per raggiungere alcune sale bisognava salire ripidissime scale in legno, così ripide da costringere l'avventore praticamente a salire carponi.
A quel punto io ero un dichiarato buddista (cosa che volevo fare da un po') e fu a quel punto che la guida ci insegnò dettagliatamente le tradizioni buddiste facendo riferimento agli arazzi appesi alle pareti del tempio.
Era come essere in un altro tempo ed in un altro mondo: il maestro nel tempio che spiega agli allievi facendo riferimento ai dipinti presenti.
Fu un'emozione grande come anche la fase in cui ci bagnammo la testa con l'acqua sacra offerta dal monaco per poi berla. Nota tecnica: è "aromatizzata" alla canfora, meglio non berne troppa.








Raggiungemmo  il resort in mezzo ai boschi che era l'imbrunire.
La guida ci lasciò per raggiungere un'altro resort, ma ci consigliò di visitare un piccolo monastero per sole sacerdotesse nelle vicinanza.
Arrivammo al tempio, dopo una breve camminata nei boschi, che era l'ora di chiusura, ma riuscimmo a convincere il guardiano a farci entrare.
Il tempio era un'oasi di pace in mezzo al bosco. Non aveva nulla di architettonicamente speciale o di appariscente, era la sua stessa esistenza e la sua stessa energia a renderlo interessante.
Incontrammo una sacerdotessa che ci invitò nella sala principale per cantare con le altre sacerdotesse... noi però fummo timidi e rimanemmo fuori ad ascoltare.
Fu così che quel giorno ci godemmo il tramonto. Il sole si nascose piano piano dietro alle montagne tingendo di rosso/viola il cielo e creando strani chiaroscuri di verde sulle chiome degli alberi.
Nelle nostre narici il profumo delle resine e degli aghi delle conifere e nelle nostre orecchie i canti delle sacerdotesse.



Una nota meritano i canti delle sacerdotesse: totalmente diversi da quelli dei monaci. Canti delicati e strutturalmente molto più complessi.
Mi immaginavo i monaci ai piedi della valle che ancora stavano emettendo quei suoni così forti da far vibrare la terra e mi sembrava di intuire un perfetto bilanciamento dei due canti sacri; mi sembrava di essere nel mezzo di una corrente di energia sacra e mi sentivo molto fortunato.

La sera la cena al resort fu estremamente ricca, fuori dallo standard bhutanese.
Mangiammo tantissimo ed andammo a dormire esausti e felici.

giovedì 26 marzo 2015

THE GUDU'S BHUTANESE EXPERIENCE PART 2 - THIMPU

In ogni viaggio c'è quel momento in cui scatta quel "qualcosa" che mi fa entrare "dentro" al viaggio.
Prima di allora sono ancora vivi i filtri della vita quotidiana, i modi di pensare che mi porto dietro, i preconcetti, le visioni delle cose.
Prima di allora non sono in grado di carpire le atmosfere, le energie e l'essenza del posto in cui sono.
Prima di allora vedo tutto come dietro al vetro di uno di quei pullman che portano i turisti in giro per le città.
Poi arriva quel momento: il momento in cui mi trasformo nel "Leo viaggiatore" e vivo al 100% ogni singola particella (nel senso più ampio del termine) del viaggio e del luogo.

Con il Bhutan dovrebbe essere semplice raggiungere questo stato: tutto in Bhutan è permeato di... di Bhutan.
Ogni singolo edificio costruito con la tipica architettura ed ornato da fantastiche finiture fatte a mano ed emana un'aura particolare; ogni singolo essere umano (che sia vestito in abiti tradizionali oppure no) si muove, parla, lavora, agisce come se fosse in uno stato di costante preghiera interiore; il vento sembra trasportare preghiere ancestrali e tutto sembra essere permeato di un'aura di silenziosa serenità.
Così è, ma non è facile percepire queste cose per un occidentale... il "favoloso" era li davanti a me, ma non sono riuscito subito a percepirlo.

La mattina del nostro primo vero giorno in Bhutan abbiamo aperto gli occhi lentamente, ci siamo guardati intorno respirando la rilassante atmosfera "legnosa" della nostra camera e lentamente ci siamo preparati a scendere per la colazione.
Nella sala della colazione c'erano parecchie persone, tutte silenziose e con lo sguardo sereno. Presi da quell'atmosfera pacata e serena, abbiamo ammirato le bellissime finiture e le fini decorazioni della stanza del pasto con più calma.
Ogni cosa in Bhutan è curata nei minimi particolari, non con la cura maniacale ed industriale dei luoghi occidentali, ma la cura artistica artigiana... la stessa che si può trovare nelle grandi opere architettoniche presenti in tutto il mondo, solo che in Bhutan questo tipo di cura è presente ovunque, dal tempio al distributore di benzina. E' qualcosa di più sottile di una semplice ricerca estetica, qualcosa che riesco a descrivere solo con il termine "preghiera costante".
Quando siamo usciti per salire in auto con la nostra guida, mi sono trovato ad ammirare ogni singolo edificio nei dintorni dell'hotel; poi durante il tragitto verso la nostra prima meta mi sono trovato ad ammirare perfino le impalcature traballanti in bambù attaccate ad alcuni palazzi.
Questa per un'occidentale è un'overdose sensoriale perchè noi occidentali dobbiamo catalogare e "fare nostro" tutto quello che vediamo... vogliamo "fare nostro".
Questo modo di pensare mi impediva di entrare nella giusta ottica del viaggiatore in Bhutan.

La nostra prima tappa è stata il National Memorial Chorten di Thimpu.
Il cielo era plumbeo ed in giro c'era poca gente.



All'entrata del Chorten la guida e l'autista hanno cominciato a pregare mentre ci muovevamo verso la costruzione principale.
Arrivati di fronte al chorten abbiamo cominciato a girarci attorno in senso orario e la guida ha cominciato a spiegarci la cultura locale.
I Bhutanesi pregano girando in senso orario attorno alle costruzioni sacre poiché il senso orario è gradito al divino e questo movimento aiuta a purificare karma, energie e pensiero.
Si gira sempre un numero di volte dispari in quanto i numeri dispari sono più graditi alle divine sfere.
Di per sè il Chorten non mi ha colpito tanto dal punto di vista architettonico/estetico quanto per quello che accadeva intorno: persone in abiti tradizionali giravano insieme a noi pregando, alcune per pochi giri altri per tutti e 108 i giri necessari ad una purificazione giornaliera completa e poi andavano a pregare e lasciare offerte di fronte all'ingresso del Chorten.
Il Chorten non ha un equivalente nella cultura occidentale; equivale a quello che nel resto dell'oriente è chiamato Stupa... è una costruzione sacra all'interno del quale sono contenute reliquie sacre.
E' il simbolo della mente illuminata e del percorso per il suo raggiungimento. E' monumento spirituale.
Durante i nostri giri intorno al Chorten abbiamo imparato che i Bhutanesi applicano i dettami del Buddismo in ogni secondo della loro vita che diventa così Via spirituale verso il divino.
A fianco della costruzione principale, abbiamo fatto la conoscenza con le nostre prime ruote di preghiera.
Cosa sono le ruote di preghiera? Sono dei cilindri vincolati in modo da ruotare sul loro asse sul quale sono incise preghiere. La gente le fa girare (in senso orario) in modo che il vento passi sulle preghiere scolpite e le porti in giro.
Le ruote di questo tempio erano alte più di due metri e larghe più di un metro e mezzo, quindi per farle girare era più semplice afferrarne un lato e girare intorno al loro asse.

Dopo una ventina di minuti siamo risaliti in auto ed abbiamo cominciato ad inerpicarci per delle strade di montagna.
Dopo un'altra ventina di minuti ci siamo fermati di fronte ad un cancello ed abbiamo continuato a piedi.
Immenso è stato il mio stupore nel ritrovarmi ad un certo punto improvvisamente di fronte un Buddha gigantesco... così grande che all'interno del suo corpo era sito un intero tempio.



E' stato di fronte a questa incredibile costruzione che finalmente è scattato quel "qualcosa" ed io mi sono finalmente ritrovato in Bhutan.
La statua era ancora in costruzione e sarebbe diventata la più grande statua di Buddha del mondo.
Le statue di Buddha sono sempre permeate di un'aura fortissima, ma questa aveva un'energie strabiliante.
Costruita sulla cima di una montagna e circondata da altre montagne ricoperte di conifere, con gli occhi questa statua sembrava seguirmi ovunque mi posizionassi e contemporaneamente passarmi attraverso ed osservare il mondo.
Fissare negli occhi questa statua mi faceva "vibrare" tutto, non so esprimermi in modo diverso.
Le montagne attorno erano piene di bandiere di preghiera legate agli alberi, uno spettacolo eccezionale che arricchiva ulteriormente la misticità del luogo.
Non volevo più andarmene... stavo troppo bene in quel luogo... ho trovato ogni scusa possibile per fermarmi il più a lungo possibile... non potevo fare a meno di tornare a osservare lo sguardo della statua ogni pochi secondi e poi sfuggivo a quello sguardo per paura di perdermi... è stata un'esperienza quasi mistica.


Alla fine siamo dovuti tornare all'auto e mentre tornavamo verso il centro abitato, continuavo a fissare da lontano la statua che vegliava sulla città... ma perché mentre salivamo non l'avevo notata? Era lì immensa e visibile da ogni angolo della città.

La terza tappa è stata al Changan Gangkha Lhakhang, uno dei monasteri più vecchi del Bhutan ed il primo che abbiamo visitato.
In questo tempio abbiamo incontrato parecchia gente del luogo che andava a pregare.
Il monastero era molto antico e logorato dal tempo e proprio per questo molto affascinante.


Una volta dentro, abbiamo ammirato dei bellissimi dipinti e ci siamo lanciati in uno scambio culturale in cui la nostra guida ci raccontava l'epica religiosa buddista e noi raccontavamo a lui l'epica cristiana.
Divertente è stato ascoltare la Virgi che spiegava tutta la storia di Lucifero alla nostra guida.
In questa occasione abbiamo sentito parlare per la prima volta di Guru Rinpoche che, secondo la tradizione bhutanese, è la seconda grande incarnazione di Buddha.
Secondo la tradizione è stato Guru Rinpoche a portare il buddismo in Bhutan fra mille aneddoti di cui alcuni davvero bizzarri.
Non sto a raccontare nessuno di questi aneddoti perché sono facili da reperire on line, ma anticipo che la figura di Guru Rinpoche ci avrebbe accompagnato per tutto il viaggio.

La quarta tappa è stata un parco in cui abbiamo potuto vedere dal vivo il famoso Takin.
Il Takin è l'animale nazionale buthanese insieme al corvo.
Secondo la tradizione, un bel giorno Il sacro folle (un'altra figura della tradizione bhutanese) ha mangiato una capra ed una mucca e poi ha vomitato il takin.

In effetti la tradizione descrive bene questo curioso e sgraziato animale visibile oramai solo più in parchi protetti.


Con l'occasione abbiamo fatto una piacevole passeggiata in mezzo alla natura disquisendo sulla cultura bhutanese.

Al termine della passeggiata siamo andati a pranzare in un ristorante locale.
I piatti Bhutanesi sono suppergiù sempre gli stessi che ho già descritto.
La novità è stata l'introduzione della presenza del the all'interno delle nostre giornate.
In Buthan il the è onnipresente.

Quando si arriva in un locale, ad un incontro o in una abitazione, si beve il the tutti insieme.
Il the in Bhutan rappresenta l'ospitalità ed il riposo.
Appena arrivati al ristorante ci è stato offerto quindi del the.
Io e la Vigi siamo partiti caldissimi optando per tipicissimo the con il burro di yak.
Ci fu portata una strana brodaglia rosa dall'odore pungente e la viscosità tipica dell'olio per auto esausto.
Devo dire che l'esperienza non è stata delle più piacevoli... nemmeno la Vigi è riuscita a trangugiarne più di un sorso... diciamo che non avevamo il palato per poterlo capire e da qual momento in poi siamo passati al comunissimo "the liscio" od al massimo the con latte.

Nel pomeriggio siamo andati a visitare il mercato locale (nelle foto il tipico formaggio di yak, famoso per essere così dura da spaccare i denti a turisti che ci si avventano sopra senza la giusta preparazione) e poi il museo/scuola tessile nazionale ed abbiamo fatto qualche acquisto nello shop annesso.
Sarebbe stata una bellissima esperienza se non fosse che era un giorno festivo e quindi non c'era nessuno a praticare la tessitura in quel momento.




Alle 16.30 circa siamo stati riportati dalla guida all'albergo, ma non siamo rientrati in camera; abbiamo preferito passeggiare da soli per la città.In Buthan almeno il 60% delle persone indossa abitualmente l'abito tradizionale senza distinzioni di sesso o età, una cosa davvero particolare a vedersi.
Benchè Thimphu sia la capitale si tratta di una città molto piccola composta per lo più da una lunga via principale dalla quale si dipartono tante piccole strade laterali.
Le case erano nella maggior parte dei casi abbastanza piccole ed a singola unità, costruite secondo l'affascinante architettura tipica.
Più avanti nel viaggio avremmo imparato molte cose interessanti a riguardo delle case bhutanesi e della loro funzione.

Dopo circa un'ora siamo tornati in Albergo, abbiamo fatto una doccia, cenato e siamo andati a letto pronti a nuove avventure per il giorno successivo.

martedì 3 febbraio 2015

THE GUDU'S BHUTANESE EXPERIENCE PART 1 - PREPARATIVI E VIAGGIO DI ANDATA.

Era era il novembre del 2014.
Dopo un'anno e mezzo senza viaggi (a parte una piccola gita a Budapest ad agosto 2014), finalmente si prospettava una nuova "Gudu's Experience".
La prima idea era quella di percorrere l'Argentina in fuoristrada fino al punto più a Sud, ma la logistica delle ferie, lavorativamente parlando, non lo permetteva.
Avevamo 15 giorni di ferie al massimo.
Cosa fare?
Avevamo scartato il Sud America per la pericolosità e/o per la necessità di più giorni per un viaggio che fosse "viaggio".
Avevamo scartato l'Africa per non avere problemi alle frontiere a causa dell'ebola.
Avevamo scartato le zone "Aurora boreale" perchè nel periodo disponibile c'era la luna piena e quindi "aurora boreale rarissima".
Avevamo scartato una bellissima avventura in Oman per paura del fondamentalismo islamico (con avventura non indendiamo farci rapire e magari accoppare).
Non restava che l'Asia: abbastanza vicina, clima adatto alla stagione, mediamente sicura dal punto di vista sanitario e sociopolitico.
Cominciammo a richiedere preventivi per Laos, Vietnam, Cambogia e Sri-lanka.
Mentre preventivi di bei viaggi fioccavano nelle nostre caselle mail, alla Virgi venne l'idea:
"Perchè non andiamo in Bhutan"?
Subito la richiesta all'agenzia e subito una delusione: "C'è solo una compagnia che vola in Bhutan, pochi voli, pochi posti, poche persone che entrano ogni anno in Bhutan".
Quando oramai avevamo scelto un bellissimo viaggio nel Vietnam rurale ecco l'improvvisa notizia: "La Heart viaggi ha trovato due posti sull'aereo... tutto pronto... basta solo una vostra conferma".
Ovviamente abbiamo preso la notizia come un segno del destino.
Lascio a wikipedia la descrizione del Bhutan, mi limito a scrivere i pochi dati che avevano catturato la nostra attenzione:
- Posizionato sull'Himalaya fra India e Nepal (Leo eccitato).
- Culturalmente isolato dal mondo, unico paese che vive seguendo le antiche tradizioni (Leo e Virgi eccitati).
- Unico paese al mondo che vive seguendo i dettami del Bhuddismo (Leo eccitatissimo).
- Paese dove d'inverno vanno a svernare le rarissime "Gru dal collo nero" (Virgi eccitatissima).
- Percorsi di trekking misti a percorsi spirituali verso e nei templi (Leo e Virgi eccitatissimi).
- Sport nazionale: il tiro con l'arco (piacevole facezia).


In preda alla felicità era l'ora di reperire l'attrezzatura.
Descrivo anche questa fase perchè per il viaggiatore provetto è parte integrante del viaggio.
Si trattava di fare dell'escursionismo sull Himalaya ad altitudini, in alcuni casi, vicine ai 4000; si prospettava tempo variabile passando dai soleggiati 15°C agli innevati picchi a -5°C passando per gli umidi pantani a 5°C.
Due oggetti erano importanti: giacche e scarponi. Per quelli non abbiamo badato a spese.
Da anni le scarpe estive da trekking North Face (comprate per il viaggio in Namibia) accompagnavano le nostre avventure con affidabilità e comodità, così ci trovammo nel negozio North face di Torino a prendere scarponcini e giacche tecniche.
Mai acquisto fu più azzeccato: le scarpe hanno effettivamente retto al caldo, al fango, alla neve, ai viaggi in aereo senza stress per i nostri piedi e la stessa cosa si può dire delle giacche.
Per il restante materiale ce ne siamo andati al Decathlon dove avevamo già preso i nostri pantaloni estivi da Viaggio (sempre in occasione della Namibia) ed i nostri zaini da montanga.
Allego una lista del materiale davvero utile per un viaggio come questo, informazione difficile da trovare su internet, quindi potrebbe essere anche utile come pura informazione tecnica:
- Scarponcini da montagna (nell'inverno buthanese si trovano tutti i tipi di terreno presenti sulla terra, tranne quello desertico).
- Giacche da montagna di quelle con la parte interna in piumino (asportabile all'occorrenza) e la parte esterna antipioggia ed antivento (vedi sopra).
- Calze tecniche da montagna (utili nel trekking, ma anche quando a -5° bisogna togliersi le scarpe per entrare nei templi più remoti.
- Pantaloni tecnici invernali da trekking (oltre a tenere calde le gambe si lavano e soprattutto si asciugano in un giorno, quindi si riduce il bagaglio).
- Pantaloni tecnici estivi (in certe valli, c'è il clima come a maggio in Italia).
- Maglie e sottocamicie tecniche in pile (il pile tiene caldo, non si tropiccia, si smacchia facilmente ed anche lui si lava ed asciuga in fretta).
- Torce elettriche a dinamo (utili per transitare la notte da un'edificio all'altro o nelle città che di notte sono senza illuminazione pubblica).
- Binocolo (andare sull'Himalaya e non portare un binocolo è follia).
- Macchina fotografica (vedi sopra).
- Integratori alimentari (nei momenti di fatica tornano utili).
- Medicine per apparato digerente, apparato respiratorio e lividi/tagli (in Buthan scarseggiano).
- Racchette da trekking (noi siamo partiti senza e non abbiamo avuto particolari problemi, ma in certi casi ci avrebbero fatto comodo).
Nel totale, il 31 dicembre mattina, siamo partiti con uno zaino ed una sacca da viaggio a testa.
Negli zaini c'erano documenti, guide, macchine fotografiche, videocamera, binocolo e medicine.
Nelle sacche c'erano gli indumenti... in ogni sacca un po' di roba mia ed un po' di roba di Virgi... idea geniale della Virgi che ci ha salvato la vacanza.

La compagnia aerea era la "Turkish Airline": errore n. 1.
Il piano di volo comprendeva: Milano-Istanbul poi Instanbul-Katmandu (Nepal) poi una sosta di un giorno e mezzo a Katmandù ed infine volo Katmandù-Paro (Bhutan).
Il tempo di coincidenza dei voli ad Istanbul era di poco più di un'ora: errore n. 2.

Appena saliti sull'aereo, il pilota ci comunicò che saremmo partiti con 50 minuti di ritardo poichè su Istambul nevicava e l'aereoporto era in tilt.
Considerando che sul Nord Italia non cadeva un fiocco di neve dall'anno prima l'ho presa sul ridere ed abbiamo pensato: "Abbiamo comunque tempo e poi la compagnia è la stessa, ci aspettano di sicuro" (errore n.3).
Arrivati sopra Istanbul, l'aereo ha cominciato a girare in cerchio sopra la città per quasi un'ora prima di avere lo spazio per atterrare.
All'atterraggio siamo partiti tutti di corsa con gli operatori che ci indicavano verso quale direzione correre.
C'era gente che doveva andare a Dubai, a Mumbai, a nuova Dheli ed altri in posti dai nomi sconosciuti... tutti a correre spintonandoci con lo stomaco parzialmente sottosopra per le turbolenze ed i giri in tondo dell'aereo, tutti con le palle girate per la disorganizzazione turca.
Arrivammo al gate che l'aereo era ovviamente partito.
Fummo i primi ad arrivare.
Dopo di noi (quando io avevo già finito il repertorio di bestemmie nelle principali 5 religioni) altre due coppie di italiani con destinazione Nepal.
Ci dissero che FORSE saremmo partiti 24 ore dopo (solo un volo al giorno per il Nepal),
ci dissero di andare al punto informazioni per essere alloggiati in un hotel locale in attesa di ripartire.
Fu così che noi 6 italiani iniziammo il nostro film post natalizio "Cazzo ho perso l'aereo".
Breve descrizione degli altri protagonisti.
Il viaggiatore incallito e la moglie dubbiosa:
Lui era, come noi, un drogato dei viaggi... non poteva pensare ad un'esistenza senza viaggi (e noi lo capivamo bene). Uomo di mondo che approfittava dei viaggi anche per praticare l'antica arte del baratto con gli autoctoni portandosi a casa senza spese dei favolosi souvenirs.
Lei molto più tranquilla e votata (in apparenza) a spiagge assolate e drink ghiacciati; molto piacevole e gentile, dubbiosa sul fatto che effettivamente ci fosse la SPA in quel sobborgo ficcato in mezzo alle montagne nepalesi, sempre però ben disposta alla pratica del viaggiare.
Gli avventurieri:
Lui era stato più di dieci volte in Nepal. Aveva fatto tutto il trekking possibile, visto il meglio ed il peggio del Nepal a partire dagli anni '70 quando gli hippies ci andavano per drogarsi come animali, passando per gli anni 80-90 quando i primi veri avventurieri europei andavano ad affrontare l'Himalaya (riempiendolo di pattume), fino ai giorni attuali dove con 10 euro si comprava un qualsiasi indumento tecnico di qualsiasi marca (ovviamente taroccato).
Lui aveva vissuto tutto questo ed amava il Nepal. Personaggio estremamente interessate. Un vero avventuriero, di quelli che bevono l'acqua dal gange senza morire di mille malattie, di quelli che escono in canotiera a -20°C senza prendere la polmonite, di quelli in grado di camminare per 16 ore facendo solo due pause per pisciare.
Con lui la sua compagna/moglie (non ho sviscerato il legame preciso, preferivo ascoltare le storie delle sue avventure in Nepal) che per la prima volta visitava il paese tanto amato dal compagno.
A prima vista era anche lei era una di quelle toste, mi dava l'impressione di poter uccidere un cobra a mani nude e poi cucinarlo su un fornello da campo alimentato a peli di uomo delle nevi. Non ha parlato molto e questo aumentava la sua aura di mistero e potenza.
Dopo due ore di coda al primo sportello, ci mandarono ad un'altro sportello dove facemmo altre due di coda per poi essere mandati al terzo sportello dove attendemmo per circa un'ora di venire caricati su di un bus ed essere portati all'hotel.
Arrivati all'albergo facemmo un'altra bella ora di coda per avere le camere (salutando durante l'attesa l'arrivo del 2015).
All'una e mezza di notte, dopo un'ora di attesa per un panino, potemmo sederci tutti sei ad un tavolo e pianificare come usare la giornata successiva in attesa del volo.
Si decise di sfruttare la mattinata per visitare Istanbul e rientrare per le 14.00 al fine di poter pranzare in albergo a spese della turkish Airline.

Dopo una piacevole dormita, Io e la Vigi ci siamo svegliati riposati, abbiamo fatto colazione e poi abbiamo atteso i nostri compagni di avventura della hall dell'albergo.
Tutti insieme abbiamo preso un Taxi e ci siamo diretti verso il centro della città.
Il tempo era orrendo: cielo plumbeo, vento forte e pioggerellina a tratti.
Nonostante il clima orrendo, la bellezza di Istambul è risultata indubbia.
La coda per entrare a S. Sofia od al Minareto era immensa, così seguimmo il consiglio del viaggiatore incallito ed andammo a visitare "Le cisterne".
Le cisterne sono in pratica degli immensi sotterranei dove un tempo era stipata l'acqua.
Un luogo a dir poco spettacolare, nonostante la massa di turisti.


Dopo il giro alle cisterne abbiamo fatto una pausa the e poi ci siamo diretti verso il gigantesco mercato coperto: il Gran Bazar.
Il Gran Bazar è immenso, una piccola città piena zeppa di negozi di ogni tipo e pieno zeppo di gente.
Bellissimi i lampadari tradizionali locali e gli strumenti etnici in vendita un po' ovunque. Il tempo passò davvero rapidamente ed arrivò l'ora di tornare in albergo.

Dopo un caldo pasto ristoratore ci ritirammo in camera per lavarci e riposarci (le valigie non ce le avevano consegnate, quindi potevamo solo lavarci e non cambiarci).

Alla sera il volo partì puntuale alla volta del Nepal.

All'arrivo in Nepal fui preso alla gola dall'odore del luogo.
Non so come mai, non mi era mai successo, ma l'odore dell'aria mi dava il voltastomaco.
Dopo tutte le procedure di ingresso ed il commiato dai nostri temporanei ompagni di viaggio, fu il momento di scoprire che solo una delle due valigie era arrivata... argh... dannata Turkish airline.
Dopo aver perso mezz'oretta a denunciare lo smarrimento del bagaglio siamo usciti dall'aereoporto dove ci aspettavano gli addetti dell'agenzia.
Ci avrebbero portati in albergo dove avremmo potuto cambiarci, riposarci per un paio di ore e poi ci avrebbero riportati all'aeroporto per volare finalmente verso il Bhutan.
Fortuna che la Virgi aveva diviso i vestiti fra le due valigie, infatti non avremmo potuto recuperare la valigia persa fino al ritorno in Nepal. Ci saremmo fatti bastare la metà dei vestiti portati a testa.
Arrivati in hotel ci lavammo, ci cambiammo e poi insieme si decise di uscire un paio di ore all'avventura.
Fu così che ci trovammo per le vie di Katmandù.
A Katmandù il traffico è indescrivibile: piccole auto posizionate sulla strada e spesso sui marciapiedi a casaccio in attesa di poter avanzare qualche metro.

Strade fangose in terra battuta, case letteralmente "tagliate a metà" per allargare la strada, cavi elettrici a penzoloni dai pali o direttamente a terra, nebbia di smog e suono continuo di clacson.

Riuscimmo a raggiungere il quartiere dei negozietti dove si poteva trovare ogni sorta di attrezzatura per il trekking a prezzi ridicoli.
Ovviamente si trattava di falsi, ma di falsi di qualità (come li dichiarava l'avventuriero).


Tornammo in albergo, arrivammo all'aeroporto e salimmo sull'aereo.

Sull'aereo la prima bella sorpresa: le hostes erano in abito tradizionale e di una gentilezza squisita.
Per un volo di 50 minuti ci furono forniti cibo e bevande.
Durante il volo potemmo ammirare l'Everest e la catena Himalaiana in generale (per chi facesse questo volo, prenotate all'andata i posti sulla sinistra dell'aereo).

L'aeroporto di Paro è inserito fra i 10 aeroporti più "difficili" al mondo poichè è letteralmente sovrastato dai picchi himalayani. Fino a poco tempo fa, solo 8 piloti in tutto il mondo avevano l'autorizzazione per l'atterraggio, che richiede un vero e proprio slalom tra le vette prima di arrivare in vista dello scalo.

All'aereoporto trovammo la nostra guida ed il nostro autista.
Saliti in auto fummo aggrediti dalla stanchezza.
Ci aspettavano ancora quasi due ore di macchina per arrivare a Thimphu, la capitale del Bhutan.
Ci addormentammo in auto e ci svegliammo giusto in tempo per l'arrivo in hotel.
La guida ci prenotò la cena all'hotel e ci disse che ci sarebbe venuto a prendere il giorno successivo alle 9.00 del mattino.
L'hotel era bellissimo e la camera davvero confortevole.
Dopo esserci rimessi in sesto scendemmo nella zona di ristoro per la cena.

In Bhutan il cibo è ottimo, ma poco vario e quasi sempre piccante... cosa che io adoravo, ma che piaceva meno alla Virgi che mal tollera il piccante.
In Bhutan si mangia a buffet oppure, in caso di poche persone presenti, vengono portati dei piatti sul tavolo dai quali poi i commensali si servono.
Durante il pasto si è soliti bere the caldo ed a fine pasto viene portato un mandarino (od almeno a noi hanno sempre portato quello a fine pasto).
La carne è poca, ma presente... di pollo o di vitello, no maiale od altri animali.
Al posto del pane viene fornita specie di focaccia fatta in forno non lievitata molto buona.
Al posto delle patatine fritte vengono serviti dei peperoncini spesso accompagnati da salsa di formaggio.
E' facile trovare birra ed altre bevande occidentali, ma vanno chieste in modo specifico come anche l'acqua... impossibile trovare del vino.
Quella sera abbiamo gustato un'ottima zuppa piccante di verdure, dell'altrettanto ottimo stufato, peperoncini, vari altri piatti di verdura ed un'ottima torta al cioccolato... uno dei pochi dolci che ci è stato possibile gustare in Bhutan.
L'atmosfera era molto calda ed accogliente.
L'Hotel in cui soggiornavamo era per gli occidentali anche se le architetture (interne ed esterne) erano squisitamente bhutanesi.
L'atmosfera era davvero piacevole: c'era un gruppo musicale acustico composto da ragazzini del luogo che si esibiva in standard occidentali (dai Beatles ad Hotis Redding), i profumi del cibo e l'arredamento molto "legnoso" davano un senso di calore.
Tutto era molto placido e rilassante, compresa la cadenza della parlata inglese del personale.
Dopo cena avrei voluto gustarmi un whiskey ascoltando un po' di musica dal vivo, ma eravamo tutti e due troppo stanchi e così abbiamo deciso di andare a dormire per essere in massima forma il giorno successivo.

La prima notte in Bhutan è stata all'insegna dei latrati delle centinaia di cani che girovagano per le vie delle città.
I cani randagi (randagi, ma vaccinati e controllati dallo stato) sono una delle caratteristiche del Bhutan.
Vivono in mezzo alla gente come se fossero cani domestici di proprietà di qualcuno, ma in realtà sono randagi o meglio: "cani liberi".
A volte decidono di seguire qualcuno nel suo peregrinare per le strade, altre volte chiedono una carezza... sono molto discreti... tranne la notte dove abbaiano, ululano, giocano e combattono facendo un rumore pazzesco.
La cosa strana e che ci si abitua molto in fretta a questo baccano... come se fosse una cosa naturale.
Quella notte la stanchezza ci aiutò ad ignorare i cani... poi ci vollero comunque un paio di notti per abituarci.